La Comune è un’ode all’emancipazione, che attraversa il tempo, e un buon promemoria di tutti i fallimenti burocratici – a cura di Michele Azzerri e Checchino Antonini
“La straordinaria germinazione di nuove idee li ha sorpresi e terrorizzati, l’odore della polvere da sparo ha disturbato la loro digestione; sono stati presi da vertigini e non ci perdoneranno”. (La Revanche de la Commune, J. B. CLÉMENT.)
Il 18 marzo 1871 nasce la Comune di Parigi, il governo democratico-socialista che diresse Parigi fino al 28 maggio dello stesso anno.
La Comune, che adottò a proprio simbolo la bandiera rossa, eliminò l’esercito permanente e armò i cittadini, separò lo Stato dalla Chiesa, stabilì l’istruzione laica e gratuita, rese elettivi i magistrati, retribuì i funzionari pubblici e i membri del Consiglio della Comune con salari prossimi a quelli operai, favorì le associazioni dei lavoratori.
Dopo la sconfitta di Sedan patita nella guerra franco-prussiana, il 4 settembre 1870 la popolazione di Parigi impose la proclamazione della Terza Repubblica, costrinse Napoleone III ad abdicare, contando di ottenere riforme sociali e la prosecuzione del conflitto. Il governo provvisorio guidato da Adolphe Thiers, però, deluse presto le aspettative dei parigini, avviando negoziati con Otto von Bismarck. La Guardia Nazionale, formata perlopiù da operai e artigiani, rifiutò di arrendersi al nemico: quando il 18 marzo 1871 l’esecutivo tentò di prendere il controllo dei cannoni del terrapieno di Montmartre, scoppiò una sommossa e il governo Thiers, che aveva tentato a più riprese di disarmare la città in fermento, si rifugiò a Versailles. Molti edifici simbolo del potere autoritario vennero distrutti o dati alle fiamme e in città si instaurò un governo rivoluzionario di matrice democratico-socialista, per una trasformazione radicale del potere politico: la Comune di Parigi, che ebbe come simbolo la bandiera rossa issata sull’Hôtel de Ville quello stesso giorno. I parigini per 71 giorni organizzano la società libertaria su basi di uguaglianza accorse anche Garibaldi correrà in difesa di Parigi e vinse una battaglia, l’unica vittoria contro i prussiani. La città si autogovernò come un comune che si organizza dal basso e che avrebbe prevalso sullo stato aggressivo e autoritario. Diritto di voto alle donne. Abolito il culto ma nelle chiese al mattino si celebrano le funzioni religiose mentre per il resto della giornata i cittadini le utilizzano per riunioni legate alla vita della Comune. Si riorganizza con successo la raccolta dei rifiuti. Si chiudono le scuole religiose per un insegnamento laico e non religioso. Si istituiscono gli asili, si proclama la necessità di una educazione scolastica per tutti a partire dalla scuola. La parificazione dei salari tra uomini e donne. Fu un radicale esperimento di democrazia diretta. Furono organizzate delle elezioni, dopo le quali, il 25 marzo venne formato un vero e proprio governo di chiara matrice socialista e libertaria, tanto è vero che tra le prime decisioni prese vi fu quella di sostituire al tricolore la bandiera rossa. Il governo seppe garantire un certo livello di servizi pubblici, prese numerosi provvedimenti: dalla eliminazione dei turni notturni dei panifici, all’istituzione di una pensione per le vedove e gli orfani di guerra, alla restituzione dei beni dati in pegno allo stato durante l’assedio, al riconoscimento del diritto dei lavoratori di impossessarsi della propria fabbrica se abbandonata dal proprietario. Si aboliva l’esercito, la polizia, ammettendo tra le sue fila tutti gli stranieri “la nostra bandiera è la bandiera della Repubblica Universale”. I salari dei funzionari pubblici e dei membri del Consiglio della Comune furono abbassati al livello di quelli degli operai. Furono varati decreti che prevedevano la separazione dello Stato dalla Chiesa. Come conseguenza del nuovo clima generale anche i reati comuni diminuirono in maniera consistente. Quasi tutti i provvedimenti però non poterono essere applicati fino in fondo vista la breve vita che ebbe la Comune e la tragica fine che subì.
Con questa cronaca in presa diretta del 18 marzo 1871 ricordiamo l’anniversario, il 150° di quella straordinaria esperienza. Ci torneremo ancora ma nel frattempo segnaliamo il lavoro prezioso di Michele Azzerri nella biblioteca Livio Maitan che mette a disposizione, in questa sezione del sito, buona parte dei materiali in suo possesso sull’argomento.
«La Comune è un’ode all’emancipazione, che attraversa il tempo, e un buon promemoria di tutti i fallimenti burocratici – scrive Olivier Besancenot – è anche un modo per tornare all’internazionalismo. Perché sì, la Comune è nata da una rivolta popolare contro l’assedio, l’avanzata delle truppe di Bismarck e la volontà di vincere la guerra. Ma tra le grandi figure della Comune, come tra i comunardi anonimi, c’erano migliaia e migliaia di esuli, spesso politici, ma anche economici, prussiani, italiani, polacchi, russi. La Comune fu un atto internazionalista.
Ed è anche un modo per ricordare che la nostra storia politica non è iniziata con la rivoluzione russa del 1917. Ha radici precedenti, e tutti i dibattiti che hanno irrigato il movimento operaio internazionale dopo la frantumazione della Comune, insistendo in particolare su ciò che i comunardi non erano riusciti a fare – impadronirsi della Banca di Francia, marciare su Versailles, ecc – ci permettono di capire quali erano le ossessioni dei comunardi. – Questo ci permette di capire le ossessioni politiche dei bolscevichi. Possiamo capire meglio la famosa danza di Lenin nella neve il giorno in cui la rivoluzione russa “resistette” un giorno in più rispetto alla Comune. Nel corso del tempo, la Comune non è solo i suoi fallimenti, ma una fonte di ispirazione vivente, la prima esperienza di emancipazione e potere popolare, del potere degli sfruttati e degli oppressi, con tutti i suoi limiti, ma che parla attraverso i decenni. E ci rendiamo conto che, 150 anni dopo, è una questione irrisolta con i potenti: la Comune non ha ancora una buona stampa nel pensiero mainstream, e possiamo vedere fino a che punto il pensiero versailiano non è scomparso.
In occasione del 150° anniversario della Comune di Parigi, Olivier Besancenot e Michael Löwy, dirigenti del NPA hanno pubblicato “Marx à Paris, 1871 : le cahier bleu de Jenny“, un “format” piuttosto originale poiché si tratta di una fiction politica che narra una visita di Marx a Parigi durante la Comune. «Fondamentalmente – ha spiegato Besancenot – si trattava di trovare qualcosa di significativo, originale, per mettere in scena la riflessione di Marx sulla Comune di Parigi. Così abbiamo immaginato questo viaggio clandestino e improbabile di Marx, guidato da sua figlia Jenny, all’interno della Comune stessa, con incontri con alcune delle sue personalità, per mettere in situazione le riflessioni politiche di Marx sulla Comune. È infatti notevole notare quanto questa riflessione sia stata fatta nella foga del momento. Una riflessione pertinente nel calore del momento (l’appello all’Internazionale, la guerra civile in Francia), ma anche un interrogativo politico, strategico, globale. Questa è una delle grandi forze di Marx: riuscire a capire che dall’effusione degli eventi stessi può emergere un processo di emancipazione che non si è necessariamente immaginato sulla carta, nei think tank, o anche negli uffici dell’Internazionale. Gli scritti di Marx su questa famosa forza di emancipazione che si trova finalmente quando parla della Comune sono estremamente avanzati rispetto a tutta una serie di settori del movimento operaio, del movimento rivoluzionario, con intonazioni anche più libertarie di quelle di certi libertari. Una riflessione sull’emancipazione, sul confronto con l’apparato statale, sulla necessità di costruire forme di sovranità politica e democratica. Dalla Comune Marx ha maturato «l’idea che non basta che l’apparato statale cambi di mano, dal punto di vista delle classi sociali, per cambiare la natura dello Stato, in quanto è un sistema oppressivo, un “boa constrictor”, per usare la formula di Marx, che soffoca la società civile e la democrazia. E allora bisogna estinguerlo, bisogna andare verso l’estinzione dello Stato, e una delle strade possibili per questa estinzione è la politica del Comune: la revocabilità degli eletti, un tetto alle retribuzioni degli eletti e dei magistrati, ecc. Tutte queste politiche concrete sfidano il cuore della burocrazia che è l’apparato statale. E con la Comune c’è un inizio di estinzione, che non si è potuto realizzare a causa della durata della Comune, ma un inizio lo stesso, e questo è qualcosa che Marx ha capito subito, ha analizzato subito. E questo avrà ripercussioni sulle riflessioni di Marx, sui dibattiti e sulla cultura del movimento operaio in generale».
«Mentre pensavamo a personaggi concreti ci siamo resi conto che le donne avevano un ruolo centrale nella storia sociale e politica della Comune», continua Besancenot dal sito l’Anticapitaliste. «Questo fu il caso fin dall’inizio della rivolta, con la protezione dei cannoni contro la loro potenziale riconquista da parte dei Versaillais nelle strade di Montmartre, su chiamata del comitato di vigilanza dei cittadini di Montmartre, intorno a Louise Michel in particolare. Ma è anche il ruolo e il posto preso dalle donne, contro lo zeitgeist dell’epoca, perché il machismo aveva il suo posto, anche all’interno dell’Internazionale, nei vari club rivoluzionari. Un evento rivoluzionario come la Comune, ma questo vale per tutti gli eventi rivoluzionari, è lo sfogo di fenomeni che bollivano nella società da mesi e mesi, o anche di più, cosa che avvenne a Parigi con, in particolare, una moltitudine di club rivoluzionari in cui le donne furono sempre più coinvolte. Possiamo anche pensare all’assedio di Parigi da parte dei prussiani, durante il quale Nathalie Lemel fu, con la cooperativa “La ménagère” e il ristorante “La Marmite” al centro della solidarietà e del mutuo soccorso, per aiutare quasi 10.000 parigini che morivano di fame. Così l’Unione delle donne, che si sarebbe formata nell’occhio del ciclone della Comune, era il prodotto di tutto questo lavoro precedente, e quando Élisabeth Dmitrieff [una rappresentante dell’Internazionale] arrivò e partecipò alla fondazione dell’Unione delle donne, gran parte dell’attività era già in corso, già radicata».
A indirizzare il percorso dei due autori gli scritti di Marx sulla Comune (in Italia c’è stata una pubblicazione specifica delle edizioni Alegre alcuni anni fa), «quindi eravamo obbligati a seguire il filo delle relazioni politiche che Marx aveva, spesso a distanza, all’epoca, e quindi a farlo discutere con queste personalità.
Quel 18 marzo 1871
Aurelle de Paladine comandava, senza che volesse obbedirgli, la Guardia Nazionale di Parigi, che aveva preferito Garibaldi.
Brunet e Piaza, anch’essi scelti come capi il 28 gennaio dalle guardie nazionali, e che erano stati condannati dai consigli di guerra a due anni di prigione, furono liberati nella notte tra il 26 e il 27 febbraio.
Non sono più stati ascoltati: i cannoni della Place des Vosges che il governo ha mandato a prendere dagli artiglieri, sono stati rifiutati senza che essi osassero insistere, e sono stati trascinati alle Buttes Chaumont.
I giornali che la reazione accusava di patti con il nemico, il Vengeur, di Félix Pyat; il Cri du Peuple, di Vallès, il Mot d’Ordre, di Rochefort, fondato il giorno dopo l’armistizio; il Père Duchesne, di Vermesch, Humbert, Maroteau e Guillaume; il Bouche de fer, di Vermorel; la Fédération, di Odysse Barot; la Caricature, di Pilotelle, erano stati sospesi dal 12 marzo.
I manifesti hanno sostituito i giornali, e i soldati hanno poi difeso contro la polizia quelli in cui si diceva loro di non sgozzare Parigi, ma di aiutare a difendere la Repubblica.
M. Thiers, il genio del male di Francia, avendo finito le sue peregrinazioni il 10 marzo, Jules Favre gli scrisse la seguente incredibile lettera.
Parigi, 10 marzo 1871, mezzanotte.
Caro Presidente e ottimo amico, il Consiglio ha appena ricevuto con grande gioia la buona notizia del voto dell’Assemblea.
È alla vostra instancabile devozione che restituisce l’onore, vi vede un motivo in più di gratitudine nei vostri confronti, mi rallegro in tutti i punti di vista, è il pegno della vostra unione con l’assemblea, vi riporta a noi e vi permette finalmente di avvicinarvi al raggiungimento dei nostri vari doveri.
Dobbiamo rassicurare e difendere il nostro povero paese così infelice, e così profondamente turbato. Dobbiamo cominciare a far rispettare le leggi. Stasera abbiamo deciso di sopprimere cinque giornali che predicano l’assassinio ogni giorno: Le Vengeur, le Mot d’Ordre, la Bouche de fer, le Cri du peuple e la Caricature.
Siamo determinati ad eliminare le ridotte di Montmartre e Belleville, e speriamo che ciò avvenga senza spargimento di sangue.
Questa sera, giudicando una seconda categoria degli accusati del 31 ottobre, il consiglio di guerra ha condannato in contumacia Flourens, Blanqui, Levrault alla pena di morte, Vallès presente a sei mesi di prigione.
Domani mattina andrò a Ferrière per concordare con le autorità prussiane una serie di punti di dettaglio.
I prussiani continuano ad essere intollerabili; cercherò di fare accordi con loro per ammorbidire la posizione dei nostri sfortunati concittadini.
Spero che tu possa partire domani, sabato. – Troverete Parigi e Versailles pronte a ricevervi, e a Parigi qualcuno sarà molto felice di riavervi.
Mille saluti sinceri.
Jules Favre
La sera del 17 i manifesti del governo furono affissi sui muri di Parigi per essere letti presto, ma la mattina del 18 nessuno si preoccupò delle sue dichiarazioni.
Questa, però, era curiosa; gli uomini che l’hanno fatta pensavano di dare prova di abilità; accecati dai sentimenti di Parigi, parlavano una lingua straniera, che nessuno voleva sentire, quella della capitolazione.
ABITANTI DI PARIGI,
Ci rivolgiamo ancora a voi e al vostro patriottismo, e speriamo di essere ascoltati.
La vostra grande città, che non può vivere che di ordine, è profondamente turbata in alcuni quartieri, e il turbamento in questi quartieri, senza estendersi agli altri, è tuttavia sufficiente a impedire il ritorno del lavoro e dell’agio.
Da qualche tempo, dei malintenzionati, con il pretesto di resistere ai Prussiani, che non sono più dentro le vostre mura, si sono costituiti padroni di una parte della città, vi hanno eretto delle trincee, vi fanno la guardia, e vi costringono ad unirvi a loro per ordine di un comitato occulto che pretende di avere il comando esclusivo di una parte della Guardia Nazionale, e che ignora così l’autorità del generale d’Aurelle, che è così degno di essere alla vostra testa, e vuole formare un governo legale istituito dal suffragio universale.
Questi uomini che vi hanno già causato tanti danni, che voi stessi avete disperso il 31 ottobre, pretendono di difendervi contro i prussiani, che sono solo apparsi all’interno delle vostre mura e i cui disordini ritardano la loro partenza definitiva, indicandovi dei cannoni che, se sparassero, non farebbero che fulminare le vostre case, i vostri figli e voi stessi.
Infine, compromettono la Repubblica invece di difenderla, perché se si stabilisse nell’opinione della Francia che la Repubblica è la compagna necessaria del disordine, la Repubblica sarebbe perduta. Non credete loro e ascoltate la verità che vi diciamo, in tutta sincerità.
Il governo, istituito da tutta la nazione, avrebbe già potuto riprendere i suoi cannoni rubati allo Stato, e che in questo momento minacciano solo voi; – togliere questi ridicoli richiami che fermano solo il commercio e mettere sotto la mano della giustizia quei criminali che non avrebbero temuto di far succedere la guerra civile alla guerra straniera; ma ha voluto dare tempo agli uomini ingannati di separarsi da coloro che li ingannano.
Tuttavia, il tempo dato agli uomini di buona fede per separarsi dagli uomini di cattiva fede è sottratto al vostro riposo, al vostro benessere, al benessere di tutta la Francia, quindi non deve essere prolungato indefinitamente.
Finché dura questo stato di cose, il commercio si ferma, le vostre botteghe sono deserte, gli ordini che vengono da tutte le parti sono sospesi, le vostre armi sono inattive, il credito non riprende; il capitale di cui il governo ha bisogno per liberare il territorio dalla presenza del nemico esita a farsi avanti. Nel vostro interesse, in quello della vostra città come in quello della Francia, il governo è deciso ad agire. I colpevoli che hanno preteso di istituire un governo saranno consegnati alla giustizia regolare. I cannoni rubati allo Stato stanno per essere restituiti agli arsenali, e per compiere questo urgente atto di giustizia e di ragione il governo conta sul vostro aiuto.
Che i buoni cittadini si separino dai cattivi, che aiutino la forza pubblica invece di resisterle, affretteranno così il ritorno dell’agio nella città e faranno un servizio alla Repubblica stessa, che il disordine rovinerebbe nell’opinione della Francia.
Parigini, vi diciamo questo perché stimiamo il vostro buon senso, la vostra saggezza, il vostro patriottismo; ma questo avvertimento dato, approverete il nostro ricorso alla forza, perché è necessario a tutti i costi e senza un giorno di ritardo che l’ordine, la condizione del vostro benessere, sia ripristinato nella sua totalità, immediatamente e inalterabilmente.
Parigi, 17 marzo 1871.
Thiers, capo del potere esecutivo.
Molto meno di quanto ci si sarebbe preoccupati di un proclama di re Dagobert, si pensava a quello di M. Thiers.
Tutti sapevano che i cannoni, presumibilmente rubati allo Stato, appartenevano alla Guardia Nazionale, e che restituirli avrebbe significato assistere ad una restaurazione. M. Thiers era caduto nella sua stessa trappola, le bugie erano troppo evidenti, le minacce troppo chiare.
Jules Favre racconta la provocazione preparata con l’incoscienza del potere.
Vinoy, dice, avrebbe voluto che iniziassimo la lotta togliendo la paga alla Guardia Nazionale; abbiamo ritenuto questo mezzo più pericoloso di una provocazione diretta.
(Jules FAVRE, Histoire du Gouvernement de la défense nationale, 2° volume, pagina 209).
La provocazione diretta fu così tentata; ma il colpo di mano tentato a Place des Vosges aveva dato l’allarme. Abbiamo saputo dal 31 ottobre e dal 22 gennaio di cosa sono capaci i borghesi perseguitati dallo spettro del rosso.
Eravamo troppo vicini a Sedan e alla resa perché i soldati, nutriti fraternamente dagli abitanti di Parigi, facessero causa comune con la repressione. – Ma senza un’azione rapida, si sentiva, ha detto Lefrançais, che dal 2 dicembre, la Repubblica e la libertà erano finite.
L’invasione dei sobborghi da parte dell’esercito fu fatta durante la notte tra il 17 e il 18; ma nonostante alcuni colpi di fucile dei gendarmi e delle guardie di Parigi, essi fraternizzarono con la guardia nazionale.
Sulla collina, c’era una postazione del 61° che faceva la guardia al numero 6 di Rue des Rosiers; ci ero andato per conto di Dardelle per una comunicazione ed ero rimasto.
Due uomini sospetti che avevano fatto irruzione durante la sera erano stati mandati sotto sorveglianza al municipio, dove sostenevano di recarsi e dove nessuno li conosceva; sono stati tenuti al sicuro e sono fuggiti la mattina durante l’attacco.
Un terzo individuo sospetto, Souche, entrato con un vago pretesto verso la fine della notte, raccontava bugie di cui non si credeva una parola, non perdendolo di vista, quando l’ufficiale di fazione Turpin fu colpito da una pallottola. La postazione è stata colta di sorpresa senza il suono della pistola a salve che doveva essere sparata in caso di attacco, ma era chiaro che la giornata non finiva lì.
Io e la cameriera della mensa avevamo fasciato Turpin strappandoci la biancheria addosso, quindi arrivò Clemenceau e, non sapendo che il ferito era già stato fasciato, chiese della biancheria. Sulla mia parola e sulla sua parola di tornare, sono sceso dalla collina, il mio fucile sotto il cappotto, gridando: Tradimento! Si è formata una colonna, tutto il comitato di vigilanza era lì: Ferré, il vecchio Moreau, Avronsart, Lemoussu, Burlot, Scheiner, Bourdeille. Montmartre si risvegliava, il richiamo batteva, io tornavo davvero, ma con gli altri all’assalto delle colline.
Nell’alba che spuntava, si sentiva il rintocco delle campane; salimmo a tutta velocità, sapendo che sulla cima c’era un esercito schierato in battaglia. Pensavamo di morire per la libertà.
Eravamo come sollevati dalla terra. Se fossimo morti, Parigi sarebbe risorta. La folla in certi momenti è l’avanguardia dell’oceano umano.
La collinetta fu avvolta da una luce bianca, una splendida alba di liberazione.
Improvvisamente vidi mia madre accanto a me, e provai un’angoscia tremenda; era preoccupata, era venuta, tutte le donne erano salite nello stesso momento di noi, non so come.
Non era la morte che ci aspettava sui contrafforti, dove l’esercito stava già imbracciando i cannoni, per unirsi a quelli dei Batignolles presi durante la notte, ma la sorpresa di una vittoria popolare.
Tra noi e l’esercito, le donne si gettarono sui cannoni e sulle mitragliatrici; i soldati rimasero immobili.
Mentre il generale Lecomte ordinava di sparare sulla folla, un sottufficiale uscì dai ranghi e si mise davanti alla sua compagnia, gridando più in alto di Lecomte: “Fucili in aria! I soldati obbedirono. Fu Verdaguerre che fu fucilato da Versailles qualche mese dopo.
La rivoluzione è avvenuta.
Lecomte fu arrestato quando era al comando per la terza volta, e fu portato in rue des Rosiers dove fu raggiunto da Clément Thomas, che fu riconosciuto mentre in abiti civili studiava le barricate di Montmartre.
Secondo le leggi della guerra dovevano perire.
Al Château-Rouge, il quartier generale di Montmartre, il generale Lecomte ha firmato l’evacuazione dei contrafforti.
Portati dal Château-Rouge alla Rue des Rosiers, Clément Thomas e Lecomte hanno dovuto affrontare i propri soldati.
L’accumulo silenzioso di torture che la disciplina militare permette, accumula anche risentimenti implacabili.
I rivoluzionari di Montmartre avrebbero potuto salvare i generali dalla morte che meritavano così bene, nonostante la già vecchia condanna di Clément Thomas da parte dei fuoriusciti di giugno, e il capitano garibaldino Herpin-Lacroix stava rischiando la vita per difenderli, anche se la complicità di questi due uomini era visibile: gli animi si infiammano, parte un colpo, le armi partono da sole.
Clément Thomas e Lecomte sono stati uccisi verso le quattro in Rue des Rosiers.
Clément Thomas è morto bene.
In Rue Houdon, un ufficiale che aveva ferito uno dei suoi soldati che si era rifiutato di sparare sulla folla fu lui stesso colpito.
I gendarmi nascosti dietro le caserme dei boulevard esterni non poterono resistere e Vinoy fuggì da Place Pigalle lasciando, si disse, il suo cappello. La vittoria era completa; sarebbe stata duratura se, il giorno dopo, fossimo partiti in massa per Versailles dove il governo era fuggito.
Molti di noi sarebbero caduti lungo la strada, ma la reazione sarebbe stata soffocata nella sua tana. La legalità, il suffragio universale e tutti gli scrupoli di questo tipo che sono la rovina delle rivoluzioni, entrarono in gioco come al solito.
La sera del 18 marzo, gli ufficiali che erano stati fatti prigionieri con Lecomte e Clément Thomas furono liberati da Jaclard e Ferré.
Non erano previste debolezze o crudeltà inutili.
Pochi giorni dopo Turpin morì, felice, disse, di aver visto la Rivoluzione; raccomandò a Clemenceau sua moglie che aveva lasciato indigente.
Una moltitudine tempestosa ha accompagnato Turpin al cimitero.
– A Versailles!” gridò Th. Ferré a cavallo del carro funebre.
– A Versailles!” ripeteva la folla.
Sembrava che fossero già in viaggio; a Montmartre non avevano idea che potessero aspettare.
Era Versailles che arrivò, gli scrupoli hanno dovuto attendere fino a questo momento.