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Da Genova all’Eurasia è una danza infinita

Si ispira all’Eurasia l’edizione numero 28 del Festival del Mediterraneo di Genova, prodotto da Echo Art con la direzione artistica di Davide Ferrari

Eurasia.  Quella vasta area geografica che, dal Portogallo affacciato sull’Atlantico alle valli del Pamir al confine con la Cina, è un grande  bacino  comune di idee e significati condivisi. Idee, gesti, intuizioni – sogni, a volte – che si inscrivono e si sedimentano nelle parole e nei corpi, rincorrendosi da un capo all’altro di un unico immenso continente, accomunato dalla medesima origine delle lingue indoeuropee.  A questa  comunità di culture si ispira l’edizione numero 28 del Festival del Mediterraneo di Genova, la rassegna prodotta dall’associazione Echo Art con la direzione artistica di Davide Ferrari che, come ogni anno e fino alla data del prossimo equinozio d’autunno porta canti e suoni, voci e gesti delle tradizioni di tutto il mondo nei teatri,  nei palazzi e nelle piazze del centro storico genovese. E perfino al quartiere di Certosa, periferia cittadina che vive ancora nelle sue strade e sulla sua pelle le conseguenze del crollo del Ponte Morandi di un anno fa. E dove il calendario si è in qualche modo fermato a quel 14 agosto 2018.

Tutto ha inizio questa volta dall’antica parola persiana “darvīsh”, termine che designa   l’asceta,  colui che è alla ricerca  del passaggio dal mondo di tutti i giorni a quello dell’invisibile.  Con un’inaugurazione all’insegna di un amarcord   che riporta indietro le lancette di oltre vent’anni. Correva infatti l’anno 1997 quando per la prima volta i Dervisci rotanti della confraternita turca dei Mevlevi accolsero i genovesi musicisti di Echo Art e danzatori  della Compagnia Arbalete.  Oggi l’idea di una contaminazione radicale tra le culture è definitivamente uscita dai laboratori delle avanguardie per farsi, quasi, corrente mainstream dell’immaginario. E i danzatori della compagnia Deos, che hanno raccolto l’eredità artistica di Arbalete, sempre sotto la direzione del coreografo Giovanni Di Cicco, tornano sul luogo di un incontro che fu a suo modo profetico e svolta profonda  per i suoi protagonisti.   In una sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale gremita di pubblico che è la miglior testimonianza di un interesse lievitato nel tempo, i Dervisci del Galata Mevlevi Sema Ensemble, diretti da Al Sheikh Nail Kesova e con l’intervento dei danzatori genovesi, ricreano tutta la suggestione di un rituale mistico in cui spazio e tempo prendono luogo   nel cerchio del rito Sema, manifestandosi  e aprendosi  all’esterno.  Come le gonne bianche dei dervisci,  che col movimento si aprono come petali di fiori che sembrano vivere di vita propria,  altrettante galassie in rotazione in senso antiorario e intorno alla figura del  Pir, il Maestro, motore immobile che assiste alla danza dei discepoli.

Sainkho-Namtchylack-22Urban-Tribe22

Ma il Festival del Mediterraneo ha anche il non trascurabile merito di riportare all’attenzione collettiva,  nella giornata di giovedì 5 settembre con l’omaggio al Dalai Lama nelle musiche e nei canti tibetani, la causa del popolo che abita il tetto del mondo. Che aveva conquistato solo pochi anni fa la scena dell’opinione pubblica internazionale,  per scivolare poi in un cono d’oblio dettato molto prosaicamente dall’esigenza di non urtare i nervi scoperti della  Cina e della sua grande potenza economica globale.

E così, nel calendario completo della rassegna: mercoledì 4 settembre alle 21 “Musiche tradizionali da Kathmandu” di Night Nepal in prima nazionale al Chiostro del Museo Diocesano;   giovedì 5 settembre alle 21 “Omaggio al Dalai Lama” con Namgyal Lhamo & i Monaci di Tashi Lhumpo (Tibet), Tapa Sudana (Indonesia), Zine El Lahrfiri (Marocco) al Parco dell’Acquasola in prima europea (produzione Festival);  sabato 7 settembre alle 21 “Voci di donne sciamane”  con Sainkho Namtchylak e Kazuhisa Uchihasi rappresentando la Repubblica  di Tuva e il Giappone al Cortile di Palazzo Tursi (prima nazionale) in collaborazione con Gezmataz e con special guest Marco Tindiglia.

Dervisci Sema Ensemble

Si prosegue martedì 10 settembre alle 21 a Palazzo Bianco per il concerto “Ritmi dal Rajasthan, Kerala, Bengala, Maharashtra” con Taal India dal Rajasthan , una co-produzione Echo Art/ Banyan Tree in prima nazionale. Mercoledì  11 settembre alle 21 a Palazzo Ducale “Musiche dalla Via della Seta” prima parte con Ensemble Chakam dall’Iran in prima nazionale e  giovedi  12 settembre alle 21 presso il Cortile di Palazzo Tursi  “Paganini Meets India” con il Quartetto Perosi dall’Italia e Jyotsna Srikanth dall’India, inquadrando i virtuosismi paganiniani nei sound e nei giri armonici indiani (co-produzione Echo Art e Amici di Paganini) in prima europea;  Venerdi 13 alle 21 a Tursi si svolgerà la seconda parte di “Musiche dalla Via della Seta”  seconda parte con il duo Hovanissian & Gultekin dall’Armenia e Turchia.  Sabato 14 al Museo di Arte Orientale Chiossone alle 18 “Dreams and reality” di Bach Yen & Tran Quang Hai (Vietnam); giovedi  19 alle 21 al Cortile di Palazzo Tursi “Voci sacre e profane dall’Est”  con Balkanes (Bulgaria)  in co-produzione  Echo Art e Festival La Voce e il Tempo.  Gran finale, poi,  con contaminazioni tra musica, danza e teatro:  venerdì 20 settembre alle 21 per “Kerala Rituale” con  Karunakaran dall’India a Palazzo Bianco, per arrivare all’ultimo spettacolo  il 21 settembre alle 21 al Teatro Duse con “Ikiru – Omaggio a Pina Bausch” di Tadashi Endo (Giappone, nella foto di copertina). Un palinsesto di eventi che si arricchisce di una  serie di workshop intitolata “WOMUS“, World Music School, pratiche e teorie delle Musiche dei Popoli sulle tecniche vocali e musicali portate in scena durante gli spettacoli e di incontri nella sede del Celso, Istituto di studi orientali (www.celso.org)di Galleria Mazzini.  E’ l’idea di uno straordinario viaggio tra occidente e oriente di un’unica grande patria spirituale comune, in cui ogni luogo è solo il punto di una scala graduata in cui si è sempre a est o ovest di qualcun altro. Perché in Cina e in Giappone, dopo tutto, Bodisattwa venne dall’Occidente…

 

 

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