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Taglio dei parlamentari, chi ha paura del referendum?

Raggiunta la 64ma firma tra i senatori. Ci sarà il referendum confermativo sulla legge costituzionale che taglia i parlamentari. Gli scenari

«È stato raggiunto il numero necessario di firme per richiedere il referendum sulla legge costiuzionalie per il taglio dei parlamentari – annuncia L’Altra Emilia Romagna – siamo proporzionalisti da sempre, perché pensiamo che il sistema proporzionale sia in grado di produrre un parlamento nel quale i valori e le idee dei cittadini siano adeguatamente rappresentate, un parlamento in grado di riavvicinare i cittadini alla politica e alle istituzioni. Il taglio dei parlamentari riduce gli spazi di agibilità democratica, indebolisce l’importanza e le funzioni del parlamento rendendolo sempre più corruttibile, ricattabile e assoggettato al volere dell’esecutivo. Apprendiamo con favore questa notizia che blocca, almeno per il momento, l’improvvida riforma populista e ristabilisce l’importanza e la centralità del parlamento come sede della sovranità popolare».

«Grazie al Partito Radicale i parlamentari hanno trovato il coraggio di firmare per indire il referendum. Avremmo preferito la via popolare – e per questo abbiamo depositato il quesito referendario all’indomani dell’approvazione della riforma – e che fossero i rappresentati a chiedere di potersi esprimere su una riforma costituzionale così importante, ma raggiungere le 500mila firme nel silenzio dell’informazione è un’impresa impossibile». Maurizio Turco e Irene Testa, segretario e tesoriere del Partito Radicale, tuttavia sono soddisfatti per il risultato raggiunto in simili condizioni di oscuramento. «In questi mesi siamo riusciti a fare da collante all’interno delle istituzioni per fare in modo che i parlamentari trovassero il coraggio di percorrere la via parlamentare con 1/5 dei senatori. Adesso, come Comitato per il no la nostra priorità è quella di garantire ai cittadini il diritto ad essere informati, diritto fino ad ora violato».

La sessantaquattresima firma di Palazzo Madama è stata annunciata da Tommaso Nannicini, senatore dem. Così, come previsto dalla Carta  sarà indetto il referendum confermativo sulla legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari in ossequio all’equivoca ondata di antipolitica innescata dallo sbarco dei cinque stelle al governo, tuttavia tre pentastellati non hanno fatto mancare la loro firma.

Nannicini, che ha promosso la raccolta delle firme insieme ai colleghi forzisti Andrea Cangini e Nazario Pagano ammette che «anche grazie alla mobilitazione dei radicali nelle ultime settimane – ha spiegato – abbiamo superato il numero previsto di 64 senatori per indire il referendum. E’ una buona notizia, perché l’ultima parola spetterà ai cittadini e potremo finalmente aprire una discussione pubblica sul tema.» «Sul piano politico – aggiunge Nannicini – i mesi in più che abbiamo davanti saranno utili per capire se arriveranno una buona legge elettorale e quei correttivi costituzionali che la maggioranza si è impegnata a introdurre. Dobbiamo semplicemente dare un senso a un taglio lineare della rappresentanza politica che al momento un senso non ce l’ha. E sarà anche uno stimolo positivo perché la maggioranza possa rafforzare la propria coesione nel 2020 rilanciando un programma di legislatura».

«Grazie soprattutto ai 16 parlamentari che hanno sottoscritto la lettera appello al Presidente della Repubblica sulla censura operata da tutti i mezzi di informazione in questa prima parte della campagna referendaria», si legge ancora in una nota dei radicali. Questi i firmatari. «Italia Viva: Garavini, Nencini – Lega: Grassi, Urraro – 5Stelle: Giarrusso, Di Marzio, Maricotti – Pd: Nannicini, Verducci, Rojc, Rampi, D’Arienzo, Giacobbe, Pittella – Forza Italia: Serafini, Cangini, Dal Mas, Masini, Caliendo, Moles, Causin, Minuto, Fantetti, Pagano, Rizzotti, Binetti, Stabile, Schifani, Mallegni, Sciascia, De Siano, Carbone, Caligiuri, Cesaro, Saccone, Vitali, Lo Nardo, Messina, Craxi, Berardi, Perosino, Alderisi, Paptheu, Barboni, Fazzone, Biasotti, Aimi, Giro, Modena, Malan, Gasparri, De Poli, Pichetto, Fratin, Paroli – Misto: Martelli, De Falco, Nugnes, Fattori, Bonino, De Bonis, Buccarella, Merlo, Cario – senatore a vita Carlo Rubbia.

«Chi teme il referendum confermativo sulla modifica costituzionale del taglio del numero dei parlamentari è un pavido, chi teme il referendum perché teme un anticipo dello scioglimento delle camere e nuove elezioni è due volte pavido. Non si può fare politica alla luce di calcoli personali, non si può fare politica alla luce di paure infondate, perché non c’è nessuna correlazione tra la richiesta del referendum e le elezioni anticipate», commenta Paola Nugnes, senatrice fuoriuscita dai pentastellati dopo lo scandalo dell’approvazione dei decreti Salvini.

I principali indiziati, sono i due grandi assenti al ricevimento di fine anno al Quirinale: Matteo Salvini e Matteo Renzi. Un minuto dopo l’annuncio dell’avvio dell’iter per il referendum sul taglio parlamentari, è sui leader di Lega e Iv che tornano ad addensarsi i sospetti. Perché la richiesta firmata da 64 senatori apre una finestra elettorale: chi vuole tornare al voto può tentare un blitz entro la primavera, facendo leva sui parlamentari che conterebbero di avere più chance di elezione in un Parlamento di 945 scranni e non 600. L’operazione – negata dai due «Matteo», ma anche da Dem e 5s – è assai complicata e, chiunque la tenti, l’esito non è scontato perché tra deputati e senatori la voglia di elezioni è bassissima. Ma da qui a inizio febbraio le incognite sono tante. Dopo le regionali in Emilia Romagna, quando arriverà al dunque la verifica di governo, anche nel Pd potrebbe prevalere la voglia di votare per non farsi logorare. Il voto viene reputato oggi poco probabile, ma nessuno nel governo lo esclude davvero. Il passaggio è assai delicato. Tanto che c’è il sospetto che qualche firmatario possa ritirare la firma. Di sicuro la proposta piace alla Lega (c’è Salvini dietro l’accelerazione?, chiede più d’uno) anche perché potrebbe incrociarsi con il referendum sulla legge elettorale ideato da Calderoli per un maggioritario puro: se i due voti si sommassero, l’appuntamento sarebbe quasi un referendum su Salvini. Ma Dem e M5s tenteranno di sminare almeno il referendum Calderoli incardinando alla Camera, prima che la Consulta si pronunci a metà gennaio, una proposta di legge elettorale: l’auspicio è che la Corte rinvii il referendum Calderoli in attesa che le Camere legiferino. Ma è sugli scenari di voto anticipato che la politica si concentra, nel giorno della raccolta delle firme per il referendum. C’è chi obietta che la discussione non esiste perché il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non permetterebbe di votare per eleggere 945 parlamentari, mentre è pendente una riforma per ridurli a 600. Ma l’obiezione, secondo diverse fonti, non regge: se non ci fossero maggioranze alternative all’attuale né le condizioni per un governo di unità nazionale sostenuto da tutti (come il governo Draghi evocato da Giancarlo Giorgetti), il capo dello Stato – viene fatto notare – non potrebbe che sciogliere le Camere e il referendum non potrebbe essere considerato ostativo al voto perché la legge di riduzione – proprio a causa del referendum – non sarebbe in vigore fino al parere fondamentale dei cittadini. Piuttosto, osservano le stesse fonti, il problema si potrebbe – in punta di costituzione – porre dopo. Perché le elezioni farebbero solo slittare di qualche mese il referendum, dalla primavera all’autunno, ma alla fine si dovrà tenere e nessuno dubita della vittoria del sì al taglio dei parlamentari. Allora sì, con una riforma costituzionale in vigore, un presidente della Repubblica potrebbe avere una ragione valida – secondo questa lettura – per sciogliere le Camere e mandare di nuovo a votare il Parlamento appena eletto con le nuove norme costituzionali in quel momento pienamente valide. A queste ragioni «costituzionali», si somma poi un argomento puramente politico: chi si assume una responsabilità tanto impopolare come quella di bloccare la sforbiciata di deputati e senatori? È questo il motivo per cui tra le fila Dem, chi più spinge perché sia il Pd a staccare la spina, sostiene: chi non vuole le urne «ha comprato tempo». Ed è questa la ragione che induce tranquillità anche ai vertici del governo. Tanto più che, notano, tra i 41 di Fi che hanno firmato per il referendum ci sono anche nomi come quelli di Massimo Mallegni e Andrea Cangini, finora additati come possibili responsabili pronti a passare a sostenere la maggioranza in caso di crisi. A spingere contro le elezioni ci sono i timori di non rielezione dei peones (si moltiplicano le voci di esponenti di Iv tentati dal ritorno al Pd) e di parlamentari M5s che sarebbero tagliati fuori dalla regola dei due mandati. Da Iv respingono come «una cazzata galattica» i sospetti su Renzi e negano di voler sfruttare la soglia al 3% del Rosatellum.

Dopo che la Corte Costituzionale entro metà gennaio l’avrà dichiarato ammissibile e il governo l’avrà convocato entro i sei mesi successivi, quello sul taglio dei parlamentari sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti che invece determina la validità dei referendum abrogativi.

I PRECEDENTI – Il primo è quello del 7 ottobre 2001 quando si tiene il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governo Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguarda la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e con Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta ‘devolution’ è bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il 4 dicembre 2016 è la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti respinge il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no è il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti però sono record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi.

COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI – La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE – Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è disciplinato dall’articolo 138 della Carta. Serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea.

CHI PUÒ CHIEDERLO – Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali oppure, come è stato annunciato oggi, da un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). NIENTE QUORUM – A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è obbligatorio che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendente da quante persone si recano ai seggi.

GLI ALTRI TIPI DI REFERENDUM – La Costituzione prevede referendum abrogativi (ne sono stati celebrati in Italia 67 dal 1948) e non abrogativi. Tra i referendum non abrogativi, la Carta distingue quelli istituzionali (solo quello del 2 giugno 1946 tra monarchia e Repubblica), di indirizzo (solo quello sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo del 18 giugno 1989) e costituzionali.

 

 

 

 

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