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Zona Letteraria, tutta un’altra musica

Imparare ad ascoltare. Anteprima del nuovo numero della rivista Zona Letteraria dedicato a musica e impegno [Alberto Sebastiani]

Non è vero che non esistono più le ideologie: il problema è che quella egemone, (neo)liberista, si impone e si racconta come priva di alternative. Non è vero che il disimpegno e il ripiegamento nel personale hanno caratterizzato tutta la fase post-contestazione novecentesca: sono esistiti e soprattutto esistono ancora oggi, ovunque, a XXI secolo inoltrato, tanti movimenti in lotta per cambiare quanto avviene, localmente e globalmente. Non è vero che le voci di dissenso sono silenziate da grandi fratelli e dal circuito mainstream: ne esistono ancora, molte, e cercano e/o creano i loro circuiti mediatici per farsi sentire, ma spesso se le si vuole ascoltare bisogna cercarle. E sono presenti anche in un ambito che con la letteratura dialoga fin dalle origini: la musica.

È senz’altro vero che tanti, e da tanto tempo, inseriscono nei loro testi dei versicoli viscidi che ammiccano a temi sociali o politici à la page, e siamo consapevoli che la società dello spettacolo divora ogni cosa, ma proprio per questo abbiamo deciso come collettivo redazionale di fare un’inchiesta. Ci siamo infatti chiesti se oggi la musica mostri, o continui a mostrare, una volontà di intervenire nel contesto in cui viviamo. E in quali modi. Così, a partire dalla consapevolezza che la “zona letteraria” è uno spazio di intersezioni tra i linguaggi che noi affrontiamo da una prospettiva letteraria ma consapevoli di doverci confrontare con altri ambiti, abbiamo coinvolto musicisti e studiosi di musica e, insieme, cercato di capire che tipo di voce sia e come parli (canti e suoni), oggi, la musica che vuole intervenire, riflettere e sensibilizzare intorno a temi sociali e politici. Ci siamo chiesti, insomma, se e come la musica contemporanea (pop, rock, rap, trap, black, postpunk, indie, d’autore, etnica, folk, ska, jazz…) faccia ancora parte del discorso politico attuale, dei dibattiti, delle discussioni e delle lotte che lo animano.

Esiste quindi una musica impegnata, oggi? E cosa si intende con “impegno”? Che impatto ha? Se la prima domanda ha una risposta affermativa, ovviamente, meno scontate sono le altre due. L’impegno si può misurare e definire tanto nella partecipazione a movimenti quanto in prese di posizione individuale. E può muoversi in modi diversi; se affrontiamo la composizione testuale incontriamo forme del comico che dissacrano dibattiti o querelle inconsistenti e ne sbeffeggiano i protagonisti, ridicolizzandoli; incontriamo chi urla con rabbia situazioni ignorate dal mainstream, chi sceglie vie poetiche per sensibilizzare su questioni drammatiche talmente sotto gli occhi di tutti da risultare ormai invisibili, e chi affronta storie e recupera canzoni per salvare la memoria di eventi rimossi, proporre modelli di lotta, criticare il presente con détournement per far riflettere. E affrontando la composizione musicale capiamo che la scelta di un genere musicale non è innocente: le sonorità hanno una tradizione, una memoria, che porta con sé eventi, narrazioni, contesti in cui sono state eseguite e in cui tutt’oggi lo sono, e del pubblico a cui si rivolge.

E qui arriviamo all’altra domanda: che impatto ha? E sorge un altro problema, sul versante dell’ascolto: quanto sappiamo della musica in cui siamo immersi, e che viaggia tra i tanti canali mediatici della contemporaneità? Quanto, in altre parole, la ascoltiamo? Se impariamo a farlo, forse scopriremo discorsi (e percorsi) nuovi. Nasce quindi con questo obiettivo “Musica e impegno civile, oggi”, per far scoprire che sono ancora tanti che, anche senza usare parole chiave del dibattito del momento o riferimenti precisi, intervengono con suoni e parole che vogliono o che potrebbero far riflettere, che prendono posizione, che portano con sé una storia, una tradizione, un discorso che bisogna imparare ad ascoltare.

La nostra è quindi una ricognizione meditata e critica di vari ambiti della musica contemporanea internazionale, una guida all’ascolto, non certo esaustiva ma senz’altro significativa, che vuole mostrare e sostenere una ricerca e un impegno che esistono, nonostante tutto, e che è necessario imparare a (ri)conoscere.

Ecco perché in questo numero di Zona Letteraria si parlerà di musica ed ecologia nei testi dei Radiohead, del controverso impegno politico di Bob Dylan, di working class culture nel post-punk degli Sleaford Mods, della scena indie, ska, rap, hip-hop, trap, di musica afroamericana anche in relazione al movimento Black Lives Matter, del jazz della Liberation Music Orchestra. Si tratterà di crisi e futuro della musica politica in Italia, della figura del musicista come politico, di Club Tenco, di canzoni che negli anni hanno affrontato il tema delle “morti bianche”, di migranti attraverso le parole di Gianmaria Testa e dei Gang, di una querelle “sui giovani” nata tra gli scrittori Lodoli e Arbasino, nella quale si infilano – con una loro canzone – i Baustelle. Troverete, inoltre, le interviste a due interpreti dell’attuale canzone impegnata: Alessio Lega e Stefano “Cisco” Bellotti. E per concludere vorrei segnalare, a sottolineare la vocazione internazionale della nostra rivista, l’ottimo intervento che racconta di canzone sociale nella Cina del miracolo economico, costruito, come avviene in ogni altro stato capitalista al mondo, sul sangue, sudore e lacrime delle lavoratrici e dei lavoratori.

Un numero ancora una volta ricchissimo. Dunque… buona lettura.

Un ringraziamento particolare va al nostro Luca Gavagna, sempre impeccabile nella scelta delle fotografie che compongono quel “racconto per immagini” che caratterizza ogni numero di Zona Letteraria: fotografie scattate da Stefano Calanchi, dal bluesman Fabio Treves e dallo stesso Luca Gavagna.

 

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