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Francia, perché la polizia è strutturalmente violenta

Dossier Francia, 1. Perché la polizia da quelle parti è diventata la più violenta dell’Unione europea (Roseline Vachetta)

Il 2 giugno scorso, il prefetto di polizia di Parigi, Didier Lallement, ha inviato un messaggio a tutti i suoi dipendenti per assicurare loro il suo sostegno contro le “accuse di violenza e razzismo”: «Non accetterò che alcune azioni individuali mettano in discussione il baluardo repubblicano che siamo, contro la delinquenza e contro chi sogna il caos e l’anarchia. Potete contare su di me…». A irritare il prefetto, le cui pratiche sono giudicate “giuridicamente dubbie” perfino dagli alti funzionari della gendarmerie, è stata la sentenza di un Défenseur des droits, un garante dei diritti umani, Jacques Toubon, che ha disposto l’interrogatorio del ministro dell’Interno sulla “molestia discriminatoria” di alcuni agenti del 12° arrondissement di Parigi (dodici membri del Groupe de soutien des quartiers, GSQ, che si facevano chiamare le Tigri) contro giovani immigrati tra i 14 e 23 anni definiti “indesiderabili” nei verbali e oggetto di pratiche vessatorie e violenze prolungate, insulti, manganellate, palpazioni, “incoraggiati dalle istruzioni impartite dalla gerarchia”, scrive Toubon. È la prima volta che un organismo statale riconosce la discriminazione sistemica della polizia. Il 24 maggio, Castaner, il ministro chiamato in causa, ha negato tutto ma al Senato, il 3 giugno, ha dovuto promettere che “ogni colpa, ogni eccesso, ogni parola, comprese le espressioni razziste” sarà oggetto di “un’indagine, una decisione, una sanzione”. A mutare il quadro, gli sviluppi di un’inchiesta sulle torture rivelate da un video in cui alcuni agenti di polizia torturavano un “bicot” (un insulto razzista per designare un nordafricano, ndr) arrestato il 27 aprile a Île-Saint-Denis, il dipartimento più povero e più colpito dagli abusi di polizia. Castaner ha sospeso i due poliziotti ma intanto 8000 agenti sul gruppo Facebook “TN Rabiot Official Police” si scambiano ogni giorno messaggi razzisti, sessisti, omofobici e persino “appelli all’omicidio”. 

Il sito di inchiesta Mediapart e Arte Radio hanno ascoltato decine di vocali scambiati da sei poliziotti di Rouen alla fine del 2019 su un gruppo WhatsApp. Convinti dell’imminenza di una “guerra razziale” per la quale facevano scorta di armi, questi agenti lanciavano insulti a tutti i “nemici della razza bianca”: “puttane”, le donne in genere e anche le loro colleghe poliziotte, “negri”, arabi (“bougnoules”), “zingari del cazzo, “figli di puttana” che “gestiscono il paese” in compagnia di “sinistrorsi” (gli ebrei), “froci”, naturalmente. 

Come il quotidiano Paris-Normandie e il sito web 76actu hanno rivelato a gennaio, questi fatti sono stati scoperti e denunciati nel dicembre 2019 da un poliziotto nero di 43 anni che ha trovato il coraggio di denunciare i propri colleghi. I sei si dichiarano fascistissimi, “gros fachos”, e sembrano ossessionati dall’idea che le donne bianche possano preferire gli stranieri.  

I controlli d’identità sono venti volte più numerosi per i giovani francesi d’origine africana o araba per via di un razzismo intrinseco a un retaggio culturale coloniale tramandato tanto nelle fila della polizia quanto all’interno dell’apparato statale. Una situazione che il lockdown ha reso ancora più drammatica con uno stillicidio di abusi violenti e l’uso spregiudicato e incostituzionale dei droni nelle banlieu. L’8 aprile, Mohamed Gabsi, 33 anni, è morto dopo essere stato arrestato da tre agenti della municipale di Béziers (Hérault) durante un controllo relativo alle misure di contenimento. Ammanettato e messo a terra a pancia in giù per alcuni minuti, è stato poi trasportato alla stazione di polizia nazionale nel retro di un veicolo ancora ammanettato e a pancia in giù, con uno dei poliziotti seduto su di lui. L’autopsia sembra terribilmente simile a quella dell’americano Floyd o degli italiani Aldrovandi, Magherini, Ferrulli o del migrante Arafet morto a Empoli e per il quale sta per iniziare un processo. Il fascicolo è aperto per “violenza intenzionale che ha portato all’omicidio preterintenzionale da parte di un responsabile della pubblica autorità” e “mancata assistenza a una persona in pericolo”.

Nonostante il divieto di raduni dovuto all’emergenza covid, sta crescendo la mobilitazione, degli influencer sui social e dei movimenti nelle piazze come ha spiegato un’esponente di Desarmons-les, un’associazione che si occupa della lotta agli abusi partecipando il 10 giugno alla conferenza di lancio della campagna di sottoscrizione per l’italiana Acad. Il primo giugno si è tenuta a Bondy una manifestazione per protestare contro il pestaggio di un quattordicenne durante il suo arresto, e la sera del 2 giugno, a Parigi, 20mila persone hanno manifestato su iniziativa del Comitato Verità e Giustizia per Adama Traoré che suppicò «I can’t breathe» («Je ne peux pas respirer») ben prima di George Floyd, il 19 luglio 2016, a Beaumont-sur-Oise, prima di morire. L’americano e il francese, avevano in comune la pelle nera. «La polizia rivela la verità di uno Stato. Quando il razzismo diventa cancrena, è perché il potere, le sue alte sfere e le sue élite, sono esse stesse malate, vinte da un sordo odio per la democrazia, per il popolo, per l’uguaglianza. Questo vale per la Francia, non solo per gli Stati Uniti», ha scritto Edwy Plenel, co-fondatore e presidente di Mediapart nel 2008 dopo 25 anni a Le Monde e prima ancora a Rouge.  «Il razzismo – spiega Plenel – è una macchina da guerra contro l’affermazione autonoma della vitalità popolare, il cavallo di Troia della sua espropriazione e sottomissione. Facendo capri espiatori, abituando le persone alla discriminazione, permettendo la violenza, diffonde il veleno di una disuguaglianza naturale, legata all’apparenza o all’origine. E, di conseguenza, legittima una generale messa in discussione della parità di diritti».

Intanto, il Presidente si rifiuta di pronunciarsi sull’argomento. Durante la campagna presidenziale aveva promesso “tolleranza zero per ogni forma di delinquenza o inciviltà, per ogni deviazione, ogni eccesso, ogni violenza della polizia”, ma una volta eletto ha cambiato radicalmente il suo discorso, arrivando a rifiutare l’uso di questa espressione. «Non parlare di “repressione” o “violenza della polizia”, queste parole sono inaccettabili in uno Stato di diritto», ha detto nel marzo 2019. Così si possono capire i contegni di Castaner e Lallement che una volta, incrociando una donna con il gilet giallo, le disse: «Non siamo dalla stessa parte signora». «Credo che la situazione dei nostri due Paesi non sia del tutto paragonabile. Né in termini di storia, né in termini di organizzazione della società», ha detto Sibeth Ndiaye, portavoce del governo, dopo la riunione di gabinetto del 3 giugno. Con questo articolo inauguriamo un piccolo dossier sulla malapolizia e la repressione in Francia perché quello che sta succedendo al di là delle Alpi ha molto da spiegare anche a noi (checchino antonini).

 

Il diritto di uno Stato che organizza il dominio e la riproduzione della classe dominante sul resto della società non può che essere profondamente disuguale, ingiusto e, in ultima analisi, illegittimo. Le istituzioni che ne derivano sono poi violente, in varie forme e gradi, dall’educazione nazionale alla polizia. Perché tutti mirano ad ottenere il minimo consenso dei cittadini, quella che alcuni ricercatori chiamano “disciplina sociale”. La polizia, in quanto unica istituzione che possiede legalmente i mezzi per costringere fisicamente con la forza gli oppositori di questo ordine sociale e politico, è quindi la più strutturalmente violenta. È il braccio armato dello Stato al servizio del capitale.

Presentare le nostre ribellioni

Angela Davis afferma che “la repressione non è mai così violenta come quando le mobilitazioni si oppongono al capitalismo o all’imperialismo. E la repressione è tanto più brutale quanto più il sistema economico schiaccia sempre più gli sfruttati e gli oppressi e quanto più cresce la protesta. Così, in Francia, una soglia reale e simbolica è stata varcata con l’attacco al corteo della CGT in occasione della manifestazione del 1° maggio 2019 a Parigi. Mai visto prima! Negli ultimi anni, tutte le nostre manifestazioni sono state sistematicamente attaccate, da quelle contro il diritto del lavoro a quelle contro la riforma delle pensioni. L’eruzione dei Gilet gialli ha causato il panico ai vertici dello stato, innescando un eccezionale livello di repressione. In un anno: 4.500 feriti, di cui 250 gravemente feriti, 25 frastornati, cinque mani strappate. 1.000 persone sono state condannate a pene detentive, 1.200 a pene sospese. C’erano 12.000 persone in custodia della polizia, diverse centinaia di persone sono state vietate a manifestare o a trovarsi in certi luoghi e molte sono state poste agli arresti domiciliari.

La guerra interna

La decisione di aumentare l’uso di armi “non letali” mira a dissuadere i manifestanti dall’esercitare il loro diritto di manifestare evitando di uccidere, che ha sempre un costo politico in una “democrazia”. L’invio in massa di gas lacrimogeni all’inizio di una dimostrazione permette talvolta di disperderli “ad un costo inferiore”. Oltre alla gassazione, anche il trattamento dell’acqua (chiamato anche “encagement”, che in molti paesi è vietato) è molto efficace nel ritardare o addirittura nell’impedire una dimostrazione. Per quanto riguarda le varie armi elettriche ad impulso non letali, Paul Rocher sottolinea giustamente che il loro scopo è quello di incidere nella carne, marcare le menti, e a volte segnare le vite per sempre. Diversi osservatori sottolineano che l’aumento della capacità tecnica sta aumentando la violenza delle forze dell’ordine, con gli agenti di polizia che sparano più spesso e più velocemente. Questo afflusso di armi usate sia nelle guerre imperialiste che sul fronte interno sta, ovviamente, alimentando il crescente mercato internazionale della coercizione.

La forza “legale” impone la sua legge quando nulla la ferma. Si sviluppa senza limiti quando l’impunità è quasi illimitata. Così Jacques Toubon, difensore dei diritti, testimonia che delle 34 denunce che ha presentato al Ministero della Giustizia, nessuna ha avuto successo. Rafforzare l’immunità significa anche allineare le condizioni di tiro degli agenti di polizia con quelle dei militari, che sono più flessibili. Oppure decidere di beneficiare a priori della presunzione di autodifesa. Inoltre, le direttive date sono molto vaghe. Ad esempio, cosa si intende per “reagire in modo proporzionato, usare la forza strettamente necessaria” e come si riconoscono coloro che “possono aver commesso un reato”? Quindi dobbiamo interpretare, dare risposte che diventano abitudini di risposta, applicazioni della regola che tendono ad allargarsi. Per fare legge.

In queste condizioni non ci sono, o ci sono pochissimi, veri e propri “errori” della polizia, ma un sistema di violenza ordinaria in cui la polizia fa ampio uso dell’immenso campo lasciato a loro disposizione. E ciò che chiamiamo “violenza della polizia” sono quegli atti a cui non siamo abituati – o non siamo ancora abituati? -il pestaggio di un adolescente o la morte violenta e ripetuta di un adolescente?

Una forza di polizia neocoloniale

Oggi la polizia francese è considerata la più violenta tra le forze di polizia degli Stati dell’Unione Europea. Senza dubbio perché non solo reprime le nostre ribellioni con le armi da guerra, ma anche perché reprime le persone per quello che sono e/o per il quartiere in cui vivono, “in questi territori perduti della Repubblica, queste zone senza legge dove si tratta di andare a portare il ferro” (Nicolas Sarkozy). Così, durante questi mesi di ristrettezze, i quartieri popolari sono stati regolarmente sorvolati da droni, gli autobus CRS parcheggiati nelle loro vicinanze e il sindaco di Nizza ha addirittura istituito un coprifuoco a due velocità: alle 22.00 per i più ricchi, alle 20.00 per i più poveri e alle 22.00 per tutti gli altri.

I controlli facciali sono sempre “discriminatori” sistematicamente”, dice il difensore dei diritti Jacques Toubon, che ripete che i giovani arabi o i neri sono 20 volte più controllati degli altri. Controlli di natura razzista, quindi, e che molto spesso degenerano. Il Front uni des quartiers populaires (FUIQP) ha contato 700 giovani uccisi dagli anni ’70, quasi la stessa cifra dell’IGPN nel 2019, che ha riportato 14 morti all’anno di giovani in scontri con la polizia. Eppure, nonostante le numerose raccomandazioni, non ci sarà nessuna traccia di questi controlli. Perché si tratta di controllare ripetutamente le classi lavoratrici e in particolare quelle “di origine immigrata”, per tenere rinchiuse queste persone colonizzate. Colonizzati dalle colonie inviate ieri come combattenti sul fronte di guerra, colonizzati dall’interno inviati oggi come “primi della fatica” sul fronte della pandemia!

Lo stato di polizia

Macron accelera la virata securitaria. L’essenza dello stato di emergenza decretato nel novembre 2015 è ora sancita dalla legge ordinaria. Alcune clausole dello stato di emergenza sanitaria potrebbero continuare oltre il 10 luglio, come il divieto di raduni, manifestazioni o riunioni. Una nuova e ingiustificata presa di potere sulle nostre libertà!
Più in generale, la loro democrazia è a mezz’asta: le decisioni importanti vengono prese in un incontro furtivo settimanale di alcuni ministri, alti funzionari ed esperti, con Macron e scelti da lui. Questo Consiglio di difesa domina l’esecutivo, che domina il legislativo, così come l’amministrativo sostituisce il giudiziario. In questo quadro, sì, la polizia ha pieni poteri!

 

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