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Ogni movimento ha un filo che lo porta a Genova

Si va verso il ventennale di Genova e partiamo seguendo una delle tracce seminate da Guadagnucci e Agnoletto con «L’eclisse della democrazia»

La sinistra storica europea è morta lì, a Genova. Vent’anni fa. Se l’insorgenza del primo movimento globale «è stata un’occasione perduta» si deve all’azione «di governi di tutti i colori, quando le ex socialdemocrazie non hanno capito che la vera linea di demarcazione fra destra e sinistra passava attraverso la critica al sistema neoliberista. Le sinistre socialdemocratiche e postcomuniste hanno pensato invece di cavalcare la svolta neoliberista, di indirizzarla di metterci qualche contenuto sociale. E siamo all’attualità i piani di rilancio post-pandemia ci ripropongono il modello di sviluppo che ha prodotto il disastro climatico e pandemico nel quale siamo immersi», dice Lorenzo Guadagnucci.

E’ per questo che guerra globale, precarietà, austerità, trappola del debito, lager per migranti sono traguardi conquistati in questo paese da un ceto politico cresciuto nel più grande partito “comunista” dell’occidente poi trascoloratosi nei passaggi tra Pds, Ds, Pd. Una cultura politica da sempre ambigua con i movimenti sociali nei confronti dei quali ha costruito un mix tra repressione e cooptazione sempre più sbilanciato sulla violenza poliziesca e normativa.

Si va verso il ventennale di Genova e partiamo seguendo una delle tracce seminate da Lorenzo Guadagnucci e Vittorio Agnoletto con «L’eclisse della democrazia, dal G8 di Genova a oggi: un altro mondo è necessario» (Feltrinelli) riscritto a quattro mani in uscita domani, rivisto, aggiornato e ampliato, in pratica ben più di una ristampa di rito. «Le principali novità sono l’evoluzione e la conclusione delle vicende giudiziarie legate a Genova 2001, le evoluzioni dei movimenti negli ultimi vent’anni – ricorda Agnoletto – e l’attualità dei contenuti di allora, oggi un altro mondo è urgentemente necessario, crediamo che i movimenti attraverso le varie reti possano costruire un’alternativa».

«Se interroghiamo la storia è per imparare a costruire il futuro», suggerisce il medico-attivista, portavoce, all’epoca del Genoa social forum, straordinaria convergenza che funzionò tra 1300 nodi politici, sociali e sindacali grandi o “lillipuziani”, dall’autunno del 2000 fino al de profundis del secondo governo Prodi. Su Genova 2001 è giusto che si dica tutto, ma non il contrario di tutto, perché la polifonia della convergenza di reti, marce, partiti, sindacati, associazioni e collettivi aveva piuttosto chiaro il bandolo della matassa. E in questo inizio d’estate iniziano a fioccare titoli di libri e podcast che riscrivono capitoli di un’autobiografia di massa necessaria che non ha mai smesso di essere raccontata anche se nelle forme carsiche di «un canale intergenerazionale forse poco visibile ma piuttosto robusto», segnala Guadagnucci.

«Il movimento aveva capito dove il mondo stava andando e dove ci stava portando quel modello di sviluppo, se avessimo avuto l’ascolto che meritavamo la storia degli ultimi vent’anni sarebbe stata scritta in modo molto diverso», spiega Agnoletto, convinto che i contenuti di quelle battaglie siano ancora «pesantemente attuali e lo dimostrano le reti di associazioni e movimenti di oggi, da Fridays for future a Black Lives Matters, dagli Indignados a Syriza, da Occupy Wall Street a Podemos».

Oggi Agnoletto e Guadagnucci credono ancora che i movimenti sociali rappresentino l’alternativa possibile. In ciascuna delle esperienze di attivazione in corso c’è un filo che ci riporta a Genova dove il 19 luglio 2001 si aprì il controvertice con il corteo dei migranti, consapevoli che proprio loro sarebbero state le «vittime predestinate di questo modello e oggi abbiamo il Mediterraneo che è una tomba collettiva – ricorda Agnoletto – o Occupy Wall Street che è la denuncia della prevalenza della finanza sull’economia, tutti temi che noi abbiamo affrontato per non parlare delle vicende ambientali. L’attualità dei nostri contenuti è impressionante: nell’assemblea di lancio del 16 luglio 2001, Susan George avvertiva che la finanziarizzazione avrebbe prodotto la più grande crisi economica dal dopoguerra». La grande crisi finanziaria del 2007, la trappola del debito, la pandemia come conseguenza di un modello di sviluppo «che sfrutta ogni centimetro quadrato del pianeta, dei disboscamenti, degli allevamenti intensivi che producono cambiamenti climatici, abbattono le barriere tra le specie, producono zoonosi, spillover degli agenti infettivi e questo modello che poi porta in tutto il mondo il virus», dice ancora il medico attivista.

L’incontro con gli autori è la presentazione in streaming del libro scritto dal portavoce di allora insieme al giornalista che fu testimone e vittima del blitz alla scuola Diaz. Perché il vero documento firmato dagli Otto Grandi non fu lo scarno comunicato finale di buoni e finti propositi ancora rintracciabile sul sito del Viminale ma fu scritto con pistole, manganelli e lacrimogeni sulla pelle di quante più persone possibile. Sulla pelle di Carlo Giuliani prima di tutto, ucciso da un carabiniere dopo due ore di cariche illegittime (dirà la magistratura) da parte di un reparto di carabinieri guidato da veterani delle guerre globali che non si fecero scrupolo di usare anche armi fuori ordinanza e di scempiare il corpo di Carlo per simulare una sassata anziché una pistolettata. Carlo che aveva raccolto l’estintore solo dopo aver visto una pistola impugnata con la maestria del killer contro di lui. Ecco, il vero documento del G8 è in filigrana nell’ordinanza del Tribunale di Genova che affossa il diritto a un processo pubblico, che inverte causa ed effetto, il difensore e l’aggredito e inventa la teoria di un asteroide che avrebbe deviato un colpo che altrimenti sarebbe andato a vuoto, verso il cielo. Come a dire: Siamo così potenti da uccidere e restare impuniti, siamo così potenti da non mantenere alcuna promessa, da non rispettare le leggi che abbiamo scritto noi stessi. E questo è l’unico mondo possibile. Non era possibile una risposta diversa alla miriade di soggetti collettivi e corpi in carne e ossa che da tutto il mondo denunciava la vera natura della globalizzazione liberista, ne delegittimava la governance e sperimentava «pezzi di nuova società», come li definisce Guadagnucci.

«Dieci anni fa avevamo le sentenze di secondo grado e non i giudizi definitivi che oggi esistono e ai quali si sommano quelli della Corte europea per i diritti umani, giudizi rispetto ai quali le nostre istituzioni hanno fatto orecchie da mercante», spiega Guadagnucci. La nuova versione del libro fa il punto sulla più grande violazione dei diritti fondamentali in Occidente dalla fine della II guerra mondiale, formula coniata da Amnesty International all’indomani dei tre giorni di orrore scatenati da migliaia di robocop di ogni corpo di polizia nostrano. «Dopo le condanne per i fatti della Diaz e di Bolzaneto, procedimenti sostanzialmente colpiti dalla prescrizione, la corte europea ha detto che l’Italia non ha fatto giustizia, che le pene sono state troppo lievi, che molti dei responsabili sono sfuggiti alla giustizia e che la polizia di Stato ha ostacolato impunemente la storia della magistratura, queste indicazioni sono state ignorate in modo che definirei umiliante». Le 25 condanne, quasi tutti alti papaveri dei De Gennaro Bosys, per la notte cilena alla Diaz o le 44, comprensive di medici e infermieri, per le torture di Bolzaneto non hanno impedito che la Cedu, la corte europea per i diritti umani, rilevasse che le pene sono state troppo lievi, che i responsabili delle violenze l’hanno fatta franca e che polizia e carabinieri hanno pesantemente ostacolato l’azione della giustizia. Guadagnucci, che sul tema ha scritto anche “La seduzione autoritaria. Diritti civili e repressione del dissenso nell’Italia di oggi” (Nonluoghi, 2005), osserva che queste osservazioni della Cedu non hanno scalfito la minorità della politica bipartisan nei confronti delle lobby di polizia. Ovvio che nemmeno una delle prescrizioni sia stata rispettata: né il codice alfanumerico sulle divise di chi opera travisato in ordine pubblico, né la destituzione dei vertici, tantomeno la promulgazione di una vera legge contro la tortura. Quella partorita, scritta nei fatti dalle lobby in divisa, nel 2017 non sarebbe servita a nulla nei casi Diaz e Bolzaneto. «E’ piena di buchi – ammette Guadagnucci – una legge problematica e senza alcun effetto deterrente».

E oggi i decreti Minniti e Salvini, laddove criminalizzano corpi e modalità di conflitto, avrebbero reso ancora più difficile la vivacità sociale di quella stagione che vide in azione la «più grande esperienza di convergenza», sottolinea ancora Agnoletto.

«A oggi nessuna istituzione dello stato ha chiesto scusa per quanto avvenuto, alle vittime delle violenze istituzionali, ai familiari, al movimento, è una pagina della nostra storia che viene totalmente rimossa» conclude Agnoletto. Il futuro non lo conosciamo ma è tutto da scrivere: «l’esperienza del movimento dei movimenti – chiude anche Guadagnucci – ci dice che è possibile».

PAGINE 440 PREZZO 14 EURO

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