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Appalti senza clausole sociali. La trappola dell’anticorruzione

Per l’Authority le clausole sociali a tutela della forza lavoro sono una minaccia per la libertà d’impresa. Giustizia a senso unico

di Federico Giusti*

Le clausole sociali a tutela della forza lavoro negli appalti  possono rappresentare, a detta della stessa autorità anticorruzione, una minaccia per la libertà di impresa. L’orientamento  ormai diffuso in molti enti pubblici è quello di privilegiare appalti in linea con i dettami anticorruzione mettendo in secondo piano le tutele di una forza lavoro particolarmente debole e ricattabile, così basta un semplice cambio organizzativo nell’appalto per consentire all’appaltatore di venir meno all’obbligo della assunzione.

Ogni cambio di appalto rappresenta una concreta minaccia, vuoi per la riduzione oraria o addirittura perchè mutando la organizzazione dell’appalto stesso una azienda, o cooperativa che sia, può aggirare l’obbligo della riassunzione. Numerosi enti pubblici inseriscono clausole sociali generiche e per questo facilmente aggirabili, i contratti nazionali negli ultimi 20 anni hanno via via attenuato le tutele della forza lavoro, al resto pensa la supremazia ideologica ed economica dell’impresa e di quel libero mercato che sovente si traduce in libero arbitrio.

Recenti linee guida dell’Anac forniscono indicazioni alle pubbliche amministrazioni, spiegano  come applicare l’articolo 50 del codice degli appalti, quel Codice che il Governo sta per riscrivere, guarda caso per rendere meno stringenti i controlli in materia di anticorruzione. Una stazione appaltante è tenuta a inserire delle precise clausole sociali negli appalti ma sovente ormai queste tutele si dimostrano labili e del tutto inadeguate perché a prevalere sono sempre le ragioni dell’impresa, la cosiddetta libertà  organizzativa in nome della quale la ditta, o cooperativa che sia, subentrante potrà aggirare le clausole stesse.

Le linee guida sono un suicidio politico perchè la giurisprudenza diventa tutela del più forte a danno degli ultimi perché la forza lavoro negli appalti è la meno tutelata e retribuita. Parliamo di servizi e pulizie in prevalenza, di contratti spesso part time con orari spezzati e condizioni retributive e di vita senza dignità.

Proviamo ad essere più espliciti: le direttive Anac tuonano contro l’obbligo di assorbire il personale presente nell’appalto e alle dipendenze della ditta, o cooperativa che sia.

La salvaguardia dei posti di lavoro è ammessa solo se in armonia, anzi in subordine, con l’organizzazione aziendale della ditta subentrante e sarà proprio questa autonomia organizzativa a definire se assumere i lavoratori e a quali condizioni. Più che autonomia dell’impresa dovremmo parlare di libero arbitrio padronale, così il diritto del lavoro si trasforma in diritto del più forte, ossia dell’impresa.

E’ un’assurdità giuridica prevedere una sorta di sostenibile applicazione della clausola sociale,  perché il lavoro non può essere variabile dipendente dei dettami aziendali, nei fatti esistono fin troppi strumenti alla impresa per aggirare l’obbligo della riassunzione, ora a dirlo è perfino l’autorità anticorruzione.

Siamo in presenza di una rivoluzione culturale se la legalità diventa sinonimo del libero arbitrio e del profitto, da una parte gli Enti pubblici sono obbligati ad inserire le clausole sociali negli appalti anche se poi esistono tutti gli strumenti per aggirarle. E così vengono salvate le forme di un diritto che in sostanza sancisce una giustizia a senso unico, a uso e consumo dei padroni  

*Sgb Pisa

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