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Genova, una carovana di antifascisti si riprende la piazza

A un anno dalla violenza della polizia a protezione di un comizio di Casapound, presidio in Piazza Corvetto. Il punto sulle indagini

«E’ già passato un anno da quel giorno di grande partecipazione e fervido spirito antifascista che avevano infiammato Piazza Corvetto. La repressione dello Stato è stata ancora una volta puntuale: 50 denunciati. Lo Stato ha deciso di intraprendere un vero e proprio processo all’antifascismo col chiaro intento di criminalizzarlo e indebolirlo», dice l’appello di Genova antifascista chiamando il presidio di oggi, alle 18, in Piazza Corvetto. Lì, almeno 300 antifasciste e antifascisti genovesi sono arrivati in carovana: macchine, scooter che, da Piazza S.Benigno, hanno attraversato il lungomare fino al Porto Antico per poi arrivare nella piazza dove chi è arrivato a piedi li aspettava.

Era il 23 maggio del 2019 quando una manifestazione antifascista di almeno un migliaio di persone volle contestare un comizio concesso allo sparutissimo plotone di supporter locali di Casapound per i quali venne messa in scena tutta la creatività della questura per costruire barriere e creare le condizioni di una mattanza per gli antifascisti. Una delle vignette scaturite nelle ore successive raffigura un celerino che, mentre manganella una persona inerme e a terra, esclama che non si divertiva così dal 2001. Se la storia vi è nota è solo perché nella festosa operosità dei celerini è incappato un cronista di Repubblica, Stefano Origone, tornato a casa con alcune ossa maciullate.

Il 22 febbraio scorso, dagli atti delle indagini sui 4 agenti indagati è emerso che i quattro, che si presentarono “spontaneamente” in procura,  nel corso degli interrogatori furono inizialmente vaghi. In alcuni casi ammisero solo davanti alle immagini e alle foto mostrate dagli investigatori e dal pubblico ministero. Origone, assistito dagli avvocati Cesare Manzitti ed Enrico Canepa, era stato picchiato da un gruppo di agenti del reparto mobile di Bolzaneto, proprio il luogo che il governo Berlusconi adibì a carcere provvisorio per i manifestanti arrestati durante il G8. C’è, tra i servitori dello Stato, chi ha detto di “non avere visto Origone a terra”, chi di “non ricordare di averlo colpito”, chi “ho alzato il manganello ma non so dove sia finito il colpo”, per poi davanti alle immagini fare le prime timide ammissioni. Secondo il medico legale Francesco Ventura, incaricato dalla procura, Origone venne colpito da più di una persona e in parti diverse dapprima mentre era in piedi e poi, ancora, mentre era a terra con le mani in testa per proteggersi. Le accuse nei confronti degli agenti sono lesioni gravi e aggravate dall’uso del manganello. Il giornalista ha subito due interventi a un dito della mano sinistra e un intervento a un secondo dito. A distanza di otto mesi non ha recuperato la piena funzionalità della mano e dovrà essere sottoposto a una seconda perizia medico legale, ma è tornato al lavoro.

La mattanza in Piazza Corvetto il 23 maggio 2019

Un paio di settimane prima, il 4 febbraio, il tribunale di Genova ha assolto “perche’ il fatto non sussiste” Simone Robusti, uno dei due manifestanti arrestati per resistenza durante gli scontri di quel 23 maggio. All’arresto del giovane, atterrato e ammanettato da un gruppo di agenti del reparto mobile avevano assistito anche diversi giornalisti, tra cui Origone prima di essere a sua volta accerchiato e picchiato da un altro gruppo “blue block”. Il sostituto procuratore Paola Crispo aveva chiesto 9 mesi di reclusione per Robusti, difeso dall’avvocato Laura Tartarini. Quel giorno oltre a Robusti era stato arrestato in piazza un secondo manifestante che ha scelto invece la messa alla prova. Dopo gli arresti gli antifascisti in corteo erano arrivati sotto la Questura per chiedere la liberazione degli arrestati: al termine di una lunga trattativa i due erano stati portati ai domiciliari nelle rispettive abitazioni e scarcerati il giorno successivo dopo la convalida.

Per i fatti di piazza Corvetto il sostituto procuratore Gabriella Dotto dovrebbe gestisce due fascicoli paralleli: quello sui quattro picchiatori in divisa e uno su una sessantina di manifestanti identificati e denunciati dalla Digos per reati che vanno dalla resistenza al travisamento al lancio di oggetti.  

uno dei manifestanti massacrati dalla Celere il 23 maggio 2019 a Genova

«Noi rivendichiamo – riprende Genova antifascista – con forza gli ideali che ci avevano riuniti lo scorso anno in quella piazza. Noi siamo ancora convinti che ogni forma di fascismo, da quella più subdola portata avanti dalla finanza e dai grandi capitali, a quella più esplicita condotta dal “braccio armato” dei partiti neofascisti e degli stessi grandi capitalisti, vada combattuta con ogni mezzo necessario».

C’era attesa per l’appuntamento di oggi pomeriggio, per le modalità scelte dalle soggettività genovesi, per la reazione eventuale della polizia anche perché questa chiamata in piazza al tempo di un’emergenza che viene usata come palestra per la repressione, collega la battaglia antifascista a quella per la riconquista dell’agibilità politica per ogni aspetto del conflitto sociale.

 

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