16.5 C
Rome
mercoledì, Dicembre 18, 2024
16.5 C
Rome
mercoledì, Dicembre 18, 2024
Homepadrini & padroniIl bazinga di Vitali e il toto-nomi alternativi a Conte

Il bazinga di Vitali e il toto-nomi alternativi a Conte

Lo stato della crisi. Arriva l’11° responsabile ma poche ore dopo se ne va. Pd e M5s si stringono attorno a Conte ma spuntano altri nomi. La Cgil suggerisce

«Ho deciso di sostenere il presidente Conte, perché in una situazione drammatica come quella che vive il Paese, vedo gente pensare più a interessi di parte, seppure legittimi, anziché pensare a cosa serve al Paese». Non vi spezza il cuore quando (sono le 22 di ieri) il senatore Luigi Vitali, ex sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi, annuncia all’Adnkronos l’addio al gruppo di Forza Italia e il suo sostegno al Conte ter. E’ lui l’11mo uomo del gruppo dei responsabili? Chi cazzo è Vitali non lo sa nessuno, pare, visto che per un po’ viene indicato dalle agenzie come uno che avrebbe fondato con Toti la scissione di “Cambiamo”. Deve intervenire Toti per dire che Vitali non è mai stato nel gruppo con cui il governatore ligure voleva traghettare un po’ di quella gente da Fi alla Lega quando questa appariva irresistibile. Vitali ha mosso i primi e i secondi passi, ossia fino a 40 anni, nel Msi nella sua Puglia. Solo quando individua un altro uomo della Provvidenza, nel 95, approda a Forza Italia per conto della quale sarà anche consigliere del Csm. L’adesione a Cambiamo di Toti l’aveva annunciata ma non è cambiato granché, resta nel gruppo azzurro ma alle ultime regionali pugliesi fiancheggia la Lega.

«Non è questo il momento delle contrapposizioni, ma – assicurava Vitali – di dare come classe dirigente complessiva un segnale a chi non ha ancora ricevuto la Cig, il vaccino, a chi è stato costretto a chiudere attività, alle partite Iva, alle imprese ai commercianti, che il Paese è unito, perché solo insieme si uscirà dal tunnel». «C’è tempo per le contrapposizioni e per le diversità, oggi – rimarcava Vitali – è il tempo dell’unità e il presidente Conte mi sembra quello che la possa garantire. Sono uscito a giugno del 2019 da Forza Italia per contrasti con il vicepresidente Tajani. Stavo nel gruppo di Fi – rivela – perchè la presidente Bernini, alla quale mi lega un sincero rapporto di amicizia e di riconoscenza, mi ospitava. Ho comunicato questa sera alla presidente Bernini la decisione di sostenere il presidente Conte». È quindi pronto a votare il Conte ter? «Sì», assicurava l’ex azzurro. Bazinga, direbbe Sheldon Cooper. La notte porta consiglio, si potrebbe dire, magari sotto forma di telefonate di Salvini e Berlusconi. Così alle 9.45, mentre scriviamo questa nota, l’Adn batte la marcia indietro: nessun appoggio politico al Conte-ter. «Nelle scorse ore ho avuto modo di interloquire con il Presidente del Consiglio Conte sottoponendogli l’urgenza e l’importanza per il Paese di una riforma complessiva della Giustizia dichiarando il mio appoggio ad un ritorno allo stato di diritto e di garanzie nel processo. E’ inaccettabile pensare che in un Paese civile siano stati aboliti i termini della prescrizione quando i processi hanno una media di durata al di là di tutti gli standard europei. Questo ragionamento condiviso con Conte» dice «era nel solco di quanto già dichiarato dal Presidente Berlusconi sull’apertura ad un Governo Istituzionale e a quanto dichiarato dal Segretario Matteo Salvini circa la volontà di parlare con chiunque a patto che fossero messi al centro i contenuti di una piattaforma di Governo che prevedesse tra gli altri una riforma della Giustizia e Fiscale. Percorsi utili ed essenziali per evitare elezioni anticipate che tutt’ora ritengo insensate. Ribadisco dunque nessun appoggio politico al Conte Ter».

Finita qui la favola del gruppo dei responsabili, si chiamano Europeisti, la paura del voto anticipato passa in secondo piano ma emerge la tarantella sul nome del prossimo premier ma a proposito di traghettatori non è in panne solo Toti che voleva rimpinguare il Carroccio con pezzi azzurri ma anche Renzi che immaginava di catalizzare i forzisti che sarebbero restati al Centro. «Il Partito democratico ha una sola parola ed esprime un nome come possibile guida di un nuovo governo di cambiamento, quello di Giuseppe Conte. Ma sarebbe insufficiente affidarsi ad un nome se in questi giorni tutti, sottolineo tutti, non compiono un atto di generosità nei confronti dell’Italia facendo un passo in avanti». E ancora, dice Nicola Zingaretti alla direzione Pd: «Negli attuali equilibri parlamentari figli della sconfitta del 2018, Giuseppe Conte, rappresenta un punto di equilibrio credibile». Se Vitali vi ha commosso un po’, queste parole di Zingaretti potrebbero farvi venire il diabete, come una canzone di Marco Masini: «Il Pd è il pilastro della politica responsabile e del primato del bene comune». Tutti giurano di non mettere veti ma anche di non accettare veti. La retorica politicista trasuda nelle parole dei politici alle prese con la crisi. Tutto ciò mentre le cronache dicono della «non poca irritazione» dei parlamentari di Italia Viva per le parole di Di Battista e di una fronda di parlamentari del M5S che “O Conte o niente”. Salvini scommette sull’uscita di scena del cosiddetto avvocato del popolo, Di Maio, dicono, studia da premier ma forse gli farà le scarpe Lamorgese la ministra degli Interni che, secondo Maso Notarianni di Mediterranea (oggi su Domani) non ha brillato certo per discontinuità con Salvini nella gestione dei migranti. Il Riformista, house organ di Italia Viva diretto dal “comunista” Sansonetti, apre su Gentiloni (che Renzi vedrebbe in ticket con Draghi) ma iscrive al toto-nomi anche Fico, Patuanelli e Guerini. Renzi, dopo la crisi al buio, si rivela nella veste di uomo d’affari travestito da conferenziere a pagamento, o viceversa, in compagnia di finanzieri legati al regime di tagliagole dell’Arabia Saudita e faccendieri legati ad altri galantuomini come Sarkozy e Trump, sognando la nomina al vertice politico della Nato, tempio degli affari per il complesso militare-industriale. Nelle prossime ore potrebbe tornare a fare l’ago della bilancia e ad essere corteggiato perfino dall’ala realista dei cinquestelle. L’ex idolo della sinistra, oggi leader di “Arabia Viva” – chi non ha avuto la propria cerchia di conoscenti “liberal” folgorata per Renzi? – trova il tempo di scagliarsi contro «la creazione di gruppi improvvisati» al Senato.

Non credo di aver mai scritto un articolo così zeppo di frasi fatte e senza senso, ma sono tutti virgolettati. A domani, forse, per la prossima puntata di questa appassionante crisi di governo. Credo di avere internet in panne oppure i social mi nascondono le prese di posizione di Rifondazione. Oppure il Prc non sa ancora cosa dire di questa crisi di Palazzo in un contesto in cui, il Parlamento si è rifiutato di ragionare sulla relazione tra pandemia e sanità pubblica stremata dai tagli, di tassare i ricchi e tagliare le spese militari per rilanciare trasporti, scuola e sanità. E sono tutti contro tutti sulla questione dei fondi europei, che sono tanti ma sono anche debiti e l’Ue pretende nuove “riforme”. A paralizzare quello che resta della sinistra “radicale” è la paura di andare al voto. E la Cgil, il più numeroso sindacato d’Europa, elargisce suggerimenti anziché mobilitazioni: «Io spero che questo Paese possa avere rapidamente un governo nel pieno delle sue funzioni. Trovo folle l’ipotesi di andare al voto e che non si affrontino i veri problemi che abbiamo di fronte. La gente comune non capisce perché non si affrontano seriamente i problemi del Paese e il voto non è la soluzione». Lo ha detto ieri il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, rispondendo anche alle domande sui sussidi e i ristori di questi mesi. Per il leader della Cgil è necessaria la riforma degli ammortizzatori sociali che i sindacati chiedono da tempo anche perché in questi mesi ci sono state imprese e settori martoriati dalla crisi e altri che ne hanno beneficiato. Il problema quindi non sono i sussidi senza i quali ci sarebbe stata una vera e propria strage di posti di lavoro, ma i criteri nell’erogazione. E per cominciare a combattere la diseguaglianza in fortissima crescita c’è bisogno di affrontare il tema della riforma fiscale. Per questo sarebbe auspicabile uscire il più presto possibile dalla crisi di governo, c’è bisogno di responsabilità e non si può più perdere tempo prezioso». «Un suggerimento che sarà ascoltato?», si chiede retoricamente il redattore del mattinale sul sito del sindacato di Corso Italia. Magari se glielo dici con uno sciopero, una manifestazione. Ma cosa vado a pensare.

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Ponte Morandi, l’elaborazione del lutto è un monologo

La traiettoria calante di Pietro Giannini arriva sul palcoscenico della Sala Mercato, come nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova

Ddl Lavoro, più semplice licenziare

"Semplificazione e regolazione": per i padroni sarà più semplice liberarsi dei lavoratori tutelati 

Omicidio Thompson: risposta criminale a una situazione criminale

Chi è Luigi Mangione, l'omicidio del Ceo di UnitedHealthcare. I misfatti delle assicurazioni sanitarie negli Usa 

Argentina: perché Javier Milei resta in piedi

A un anno dall'insediamento, lo scenario di un rapido impeachment si è allontanato. Tra le cause: la frammentazione dell'opposizione e l'inflazione bassa [Ludovic Lamant]

Macron riesce a dividere la sinistra

Gli abboccamenti dell'Eliseo galvanizzano il PS, in rottura strategica con Mélenchon. Zig-zag degli ecologisti e PCF in crisi con Roussel [Mathieu Dejean e Pauline Graulle]