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Strage Bologna, «la “primula nera” era alla stazione»

Strage di Bologna, l’ex moglie di Paolo Bellini lo riconosce nel video girato alla stazione. 

Lo hanno descritto negli anni come la primula nera di Avanguardia Nazionale, killer reggiano sfuggito alla cattura innumerevoli volte. Fra il 1970 e il 1999, Paolo Bellini è stato esponente di Avanguardia nazionale e latitante sotto falso nome in Brasile, pilota di aerei e ladro di mobili d’arte, indagato per la strage alla stazione di Bologna e amico di giudici. Ha trattato con la mafia per conto dello Stato con un ruolo controverso, nei mesi in cui a Palermo morivano Falcone e Borsellino. Nel 1999 è stato arrestato, ammettendo più di dieci omicidi compiuti a sangue freddo, nel momento di massima violenza di una guerra di ‘ndrangheta, in corso fra l’Emilia Romagna e la Calabria. Scegliendo di pentirsi, Bellini ha confessato anche un delitto politico di oltre trent’anni fa: l’uccisione del militante di Lotta continua Alceste Campanile. Un estremista di destra che è riuscito ad agire in libertà per un trentennio, sino a diventare un protagonista di quattro diversi cruciali momenti di crisi democratica del nostro Paese. Esemplare anche nei link tra fascisteria, cosche mafiose, massoneria e apparati dello stato. Personaggio dal multiforme passato, oltre a tutte queste cose e altre ancora Paolo Bellini potrebbe essere il quinto uomo della Strage della stazione Bologna. Lo accusa la Procura generale che, nell’indagare sui mandanti e i finanziatori, a 40 anni dal fatto ha trovato e vuole portare a giudizio un presunto ulteriore esecutore dell’attentato che il 2 agosto 1980 causò 85 morti e 200 feriti, sventrando un’ala dello scalo ferroviario. Per la Strage sono condannati in via definitiva Mambro, Fioravanti e Ciavardini e pochi mesi fa, in primo grado, il quarto Nar, Cavallini. La nuova inchiesta ha individuato in Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi le menti, ma tutti e quattro sono deceduti e quindi non processabili. Bellini, che faceva parte di Avanguardia Nazionale, altro gruppo della galassia della destra estrema, era già stato indagato in passato e prosciolto nel 1992. Ma è tornato ad interessare gli investigatori di recente, grazie a un filmato amatoriale in super 8 girato da un turista tedesco poco prima dell’esplosione e ritrovato nell’archivio di Stato.

Proprio ieri, 21 maggio, l’ANSA ha rivelato i dettagli della testimonianza di Maurizia Bonini, l’ex moglie di Paolo Bellini, sentita il 12 novembre scorso dalla Procura generale di Bologna. In quellìoccasione ha riconosciuto il suo ex marito, terrorista all’epoca nelle fila di Avanguardia Nazionale, tra i passanti, in un frame di un filmato amatoriale girato quel 2 agosto del 1980 sul primo binario della stazione di Bologna. «Purtroppo è lui», si legge in un verbale visionato dall’ANSA che oggi ne ha diffuso il contenuto. Bellini è accusato di concorso in strage e per lui la procura generale ha da poco chiesto il rinvio a giudizio. «Ho visto in questo momento il video – aggiunge la donna – e posso dire che la persona ritratta nel fermo immagine immediatamente dopo la colonna è il mio ex marito»

«Nei fotogrammi prima della colonna – aggiunge Bonini, interrogata il 12 novembre 2019 – non si riconosce bene perché il viso è alzato e girato da una parte«. Nell’interrogatorio si parla anche di una catenina e di un crocifisso: »Paolo aveva una catenina che portava al collo con una medaglietta e un crocifisso, almeno così mi pare di ricordare«. E nel riconoscere l’ex marito nel video, la donna osserva: »Attaccato alla catenina mi pare ci sia un crocifisso«. Sempre nell’audizione si fa riferimento al sequestro di due crocifissi fatti in indagine: »Confermo che, a mio avviso, uno dei due crocifissi, poteva essere di Paolo in quanto non apparteneva alla mia famiglia. Quando Paolo se ne andò di casa, ovvero, credo, nel periodo in cui andò sotto protezione (perché collaboratore di giustizia, ndr) non portò con sé tutte le cose. Ricordo che si prese l’orologio e poco altro. Pertanto, quel crocifisso può essere appartenuto a lui«. In ulteriori dichiarazioni Bonini aggiunge un ulteriore elemento, con riferimento alla latitanza di Bellini: «Quando Paolo rientrò dal Brasile con il nome falso di Da Silva Roberto, si era rifatto il naso, rendendolo più corto e si era tolto un neo sulla guancia sinistra. Se si confrontano le foto del prima e dopo Brasile si possono notare queste cose». 

«Se Paolo Bellini si trovava a Bologna devo dire che ci ha usati come alibi. Intendo me, e i miei familiari che sono stati interrogati». Lo ha messo a verbale Maurizia Bonini, sentita dai magistrati accusano Bellini di concorso nella Strage di Bologna, dopo aver ottenuto la revoca del proscioglimento del 1992. L’alibi di Bellini, che già all’epoca «destò sospetti di falsità» secondo la Procura, è di essere partito quel giorno da Rimini di prima mattina per il Passo del Tonale con la famiglia. «Per quello che mi hanno riferito mia madre tornò a Torre Pedrera (frazione di Rimini, ndr) in ritardo rispetto all’ora di pranzo», dice la donna, riferendosi probabilmente al fatto che la madre l’aveva accompagnata all’appuntamento col marito. Sempre Bonini spiega di aver saputo che il marito era a Bologna dalle indagini svolte all’epoca. E poi racconta: «Ho saputo della strage in macchina, quando Paolo ha acceso la radio mentre ci stavamo recando al Tonale. Lui ha acceso la radio per sentire un po’ di musica; questa fu l’intenzione che dichiarò quando accese l’apparecchio».

Maurizia Bonini ha ricordato anche «un telegramma che Paolo mandò a Cossiga quando cessò l’incarico di presidente della Repubblica, nel quale Paolo gli disse: “Sarai sempre il mio Presidente”». Un altro fatto raccontato da Bonini riguarda invece un incontro casuale avvenuto a Reggio Emilia, città d’origine di Bellini, con l’ex procuratore Elio Bevilacqua: «Paolo gli andò incontro e i due si abbracciarono. La cosa mi stupì e perciò chiesi, in seguito, a Paolo il perché di tanta confidenza. Paolo mi rispose che il dottor Bevilacqua aveva aperto un ufficio di consulenza come avvocato e mi precisò che era un massone». Paolo era un massone? «Non lo so», risponde la donna agli inquirenti. 

Intanto una foto a colori inedita – che ritrae il piazzale della stazione di Bologna la mattina del 2 agosto 1980, poco dopo l’esplosione che causò 85 morti e 200 feriti – è stata ritrovata dall’avvocato Andrea Speranzoni, difensore dell’associazione dei familiari delle vittime della Strage. Si vedono tra l’altro una donna che sembra allontanarsi andando incontro all’obiettivo, con una borsa sulla spalla destra e l’altra mano sulla tempia, un vigile urbano di spalle e altre persone in secondo piano, mentre sullo sfondo il fumo ha invaso l’ingresso della stazione e si è propagato all’esterno, fino ad arrivare più in alto del tetto. 

Infine, il 2 maggio scorso, a un mese circa dal deposito della sentenza che il 9 gennaio scorso ha visto l’ex Nar, Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo per concorso nella strage di Bologna la Digos di Bologna, per conto della Procura, ha acquisito il girato dell’inchiesta “Il virus nero” di Giorgio Mottola, andata in onda in una puntata di Report, e la documentazione relativa alle notizie inedite trasmesse. Come si legge nella nota della trasmissione, Report aveva mostrato documenti inediti relativi al sostegno dato in Inghilterra alla latitanza dei neofascisti italiani e aveva anche mandato in onda l’intervista esclusiva a Raymond Hill, ex dirigente del movimento neonazista inglese infiltrato per conto della polizia, che ha raccontato dell’incontro avvenuto quattro mesi prima della strage di Bologna con un presunto neofascista italiano, Enrico Maselli. Maselli (che ha smentito) avrebbe chiesto aiuto a Hill, secondo il racconto dell’infiltrato, e nel corso di una telefonata avrebbe annunciato un importante attentato in Italia e avrebbe chiesto rifugio per i neofascisti italiani che sarebbero stati costretti a fuggire. Report ha inoltre svelato come la conversazione in questione fosse stata attenzionata nel 1985 anche dalla polizia italiana, le cui indagini però non hanno prodotto nessun esito dal momento che gli accertamenti furono condotti non su Enrico Maselli, ma, ufficialmenete per un errore di trascrizione, su Enrico Tomaselli, che fu arrestato a Londra nel settembre del 1981 insieme ad altri neofascisti, tra cui Roberto Fiore, in relazione all’attentato e poi rilasciati.

 

 

 

 

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