Dalla macelleria sociale contro la Grecia a Palazzo Chigi, storia di un messia crudele della borghesia [Marco Parodi]
Piccola intro a questo dossier con le parole di Tommaso Fattori, già consigliere regionale in Toscana per la sinistra radicale, che ha commentato la santificazione, senza eccezioni e in vita, a reti unificate, di Mario Draghi. “Rai1, Rai2, Rai3, Mediaset, La7 sono in solluchero e così tutti i principali quotidiani del Paese, dal Corriere a Repubblica, dal Sole24Ore alla Stampa. La cosa non deve stupire, visto che i proprietari di quotidiani e TV private sono, per l’appunto, importanti gruppi economico-finanziari e imprenditori multimiliardari, dagli Agnelli-Elkann a Cairo, da Berlusconi a Mediobanca. Più che organi di informazione, giornali e TV sono attori politici essi stessi, che influenzano le scelte della classe politica e l’opinione pubblica. Intendiamoci, l’agiografia è una vera e propria arte e la stampa italiana, all’occorrenza, ne è maestra. Ecco una casuale panoramica su alcuni (sobri) titoli apparsi in questi giorni:
“Mario Draghi, quegli studi a Roma nel liceo delle élite: era già bravo in matematica” (La Repubblica)
“Mario Draghi e l’allievo diventato scrittore: elegante, analitico e ironico, così mi ha fatto appassionare all’economia” (La Repubblica)
“Il premier senza social diventa una star del web: non ha profili in Rete, ma da tre giorni il suo nome spopola come creatura fantasy o bonario Pokémon” (La Repubblica)
“Dalle cene nelle taverne del Palio alla fila al mercato con la moglie, la vita normale di Draghi: il sindaco e il parroco raccontano di lui: lo si vede spesso con la moglie Serena, in fila al mercato o per fare una passeggiata” (La Repubblica)
“Il metodo Mario Draghi, prof a Firenze con alloggio in pensioncina. I suoi esami? Ai ragazzi lasciava libri e calcolatrice” (La Repubblica)
“Le cose vanno fatte al meglio e con onestà: Mario Draghi e l’insegnamento del Massimo di Roma, il prestigioso istituto dei gesuiti” (La Repubblica)
“Draghi, l’istruzione dai gesuiti, i genitori persi a 15 anni: chi è l’uomo che ha salvato l’euro” (Il Corriere della Sera)
“Draghi «l’intaggabile» che conquista i giovani anche senza social” (Il Corriere della Sera)
“Quella volta a Polignano quando la signora Draghi cantò Volare” (Il Corriere della Sera)
“Ha salvato l’Europa, ora guarirà il paese” (La Stampa)
“Ecco Supermario, tutto è possibile” (La Stampa)
“Finalmente Draghi!” (Il Giornale)
“La sfida di Draghi: finisce l’era egli incapaci” (Il Tempo)
“La rivoluzione di Draghi: opportunità e non più sussidi” (Il Tempo)
“Conoscenza, coraggio e umiltà, le parole chiave nei discorsi di Mario Draghi” (Redazione Ansa)
“Dulcis in fundo – conclude Fattori – ma in questo caso i titolisti non c’entrano:
Brunetta: “Mario Draghi è un raggio di luce” (Il Corriere)
De Luca: “Draghi come Cristo” (Adnkronos)
“Giorgetti: Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo, non può stare in panchina” (Il Corriere e vari altri quotidiani: dato che finalmente Salvini e i suoi sono considerati ‘responsabili’, merita grande attenzione ed elogi il leghista-statista Giorgetti). Amen”.
Ed ecco un pezzo che condividiamo col sito di Sinistra Anticapitalista, corredato dalla famigerata lettera del 2011 di Trichet e Draghi al governo italiano e da un appello di economisti europei per la cancellazione del debito degli stati in corpo alla Bce. Ma vi suggeriamo di seguire la pista anche leggendo gli articoli di Marco Bersani, sul sito di Attac, di Comune-info o sul Manifesto, e un articolo di Umbria Left in cui Alberto Giovagnoni già all’inizio di gennaio ipotizzava che Renzi, ormai bollito come leader, stesse costruendo il corridoio “disumanitario” per Draghi. Buona lettura
Viva viva Santo Draghi, viva viva Santo Draghi!!! Tutti ma proprio tutti a cantare le lodi del Salvatore. Finalmente, l’Uomo della Provvidenza per la Salvezza dell’Italia. E allora .. “Dal vangelo di Mario Draghi, il Messia della Borghesia Italiana”.
In quel tempo, il professor Mario Draghi veniva considerato l’allievo dell’economista Federico Caffè. Mai una scemenza più clamorosa. Certamente, egli conseguì la laurea con il professore scomparso nel 1987, con una tesi peraltro sulla impossibilità di considerare l’Europa come un’area valutaria ottimale, ma tutta la sua carriera futura è stata all’insegna del tradimento più becero del pensiero e della scuola di Federico Caffè, tanto da poter essere oggi tranquillamente additato come uno dei suoi bersagli maggiori, ovvero i celeberrimi “incappucciati della finanza”. Piuttosto, Draghi conseguì il dottorato alla MIT della Cambridge americana e divenne piuttosto l’allievo del Nobel Franco Modigliani. Per i meno addetti ai lavori, si tratta di una visione neokeynesiana opposta a quella di sinistra di Federico Caffè: nei loro confronti potremmo usare l’epiteto di un’altra economista keynesiana di sinistra, Joan Robinson, ovvero quello del “keynesismo bastardo”.
Premessa, non apparteniamo a nessuna scuola di tipo keynesiano, ma la chiarezza è d’obbligo. Per essere chiari e sintetici, la versione di Modigliani incastrava pienamente lord Keynes nell’economia mainstream, facendo divenire la Teoria generale di Keynes un caso particolare e fallimentare del mercato e della teoria economica borghese dominante; viceversa, la scuola di Caffè ha sempre cercato di mostrare la generalità del fallimento del mercato e della cosiddetta mano invisibile, il Mercato, e, al tempo stesso, l’estrema particolarità della validità dell’economia dominante e della necessità dell’intervento della cosiddetta mano visibile, lo Stato. Dunque, paragonare Draghi a Caffè è innanzitutto improprio sul piano teorico. Non solo, si tratta di un’assurdità anche sul piano pratico. Tutti gli interventi del professor Draghi, come governatore della Banca d’Italia e come presidente della Banca Centrale Europea, sono stati ispirati al principio del rilancio della competitività basato sulla riduzione del costo del lavoro e delle liberalizzazioni e privatizzazioni; Federico Caffè si svenò per difendere la scala mobile dei salari e vedeva nelle privatizzazioni e liberalizzazioni il peggiore incubo sia per l’economia sia per la crescita della disuguaglianza. Dunque, siamo agli antipodi.
Successivamente, nel 1991 Mario Draghi viene chiamato da Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia e a quel tempo ministro del Tesoro del governo Andreotti che firmerà il trattato di Maastricht, come Direttore Generale. L’obiettivo del mandato è chiarissimo: portare a termine un amplissimo programma di privatizzazioni e liberalizzazioni delle imprese pubbliche italiane. Aldilà dell’episodio del panfilo HMY Britannia, in cui incontrò gli alti rappresentanti della finanza internazionale per pianificare il programma di privatizzazioni, resta che nel decennio tra il 1991 e il 2001 in Italia venne stravolto il sistema capitalista in senso ultraliberista e privatizzatore, con la complicità diretta dei governi di centro sinistra. Nel 2005 viene nominato governatore della Banca d’Italia per rimpiazzare Antonio Fazio, costretto alle dimissioni. Come Governatore della Banca d’Italia, ricordiamo le sue annuali Considerazioni finali sullo stato dell’economia italiana, sempre protese alla denunzia dell’alto debito pubblico e alla conseguente necessità delle politiche liberiste dell’austerità e delle riforme delle pensioni, nonché della bassa competitività e alla conseguente necessità della riforma della contrattazione e del mercato del lavoro.
Il 5 agosto del 2011, a seguito della crisi finanziaria dei titoli di stato italiani, invia una lettera cofirmata con l’allora presidente della BCE, Jean Claude Trichet, al Corriere della Sera. Si tratta di un autentico capolavoro del pensiero e della visione liberista. La ripubblichiamo molto volentieri alla fine di questo articolo perché rimane un cimelio del cinismo impopolare della borghesia e del capitalismo. Ricordiamo l’antefatto. L’Italia necessita di un intervento della BCE a sostegno dei suoi titoli di stato, i cui prezzi stanno crollando e i rendimenti stanno schizzando. Ciò pone in serio pericolo il finanziamento della spesa pubblica, delle pensioni e degli stipendi pubblici. La BCE partorisce allora il primo ricatto della sua storia: si dichiara pronta a acquistare i titoli pubblici italiani solo in cambio di una lista di riforme da attuare in tempi strettissimi. La visione costituzionale di Draghi andava oltre l’impensabile: non solo la banca centrale deve essere indipendente, come amava insegnare in cattedra, ancora una volta ripudiando tutto il keynesismo, ma addirittura prevedeva che fosse il potere legislativo a essere subalterno al potere monetario, in un vero e proprio stravolgimento della democrazia formale e costituzionale.
Le riforme vincolanti sono elencate nella lettera suddetta, ma ne indichiamo un estratto di decalogo solo per rendere l’idea: i) la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali, attraverso privatizzazioni su larga scala; ii) riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione; iii) una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti; iv) intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico; v) valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi; vi) andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali; vii) garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese; viii) negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance; ix) forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province); x) sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
La storia andò diversamente. Il governo Berlusconi si mostrò incapace di portare avanti le riforme strutturali richieste, nonostante la promessa data per ottenere l’intervento di acquisti straordinario da parte della BCE; il governo Monti fu successivamente chiamato ad obbedire a quella lista della spesa delle controriforme. Ma la lezione servì e come al nostro Professore, irriducibile ultraliberista. Infatti, come presidente della BCE, indicato per ironia della sorte proprio da Berlusconi, come già era avvenuto peraltro per la nomina alla Banca d’Italia, dovette fronteggiare quella che ormai i tedeschi chiamavano la no Berlusconi clause, ovvero le classiche promesse non mantenute. Nacque così il whatever it takes, ovvero il discorso del 26 luglio 2012 con il quale si presentava la riforma prevista con il programma degli OMT (agosto 2012) e del MES (settembre 2012). In pratica, il programma degli OMT (Outright Monetary Transactions) e il funzionamento del MES rappresentano l’istituzionalizzazione del ricatto della lettera del 2011. Il nuovo programma, infatti, prevede che la BCE acquisti titoli pubblici in modo incondizionato solo di fronte a un programma di aggiustamento macroeconomico sottoscritto in un Memorandum o Protocollo d’intesa e attraverso il sostegno economico e finanziario del MES (Meccanismo europeo di stabilità). Così nel celebre discorso del “tutto ciò che è necessario per salvare l’euro e credetemi sarà abbastanza” fu sancito definitivamente il ricatto borghese dell’austerità, che produrrà danni economici e devastazione sociale soprattutto in Grecia, ma non solo.
Già la Grecia. Qui siamo giunti davvero all’atto più criminale della sua brillante carriera. Per la verità tutta la sua storia di presidente della BCE è un clamoroso fallimento. Secondo la dottrina oscurantista borghese, la banca centrale deve avere infatti un solo obiettivo: la stabilità dei prezzi. Difatti, lo statuto della BCE prevede un solo obiettivo in termini di inflazione, vicina ma sotto al 2%. Un unico obiettivo, dunque. Totalmente mancato. L’inflazione è stata continuamente al di sotto del suo target, e neanche per poco. Un obiettivo, un fallimento. Il quantitative easing, ossia il programma di acquisto di titoli sul mercato secondario, varato da Draghi nel marzo 2015, con diversi anni di ritardo, è risultato completamente inefficace nella trasmissione della politica monetaria sull’economia reale, essendo da un lato accompagnato a politiche fiscali restrittive e, dall’altro lato, basato sull’assurda intermediazione del sistema bancario. Così, sempre nel 2015, con la Grecia, prima impone un vero e proprio colpo di stato, con i bancomat anziché con i carri armati, alle scelte del ministro Varoufakis, rimuovendo la flebo della liquidità di emergenza e violando lo stesso statuto della BCE, successivamente in qualità di membro della troika imponendo un inaudito programma di austerità, in termini di cospicui avanzi primari, da qui al 2060, con la complicità di tutti gli stati membri dell’Unione europea. Un atto di macelleria sociale che meriterà un giudizio inequivocabile da parte della storia futura.
Durante la pandemia, si susseguono tre interventi rappresentativi del Draghi pensiero. Il 27 marzo 2020 interviene sul Financial Times, invocando il debito pubblico affinché “la perdita di reddito sostenuta dal settore privato…possa alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.“. E ancora “La velocità del deterioramento dei bilanci privati – causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile – deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici.”, Dapprima, dunque, una richiesta spudorata in difesa univoca degli interessi e dei bilanci delle imprese e delle banche, attraverso il debito pubblico, da scaricare in futuro sulla classe lavoratrice, come del resto lui stesso ci aveva insegnato in modo lucido ed esemplare. Qui, il nostro commento a quell’articolo.
Successivamente, il 18 agosto scorso, il giorno dell’apertura del meeting di Comunione e liberazione, nel suo intervento, arriva invece a distinguere più precisamente tra un debito buono, quello utilizzato a fini produttivi, e un debito cattivo, quello utilizzato a fini improduttivi. Sembrerebbe l’uovo di Colombo; eppure letteralmente si capisce che il debito pubblico buono è sempre e soltanto quello che la borghesia e i mercati finanziari percepiscono come buono. Non potrebbe essere altrimenti. “I bassi tassi d’interesse non sono di per sé una garanzia di sostenibilità: la percezione della qualità del debito contratto è altrettanto importante. Quanto più questa percezione si deteriora tanto più incerto diviene il quadro di riferimento con effetti sull’occupazione, l’investimento e i consumi”. E qui già si assapora bene una sorta di nuovo ricatto borghese. Da quel momento in poi, l’Unione europea cominciò a rivedere l’ideologia dell’austerità per rimpiazzarla in modo tempestivo e sbalorditivo con una imponente svolta espansiva sul piano economico e finanziario. Una delle straordinarie capacità della borghesia è stata sempre quella di concepire e far apparire tutto e il contrario di tutto, con girotondi e capovolte improvvise, pur di perseguire impietosamente la propria causa manifesta: il profitto.
Improvvisamente, il ruolo dello stato, da opprimente, inutile e dannoso, si è trasformato in strumento fondamentale per una svolta epocale sul piano della crescita economica e della sostenibilità ambientale; allo stesso modo, il debito pubblico, tanto vituperato in passato, è divenuto la leva principale per la ripresa e la resilienza economica dell’immediato futuro. Statalisti di destra e statalisti di sinistra restano improvvisamente attoniti di fronte a questa presunta giravolta borghese. Si scopre in definitiva che l’invocato stato è sempre e comunque lo stato borghese, stato minimo o stato massimo a seconda delle circostanze. In altre parole, il debito pubblico che serve al profitto è buono; il debito pubblico che ostacola il profitto è cattivo. Questa è la logica chiara e semplice per comprendere come l’Unione europea si accinge a finanziare i programmi nazionali dei singoli stati membri. Si può ancora leggere il nostro commento a quell’intervento.
Infine, nel mese di dicembre 2020, pubblica, assieme all’ex presidente della Banca centrale indiana ed economista di Chicago, Raghuram Rajan, un rapporto del G30, dal titolo “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid” (“Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-Covid”), che verrà definito come la nuova “Agenda Draghi”. Il proposito è davvero inquietante. “È arrivato il momento di fare scelte fondamentali sul futuro e di passare a una seconda fase della pandemia: da una prima fase in cui il problema principale era la liquidità a quella successiva in cui lo sarà la solvibilità … il problema è peggio di quanto sembri perché in gran parte nascosto dall’ossigeno pubblico che però va affievolendosi. Anche le conseguenze economiche del Covid stanno cambiando e la strategia dei governi dovrà uscire dall’emergenza attraverso sussidi indiscriminati per fare delle scelte di fondo”, passando “dagli aiuti generalizzati a politiche molto più selettive”.
Nel Rapporto si elencano in tre grandi aree di interesse, la salute a lungo termine delle imprese, l’uso più produttivo delle risorse e la prevenzione di danni collaterali all’instabilità finanziaria, dieci principi fondamentali: i) agire con urgenza per affrontare la crescente crisi di solvibilità delle imprese; ii) indirizzare con attenzione il sostegno pubblico alle imprese, in quanto le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento; iii) adattarsi alla nuova realtà, con una certa dose di “distruzione creatrice”; iv) le forze di mercato dovrebbero essere autorizzate a operare ma i governi dovrebbero intervenire per affrontare i costi del fallimento del mercato; v) sfruttare l’esperienza del settore privato per ottimizzare l’allocazione delle risorse in quanto i governi sono solitamente meno capaci di scegliere vincitori e vinti e di strutturare iniezioni di finanziamenti che allineano adeguatamente gli incentivi; vi) bilanciare la combinazione di obiettivi nazionali più ampi con misure di sostegno alle imprese, come per esempio nella riconversione green in cui occorre evitare di imporre vincoli eccessivi alle imprese o un’allocazione troppo ristretta; vii) ridurre al minimo i rischi per i contribuenti; viii) essere consapevoli dell’azzardo morale ma senza evitare di “salvare” proprietari e manager che si erano presi troppi rischi (e troppi rendimenti, sic!); ix) trovare il giusto tempismo nella predisposizione e durata degli interventi, mitigando le tendenze politiche e burocratiche; x) anticipare potenziali ricadute sul settore finanziario, evitando di costringere le banche a concedere crediti in sofferenza per sostenere l’economia. Insomma, quando il buongiorno si vede dal mattino!
Guarirà i malati di Covid, con una linea aperturista e liberista; trasformerà la debole economia italiana nel segno di una competitività forte e resiliente, così come si trasforma l’acqua in vino; con le risorse del Recovery and Resilience Facility potrà avere effetti moltiplicativi sulla crescita economica, come si moltiplicano i pani e i pesci. Il tutto attraverso le stesse riforme strutturali richieste dalla Commissione europea come condizione imprescindibile per accedere ai prestiti e alle sovvenzioni, pagate con un aumento delle imposte: la riforma delle pensioni per eliminare quota 100 e ripristinare pienamente la Fornero e l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita; la riforma del mercato del lavoro nel segno della contrattazione di prossimità, del salario legato alla produttività aziendale, della riforma degli ammortizzatori sociali e del reddito di cittadinanza; la riforma della Pubblica amministrazione per una remunerazione e selezione del personale basata sulla premialità, sulla c.d. citizen satisfation e sulla valutazione della performance; per una riforma del fisco per spostare il carico fiscale dalle imposte dirette sulle imprese alle imposte indirette come l’IVA, e così via. Insomma, il Messia della borghesia non è altro che la crocifissione della classe lavoratrice!
Ripubblichiamo di seguito la lettera inviata al Corriere della Sera il 5 agosto 2011, nonché un appello firmato da 100 economisti per la cancellazione del debito post-Covid da parte della Banca Centrale Europea. Si tratta di un’iniziativa importante che merita di essere sostenuta, anche tenendo conto dell’immediata reazione contraria della Madame Lagarde, attuale presidente della BCE. Merita di essere sostenuta anche perché sottoscritta da molti economisti allievi e seguaci di Federico Caffè, quelli veri e non quelli fasulli. Sul piano teorico abbiamo sempre contrastato la visione keynesiana di sinistra, pur condividendone molte battaglie sul piano pratico, come questa sulla cancellazione del debito pubblico da parte della Banca centrale europea. Ciò nonostante, evitiamo che l’illustre economista si ribalti, in qualsiasi luogo figurato si sia sarcasticamente nascosto, perché costretto ad essere associato soltanto a Mister Draghi, l’incappucciato della finanza!
ECCO LA LETTERA DI DRAGHI E TRICHET DEL 2011 TRADOTTA IN ITALIANO
Francoforte/Roma, 5 Agosto 2011
Caro Primo Ministro,
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.
Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell’euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali».
Il Consiglio direttivo ritiene che l’Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali. Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti.
Nell’attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:
1.Vediamo l’esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed è cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.
- a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
- b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
- c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.
2.Il Governo ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
- a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi.
- b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.
- c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.
Vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
- Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate.
Con la migliore considerazione,
Mario Draghi, Jean-Claude Trichet
L’appello. «La Bce cancelli i debiti degli Stati»
Proposta firmata da oltre cento economisti europei venerdì 5 febbraio 2021
Pubblichiamo la proposta elaborata da un gruppo di economisti francesi, tra i quali Thomas Piketty, e già sottoscritta da oltre 100 loro colleghi di vari Paesi europei / Tutte le firme
La questione dell’annullamento del debito pubblico è tornata al centro del dibattito europeo. In questa pagina pubblichiamo un appello con la proposta di cancellazione del debito degli Stati in carico alla Bce elaborata da un gruppo di economisti francesi, fra i quali Laurence Scialom e Gaël Giraud, e che è stata sottoscritta in questa prima fase già da oltre 100 colleghi di diversi Paesi: oltre alla Francia, che vanta 50 adesioni fra cui quelle di nomi molto noti come Thomas Piketty, l’Italia, con 21 firme, la Germania, l’Irlanda, il Belgio, la Spagna, il Lussemburgo, la Svizzera, la Svezia, il Portogallo, la Grecia, l’Ungheria e il Regno Unito.
Il dibattito sulla cancellazione dei titoli di debito pubblico detenuti dalla Bce conosce un forte interesse pubblico in Francia, ma anche in Italia, nel Lussemburgo, in Belgio, nei corridoi delle istituzioni europee, presso gli stessi rappresentanti della Bce e dei diversi ministeri delle finanze della zona Euro. Questo dibattito è sano ed utile. Per la prima volta dopo molto tempo, la posta in gioco monetaria è oggetto di dibattito pubblico. La moneta cessa per un momento di essere un oggetto sottratto alla deliberazione collettiva e consegnato ad una banca centrale indipendente dai poteri pubblici, ma dipendente dai mercati finanziari. I cittadini scoprono, con sconcerto per alcuni di loro, che quasi il 25% del debito pubblico europeo è oggi detenuto dalla loro banca centrale. Dobbiamo a noi stessi il 25% del nostro debito. Se rimborsiamo questa somma, dovremo trovarla altrove prendendola nuovamente in prestito per far girare il debito invece di investirla oppure aumentando l’imposta oppure abbassando la spesa.
Eppure ci sarebbe un’altra soluzione. In quanto economisti, responsabili e cittadini impegnati nei diversi paesi, è nostro dovere sollecitare l’opinione pubblica sul fatto che la Bce potrebbe offrire agli Stati europei i mezzi per la loro ricostruzione in chiave ecologicamente sostenibile, ma anche riparare la frattura sociale, economica e culturale dopo la terribile crisi sanitaria che stiamo at- traversando. Non neghiamo che gli stati siano intervenuti e che misure di protezione non siano state adottate ma riteniamo che queste restino ancora insufficienti. Il piano di rilancio europeo fondato di uno stanziamento di 300 miliardi di euro nell’arco di tre anni, è ben lontano dai 2.000 miliardi di euro richiesti dal Parlamento europeo. È necessario ricordare che nel 2018, ben prima della crisi sanitaria, la Corte dei conti europea indicava già un fabbisogno minimo di 300/400 miliardi di euro d’investimenti supplementari all’anno per finanziare la transizione ecologica in Europa. Siamo ben lontani da quanto auspicato, ancora di più considerando l’impatto della crisi sanitaria.
Non intendiamo prendere alla leggera il tema dell’annullamento del debito pubblico, quand’anche riferito solo a quello detenuto dalla Bce. Sappiamo che eventi di cancellazione del debito sono momenti storici del tutto eccezionali e fondativi. Tale fu il caso della conferenza di Londra del 1953, quando la Germania beneficiò della cancellazione di due terzi del suo debito pubblico che gli permise di ritrovare il cammino della prosperità ancorando il suo futuro nello spazio europeo. L’Europa non attraversa forse una crisi di dimensioni eccezionali che giustificherebbe misure altrettanto eccezionali? Per fortuna, e diversamente dal caso storico citato, abbiamo la fortuna di avere un creditore che non ha certo paura di perdere il suo denaro: la Bce. La nostra proposta è semplice: sigliamo un accordo tra gli Stati europei e la Bce. Quest’ultima si impegnerà a cancellare il debito pubblico che detiene (o a trasformarlo in debito perpetuo senza interessi), mentre gli Stati si impegneranno a investire lo stesso importo nella ricostruzione ecologica e sociale.
Stiamo parlando di 2.500 miliardi per l’Europa nel suo complesso. Bastevoli a rispondere alle richieste del Parlamento europeo e soprattutto a salvaguardare l’interesse generale. Non vi è dubbio che la Bce possa permettersi una simile azione. Come riconosciuto da un gran numero di economisti, anche tra coloro che si oppongono ad una tale risoluzione, una banca centrale può funzionare con fondi propri negativi senza difficoltà. Può addirittura emettere moneta per compensare queste perdite: ciò è previsto dal protocollo n°4 accluso al trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Inoltre, giuridicamente e contrariamente a quanto affermano alcuni responsabili delle istituzioni, in particolare in seno alla Bce, l’annullamento non è esplicitamente proibito dai trattati europei. Tutte le istituzioni finanziarie a livello mondiale possono deliberare una rinuncia ai loro crediti – e la Bce non fa eccezione – d’altro canto, il temine ‘annullamento’ non figura né nel trattato né nel protocollo sul sistema europeo delle banche centrali (Sebc). Potrebbe dunque essere interpretata come contraria allo spirito del trattato, ma non si potrebbe esser detto lo stesso una misura oggi molto ben accettata come il Quantitative Easing voluto da Mario Draghi?
Ciò dimostra che in questo ambito solo la volontà politica conta: la Storia ha dimostrato a più riprese che le difficoltà giuridiche spariscono a fronte degli accordi politici. Occorre chiarire un malinteso: è ovvio che l’annullamento del debito detenuto dalla Bce, anche a condizione di un reinvestimento, non possa essere considerata la soluzione unica dirimente in materia di politica macroeconomica. Innanzitutto la Bce non interverrebbe se non per liberare il margine di manovra fiscale e non in- vestirebbe quindi direttamente. Alcuni pensano che i tassi di interesse deboli o negativi siano sufficienti a spingere gli Stati ad indebitarsi, ma non è ciò che dimostra la riduzione costante del livello di indebitamento pubblico medio nell’Unione tra il 2015 – anno In cui sono apparsi per primo tassi sul debito negativi, e l’inizio della crisi sanitaria. Molti stati hanno preferito ridurre il debito invece che indebitarsi per investire, malgrado i tassi negativi. Perché l’atteggiamento dei governi dovrebbe cambiare proprio ora?
Il patto stretto tra gli Stati e la Bce impedirà questa strategia di fuga di fronte alle responsabilità. Ma non ci si dovrà accontentare di ciò: sono necessarie altre misure in materia di riforma dei criteri di debito e deficit, di protezionismo ecologico e solidale, di riforme fiscali che abbiano come obiettivo la riduzione delle disuguaglianze e l’orientamento dei comportamenti collettivi, d’impulso dato alle banche d’investimento e di riforme relative agli aiuti di Stato. Una nuova governance europea, in particolare attraverso il passaggio ad una maggioranza qualificata in materia fiscale, deve essere messa in opera. L’Europa non può più permettersi di essere bloccata sistematicamente dalle proprie stesse regole. Altri stati nel mondo, come la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti, utilizzano al massimo la loro politica monetaria, in appoggio alla politica fiscale. La Banca del Giappone si spinge fino ad utilizzare il proprio potere di creazione monetaria per acquistare azioni direttamente sul mercato attraverso fondi di investimento a gestione passiva (Etf), diventando così il più grande investitore del paese.
Dobbiamo riflettere a servirci del potere di creazione monetaria della Bce per finanziare la ricostruzione ecologica e sociale, sotto il controllo democratico. La cancellazione da parte della Banca Centrale Europea del debito che detiene, in cambio di investimenti pubblici, costituirebbe il primo segnale forte della riconquista, da parte dell’Europa, del proprio destino.
Francia:
1.Nicolas Dufrêne, Haut fonctionnaire et directeur de l’Institut Rousseau ;
2.Jézabel Couppey-Soubeyran, maîtresse de conférences à l’université Paris-I-Panthéon-Sorbonne ;
3.Laurence Scialom, professeure à l’université Paris-Nanterre, EconomiX.
4.Gaël Giraud, directeur de recherche au CNRS, professeur à l’Ecole des ponts ParisTech ;
5.Aurore Lalucq, économiste, cofondatrice de l’Institut Veblen ;
6.Matthieu Caron, maître de conférences, université polytechnique des Hauts-de-France
7.Baptiste Bridonneau, doctorant à l’université Paris-Nanterre, EconomiX ;
8.Christian Wandebrouck, économiste et chercheur – Institut Rousseau
9.Luc Jacob, relations publiques monnaies et théories nouvelles,
10.Jean-François Ponsot, Professeur – Université Grenoble Alpes ;
11.Eric Toussaint, docteur des universités de Liège et de Paris VIII, porte-parole du Comité pour l’Abolition des dettes illégitimes (CADTM) ;
12.Thomas Piketty, Directeur d’étude – EHESS, professeur – École d’économie de Paris
13.Michel Crinetz, Commissaire-contrôleur général des assurances honoraire ;
14.Dominique Plihon, professeur – Université Sorbonne Paris Nord, membre des Economistes atterrés ;
15.Dominique Méda, Professeur de sociologie – Université Paris-Dauphine-PSL, directrice de l’Institut de Recherches Interdisciplinaires en sciences sociales ;
16.Christophe Revelli, Enseignant – Kedge Business School ;
17.André Tiran, Professeur – Lyon 2 ;
18.Isabelle Guérin, Institut de Recherche pour le Développement ;
19.Jean-Marie Harribey, Maître de conférences – Bordeaux-IV, Co Président – Attac ;
20.Catherine Samary, Enseignante – Université Paris X, membre du comité scientifique- Attac;
21.Pierre Khalfa, Fondation Copernic ;
22.Jérôme Trotignon, Maître de conférences-Lyon 3 ;
23.Caroline Lequesne Roth, Maître de Conférences – Université Nice Sophia Antipolis ;
24.Valérie Lafargue, Chargée de relation publiques – Monnaie Dettes ;
25.François Morin, Professeur émérite – Université de Toulouse, ancien membre du conseil général de la BDF ;
26.Gilles Dufrénot, Professeur de Sciences Économiques – Aix-Marseille Université, chercheur associé au CEPII ;
27.Olivier Passet, Directeur des synthèses au groupe Xerfi ;
28.Claude Simon, Professeur émérite – ESCP ;
29.David Guilbaud, Haut fonctionnaire ;
30.Adeline Baldacchino, Essayiste et haute fonctionnaire ;
31.Jérôme Blanc, professeur d’économie sciences Po Lyon ;
32.Marie Fare, Maître de conférences université Lumière Lyon 2 ;
33.Ludovic Desmedt, professeur de sciences économiques à l’université de Bourgogne
34.Denis Dupré, Enseignant-chercheur en éthique, finance et écologie à l’université de Grenoble-Alpes
35.Esther Jeffers, Professeure d’économie, Université de Picardie
36.Bruno Théret, économiste, est directeur de recherche (CNRS) à l’Institut de recherche interdisciplinaire en socio-économie (IRIS, université Paris-IX-Dauphine).
37.Patrick Saurin, syndicaliste Sud Solidaires BPCE
38.Jean-Claude Werrebrouck, professeur honoraire à l’université de Lille 2
39.Nicolas Bouleau, professeur émérite à l’Ecole des Ponts ParisTech, spécialiste des marchés financiers
40.Guillaume Duval, ancien journaliste économique
41.Jacques Millery, Ingénieur économiste, Centralien, Professeur en Développement Durable à l’EM Normandie
42.Ariane Tichit, économiste, maîtresse de conférences à l’Université d’Auvergne.
43.Thomas Lagoarde-Segot, économiste, KEDGE BS & SDSN France
44.Etienne Espagne, économiste
45.Yamina Tadjeddine, Professeure, université de Lorraine BETA,
46.Anice Lajnef, Ancien financier, entrepreneur
47.Gaétan Le Quang, Maître de Conférence, Université de Lyon 2
48.Yves Besançon, économiste, professeur de sciences économiques et sociales, ancien attaché de l’Institut national de la statistique et des études économiques (Insee).
49.Jean Gadrey, économiste, ancien professeur à l’université Lille-I
50.Marc Pourroy, économiste, maître de conférences à l’université de Poitiers
51.Véronique Danet, cadre bancaire
52.Ano Kuhanathan, économiste, membre du conseil scientifique de l’Institut Rousseau
53.Oriane Wegner, Spécialiste de régulation financière et membre de l’Institut Rousseau
54.Ezzedine GHLAMALLAH, entrepreneur et chercheur en Sciences de gestion.
Italia:
1.Guido Ortona, professeur honoraire, Università del Piemonte Orientale
2.Enrico Grazzini, économiste et auteur
3.Mario Tiberi, économiste et professeur à la Sapienza Université de Rome
4.Ugo Marani, Università di Napoli Federico II
5.Antonella Tropeano, University of Macerata
6.Riccardo Realfonzo, Università del Sannio
7.Leonardo Becchetti, Professeur – Université de Rome Tor Vergata ;
8.Terenzio Cozzi, prof emerito di Economia Politica, Università di Torino
9.Nicola Acocella, prof emerito di Economia Politica, Università di Roma La Sapienza
10.Fabio Berton, Università di Torino
11.Bruno Contini, prof emerito di Economia Politica, Università di Torino
12.Mauro Gallegati, Universita politecnica delle Marche
13.Anna Rita Germani, économiste, professeur à l’Université “La Sapienza”, Rome.
14.Maria Luisa Bianco, Università degli Studi del Piemonte Orientale
15.Giovanni Vaggi, University of Pavia
16.Piergiorgio Ardeni, University of Bologna
17.Alessandro Somma, Sapienza University of roma
18.Fiammetta Salmoni,Università degli Studi Guglielmo Marconi , Roma
19.Edmondo Mostacci, Université de Gênes
- Claudio de Fiores,Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli
21.Ines Ciolli, professeur associé à l’université Sapienza de Rome
Germania:
1.Peter Wahl, membre du Conseil Scientifique d’Attac Allemagne
2.Axel Troost, économiste, conseiller pour l’Institut d’analyse sociale de la Fondation Rosa Luxemburg
3.Roland Kulke, économiste, conseiller pour la fondation Rosa Luxembourg
4.Joseph Huber, économiste, chair of economic and environmental sociology at, Martin Luther University of Halle-Wittenberg
5.Michael Tellmann, ancien membre du CA d’une banque publique de développement allemande
6.Dr. Thomas Dürmeier, économiste, co-fondateur du réseau d’économistes Netzwerk plurale Ökonomie
7.Oliver Schlaudt, enseignant-chercheur au département de philosophie, université de Heidelberg.
Irlanda:
1.Ciaran MacanBhaird, Dublin City University ;
2.Brian Lucey, Trinity College Dublin
3.Samuel Vigne, Trinity College Dublin
4.Ray Walsh, Director European Observatory on ICT Standards (EUOS), Dublin City University
Belgio:
1.Olivier De Schutter, UN Special Rapporteur on extreme poverty and human rights , Co-chair, International Panel of Experts on Sustainable Food Systems (IPES-Food), Professor at the Institute for Interdisciplinary Research in Legal Sciences, University of Louvain (UCL)
2.André Peters, Sociologue, Cadre de Banque centrale
3.Philippe Defeyt, Economiste, Président de l’Institut du Développement Durable (IDD)
4.Jean-François Tamellini, Secrétaire général de la FGTB wallonne
5.Olivier Bonfond, Économiste au CEPAG, co-président du CADTM Belgique
6.Xavier Dupret, Économiste, Fondation Joseph Jacquemotte
7.Patrick Dupriez, Président d’Etopia, Centre de recherche en écologie politique
8.François Denuit, Dr en Sciences politiques et sociales, Collaborateur scientifique à l’Université Libre de Bruxelles (ULB)9.Kim Fredericq-Evangelista, Economiste
10.Paul Magnette, professeur de sciences politiques et ancien ministre de l’énergie et du climat
Spagna:
1.Daniel Albarracín Sánchez, Economist and Phd in Sociology, Counselor in the Chamber of Accounts of Andalusia ;
2.Agustín José Menéndez, Universidad Complutense, Madrid
3.Nacho Álvarez, Economist, secretary of State for Social Rights in spanish government
4.Manuel Garí Ramos, économiste, UPM Madrid
5.Cristina Monge Lasierra, politóloga y experta en gobernanza para la transición ecológica
6.Jorge Fabra Utray, economista y Doctor en Derecho, es Presidente de Economistas Frente a la Crisis.
7.Manuel Escudero, PhD por la LSE y Presidente del Centro de Desarrollo de la OCDE.
8.Cristina Narbona, economista, es vocal de la Junta Directiva de “Economistas Frente a la Crisis”
9.Jordi Sevilla, economista.
10.José Moisés Martín Carretero, economista y consultor.
11.Fernando Rodrigo,
12.Jorge Uxó, Profesor Titular de Macroeconomía, Universidad de Castilla – La Mancha
13.Oscar Carpintero, Profesor de Economía Aplicada, Universidad de Valladolid.
14.Carlos Ochando, profesor de Política Económica, Universidad de Valencia, Director Máster en Política Económica y Economía Pública de la Universidad de Valencia
15.Carles Manera, Catedrático de la universidad de Islas Baleares, miembro de EFC
16.Jordi Roca Jusmet, Universitat de Barcelona
17.Antonio González, Secretario General de Empleo del Gobierno de España (2006-2008) y Vicepresidente Segundo de Economistas Frente a la Crisis.
18.Eladio Febrero, Profesor Titular de Teoría Económica, Universidad de Castilla-La Mancha
19.Iñaki Arto, Research Professor, Basque Centre for Climate Change
20.Juan Torres López, Catedrático de Economía Aplicada de la Universidad de Sevilla
21.Juan Francisco Albert, personal investigador en formación de la Universidad de Valencia.
22.Sonia Farre, ex – diputada, experta en deuda.
23.Lorena Cabrerizo, economista.
24.Isabel M. Pajares, economista.
Lussemburgo:
1.Serge Allegrezza, économiste, haut fonctionnaire, Luxembourg
2.Muriel Bouchet, économiste, Luxembourg;
3.Vincent Hein, économiste, Luxembourg
4.Stéphanie Ravat, CGFP et CHFEP, Luxembourg ;
5.Michel-Edouard Ruben, économiste, Luxembourg ;
Svizzera:
- Jean Michel Servet, Professeur d’études du développement à l’Institut des hautes études internationales et du développement;
- Christian Arnsperger, Université de Lausanne ;
- Prof. Dr Sergio Rossi, Université de Fribourg ;
- Pierre de Saint Phalle, Université de Lausanne ;
- Solène Morvant-Roux, professeure assistante à l’Université de Genève et membre du conseil scientifique de la fondation Zoein
Svezia:
1.Rachelle Belinga, postdoctoral research fellow, Mistra Center for Sustainable Markets at Stockholm School of Economics
Portogallo:
1.Francisco Louça, Économiste – Université technique de Lisbonne ;
Grecia:
1.Costas Lapavitsas, économiste, SOAS Londres
2.Nicolaos Theodossiou ; Aristotle University of Thessaloniki, GREECE Chair of SDSN Black Sea
Ungheria:
1.Andor Laszlo, ancien commissaire européen, économiste,
Inghilterra:
1.Steve Keen, professeur d’économie et de finance de l’université de Kingston à Londres