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Ma dove vive Landini? Quando finirà il lockdown sindacale?

Landini: come fare una lunga intervista senza indicare obiettivi di lotta mentre Confindustria riattacca i contratti

di Antonio Moscato

Il “manifesto” del 29 aprile ha pubblicato una lunga intervista a Maurizio Landini, nel corso della quale il segretario generale della CGIL ha affrontato i più svariati problemi sempre in tono lirico, evitando accuratamente di accennare un abbozzo di programma basato su obiettivi concreti e mobilitanti per la prossima fase. Landini descrive commosso il comportamento dei lavoratori elogiandone serietà, abnegazione e solidarietà, ma senza parlare di come è stato ricambiato, o almeno riconosciuto. Ci ritorna sopra più volte, ammettendo che “ancora una volta il mondo del lavoro sta dimostrando una forza ed un senso di responsabilità generale che commuove ed inorgoglisce, perché sa prendersi cura dei problemi e dei bisogni delle persone”. Si riferisce soprattutto ai lavoratori della sanità, che dai medici agli infermieri, dagli addetti alle pulizie a chi fa la manutenzione degli impianti “spesso sono persone pagate poco e male o persino precarie”. Strano che sia sorpreso come se avesse scoperto ora che la maggioranza dei lavoratori, e anche dei ricercatori, compresi alcuni già riconosciuti a livello internazionale, ha stipendi da fame e una notevole insicurezza. Dove vive Landini, chi frequenta? E che concezione del suo stesso ruolo sindacale ha, se conclude che tutti “dovrebbero aver capito” che coloro “su cui la società si basa per andare avanti sono spessissimo le persone più maltrattate e meno considerate”. E quando dice che da questo “si dovrebbero trarre delle precise azioni”, non propone una rivendicazione precisa e mobilitante, ma una frase vaga e usata da tutti come “nulla potrà essere come prima”.

In tutta l’intervista non c’è mai un obiettivo su cui chiamare alla lotta. E certo non possono esserlo i cosiddetti ammortizzatori sociali, il cui nome stesso evoca la natura legata non a una prospettiva di lotta, ma all’obiettivo di evitare o ridurre i conflitti sociali. Ma anche su questo, ammettendone i limiti, la prospettiva è solo un generico “è chiaro che in prospettiva l’intero sistema degli ammortizzatori va rivisto sia per garantire un reddito dignitoso quando l’azienda si riorganizza, sia quando si perde il lavoro, sia quando lo si ricerca”. Una specie di consolazione con lontano sull’orizzonte un fumosissimo “nuovo Statuto dei Diritti in capo alle persone che lavorano e non semplicemente legato al tipo di rapporto attivato”. Ma come è stato difeso quello Statuto che già c’era, frutto indiretto delle grandi lotte degli ultimi anni Sessanta e dell’inizio del decennio successivo, quando è stato attaccato dal fronte padronale e da vari governi?

Landini nel rispondere a una domanda su come conciliare lavoro e salute rivendica che il confronto “con il sistema delle imprese è stato complesso ma costruttivo. Alla fine abbiamo concordato tra tutte le parti con il contributo e la firma anche del governo su un Protocollo condiviso di regole che sarà la bussola anche per il futuro all’insegna della priorità della salute e della sicurezza su qualunque altra logica. E’ un impianto condiviso da tutti che ha assunto dopo il Dpcm del presidente del consiglio un valore giuridico ed ora va fatto applicare”. Nessun bilancio degli aggiramenti del Protocollo da parte di diversi padroni, e tantomeno del contributo dato dagli scioperi operai, circoscritti ma condivisi.

Per il futuro Landini non ha dubbi: il sindacato ha chiesto di evitare licenziamenti e continuare a dare a tutti un reddito, in primo luogo allargando a tutti i settori la CIG (sorvolando sul fatto che essendo finanziata dallo Stato, in definitiva la pagano i lavoratori, che insieme ai pensionati sono di gran lunga i principali contribuenti). Ma poi assicura che c’è un punto che i sindacati hanno “rivendicato con forza”: la “necessità di sostenere le imprese dando liquidità alle aziende”. Su questo Landini precisa che questa rivendicazione è finalizzata a consentire alle aziende di “continuare a pagare i dipendenti e i fornitori favorendo l’apertura di una linea di credito per le imprese a tassi bassissimi, se non a fondo perduto.” Quando si tratta di chiedere qualcosa al governo per il padronato il sindacato è più concreto, per il resto si limita a “pretendere di aprire una discussione ampia e approfondita sul futuro”. Parole, parole, parole.

Sul piano delle promesse non mantenibili c’è da segnalare quella di “ridare valore al lavoro”, perché “i lavoratori contino di più nelle scelte, a tutti i livelli: internazionale, con il sindacato mondiale ed europeo; nazionale; nel sistema delle imprese; nelle singole aziende. Quella che abbiamo di fronte è una prospettiva politica, sindacale e culturale”. Peccato che i sindacati europei e mondiali siano assenti da anni, o servano al massimo per assicurare una pensione a qualche dirigente. E quanto a “pesare nelle aziende”, c’è subito dopo una conferma con la risposta evasiva a una domanda sulla FCA: «Siete cambiati più voi o è cambiata più l’ex Fiat in questi dieci anni?» Una risposta che non dice nulla se non che su questioni cruciali non c’è accordo e i lavoratori non pesano nulla persino sulle grandi scelte:

“La Fiat è diventata Fca, uno dei competitori internazionali nel settore dell’auto. In Fca la Fiom-Cgil ha firmato un accordo per la gestione dell’emergenza e per la ripartenza in sicurezza. Un accordo positivo nel merito e nel metodo che ha messo fine, spero definitivamente, alla stagione degli accordi separati. Di fronte all’emergenza Coronavirus e alla priorità di garantire la sicurezza delle persone che lavorano credo che tutti dobbiamo cambiare atteggiamento. Il merito di quell’accordo mi sembra in assoluta coerenza con i nostri valori e con le nostre pratiche di tutti questi anni. Ora credo che sia necessario andare avanti ed affrontare anche l’aspetto contrattuale di quella vicenda, comprese le scelte di politica industriale e occupazionale che il gruppo sta compiendo con la scelta di fondersi con Psa. Stiamo parlando di un’azienda e di un settore strategico per l’economia nazionale del nostro paese che deve coinvolgere anche il nostro governo. E’ la costruzione del nostro futuro che può offrire il terreno di una nuova azione comune.”

Ancora una volta, bla, bla, bla…

Landini ha goduto di un prestigio legato in gran parte al passato di esponente di una FIOM all’opposizione, ma anche a una sua capacità di accreditarsi come alternativa alla pletorica vecchia burocrazia della CGIL. Ma ora i nodi vengono al pettine e i suoi discorsi fumosi si scontrano con la grinta del presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi, che al governo chiede solo di agevolare il confronto per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro ecc. “al di là delle norme contrattuali”. E per essere più chiaro aggiunge che “è impossibile pensare di perdere 8/10% del PIL e che dopo due mesi possa tutto ritornare come disposto dai contratti vigenti”. ANSA 30 aprile 2020.

Se il confronto avverrà tra le fumose speranze di Landini e la secca determinazione del nuovo capo degli industriali, altro che sognare che “i lavoratori contino di più nelle scelte, a tutti i livelli: internazionale, con il sindacato mondiale ed europeo; nazionale; nel sistema delle imprese; nelle singole aziende”. Bisogna riscoprire che solo la lotta per obiettivi concreti e mobilitanti paga!

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