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E’ morto Falco Accame, militare democratico

S’è spento a 96 anni Falco Accame, ex ammiraglio, poi deputato socialista. Una vita di battaglie dalla parte di gente che ha scarsi diritti

E’ morto Falco Accame. Militare democratico. Oggi può sembrare un ossimoro, al tempo delle missioni di “pace”, dell’esercito professionale, dei veterani di guerra che guidano le cariche sulle strade di Genova, che stanno intorno defender da cui partì il proiettile che uccise Carlo Giuliani. Al tempo delle torture ai civili in Somalia da parte dei “nostri” ragazzi della Folgore impregnati delle «schifezze razziste», parole proprio di Falco, raccolte in uno “Zibaldone” scritto da un generale dei parà. Insomma il tempo della guerra globale e degli abusi in divisa. Giovane cadetto Accame riuscì con le navi scuola a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi e giunse a Brindisi. Molti anni dopo, da Presidente della Fondazione Internazionale per la Pace Nino Pasti, ha rappresentato in Italia il “ Tribunale R. Clark per i crimini di guerra della NATO nella ex Jugoslavia”.

Sia chiaro, nemmeno ai tempi di Falco Accame era facile essere militari e democratici, fedeli al dettato costituzionale anziché alla lugubre accozzaglia ideologica di nazionalismo fascistoide più o meno filo atlantico che forgia l’immaginario e il contegno di troppi professionisti della guerra e dell’ordine pubblico. Ne sanno qualcosa quelli che sono stati radiati, degradati, mobbizzati per aver denunciato crimini e abusi dei superiori. La continuità dello Stato, nel personale e nei valori, nel transito dal Regno d’Italia alla Repubblica avvelena da sempre i pozzi per chi aveva lavorato per un reale cambio di rotta nella relazione tra forze armate e cittadinanza.

“A meno di tre settimane dalla scomparsa del Fratello Bubi (Ferruccio) e dopo 96 anni vissuti intensamente, con partecipazione, con intensità dirompente, ci ha lasciato Falco Accame. Nato a Firenze il 17 aprile 1925, si è spento oggi (13 dicembre) a Roma”, si legge sul profilo fb dell’ex ammiraglio che aderì, telegrafando dalla sua nave, il cacciatorpediniere Indomito, alle istanze di chi si batteva per la democratizzazione delle forze armate.

“Ha avuto un’infanzia difficile perché la Mamma Letizia lo ha lasciato per una leucemia a soli tre anni. È stato allevato e amato dai nonni Maria e Claudio insieme al fratello Bubi – si legge nella breve nota – la sua vita è stata dedicata al lavoro e alla lotta alle ingiustizie. Ha seguito un “moderno” cursus honorum. Ha studiato dagli Scolopi a Firenze, poi al Morosini di Venezia. Dopo l’Accademia Navale di Livorno combatte sul fronte di Cassino, partecipa allo sminamento di numerose zone di guerra. Come ufficiale inventa per la Marina Militare un meccanismo per lo sminamento. Da Comandante dell’Indomito si dimette per protesta contro i vertici per la mancata tutela dei sottufficiali e scrive una lettera aperta di protesta sul Corriere della Sera. Da quel momento nasce un non programmato impegno politico con il Partito Socialista e diventa Presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati. Come deputato presenta diverse riforme di legge sui servizi segreti e sulla leva che partendo da quelle bozze diverranno successivamente leggi della Repubblica. Successivamente con il consolidamento di Craxi al controllo del partito gli viene offerta la possibilità di diventare ministro della Difesa ma con la richiesta di appoggiare il complesso militare industriale. Al suo rifiuto Craxi lo emargina fino a non farlo rieleggere. Continua la sua attività creando l’ANAVAFAF (Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate e Famiglie dei Caduti) dove insieme a Concetta Conti e i vari associati cerca di proteggere i militari e i loro familiari dalle ingiustizie e dalle coperture di misfatti di altri militari. Sono i casi di nonnismo, dei tumori derivanti dall’operare in zone con l’uranio impoverito senza alcuna protezione, da situazioni in cui non erano state applicate le più elementari azioni di sicurezza sul lavoro, dal nascondere responsabilità importanti dei vertici delle forze armate.

 

Durante la sua vita ha sempre amato capire la molteplicità di elementi che generano la “realtà”, approfondire, analizzare partecipando attivamente alla vita pubblica del paese con articoli, proposte di legge, dibattiti manifestazioni.

Ha scritto un importante libro sulla natura epistemologica della strategia.

A 96 anni forse era venuto il tempo di lasciarci perché sentiva non essere più in grado di combattere contro le ingiustizie impegnandosi con la mente e il corpo che hanno dato il senso e il motivo alla sua vita. Non era certamente perfetto ma ha combattuto le ingiustizie senza piegarsi!

Un saluto di rispetto per la vita che ha perseguito mentre raggiunge il fratello Bubi, la moglie Lola e i nonni Maria e Claudio Paolozzi”. Il post è firmato “Con affetto profondo Beatrice, Carlo, Ginevra, Lorella, i Rainz, tutti i parenti, gli amici e le persone che lo hanno stimato”.

Nella primavera del 1984 alcuni “anziani” della Scuola di Fanteria di Cesano contattarono noi del corso “giovane” per capire di più sulla strana morte di un allievo nostro collega. La foto di quel ragazzo l’avrei ritrovata molti anni dopo sullo stendardo dell’Anavafaf assieme a quella del figlio di Concetta Conti e molti altri che non avevano retto alla violenza di una naia concepita come filtro sociale, punitivo, disciplinante, senza rispetto alcuno per la vita nemmeno di quella del personale permante, piuttosto che come servizio civico, addestramento alla cittadinanza attiva seppure in grigioverde. Falco è stato anche consigliere prezioso per il gruppo parlamentare di Democrazia Proletaria, poi del Prc. Poi l’ho incontrato più e più volte, da cronista, in varie inchieste, dal rapimento di Davide Cervia – fu lui a smascherare la Marina Militare che più volte provò a fornire carte false ai familiari dello specialista scomparso in circostanze stranissime – in casi come quello dell’omicidio di Emanuele Scieri in una caserma della Folgore a Pisa, nella lunga battaglia contro l’uranio impoverito perché fossero riconosciuti i danni al personale militare e ai civili contaminati nei teatri di guerra e nei poligoni.

Falco Accame era deputato Psi e presidente della commissione Difesa, nel ’77, quando si imbatte nella prima morte sospetta: quella di Daniele Sabatini, leucemia fulminante dopo la leva a Perdas de Fogu. Accame era molto di più della memoria storica. Dal 1983 con l’associazione Anavafaf si è fatto carico delle battaglie di verità e giustizia di un mondo che ha scarsi diritti. E’ un ex ammiraglio e per questo è stato capace di smentire la Difesa quando giurava che non esisteva «rischio di contaminazione per i militari dislocati in Kosovo, né per la popolazione locale e tantomeno per le coltivazioni» (Adn Kronos del 23 novembre 2000). «Tenere uno di questi proiettili sul comodino per una settimana avrebbe sul fisico un effetto equivalente a una lastra» (Vittorio Sabbatini, capo ufficio nucleare del Cisam, centro interforze studi e applicazioni militari). Ministro della guerra era Sergio Mattarella, oggi presidente della Repubblica. Capo del governo Massimo D’Alema. Mentre i comandi e i governi truccavano le statistiche o accreditavano tesi fantasiose alternative (incolpando i vaccini o le piastrine antizanzara) Accame ha rivelato che esisteva una letteratura consolidata sui pericoli dell’uranio impoverito anche prima del ’93, che già nel 1995 i “nostri” alleati (senza dircelo) decollavano da Gioia del Colle e Aviano con proiettili all’uranio, che le barbe finte non potevano non sapere quello che avveniva nelle missioni o nei poligoni sardi, che l’intensimetro RA141B non serviva a scovare l’uranio impoverito.

Ne ricordo anche l’amarezza quando, all’epoca del secondo infaustissimo Governo Prodi venne deformata la “sua” riforma dei servizi segreti del ‘77, grazie a una delle tante controriforme che si sono succedute nei decenni dell’orgia neoliberista. E’ stato, per i giornalisti come me, un pozzo inesauribile di informazioni. Falco era instancabile, tenace, appassionato e disinteressato. Spero che le sue carte e le sue riflessioni non vadano perse. Spero che un giorno non sia più un ossimoro essere militari democratici. Lo ricordo con rispetto e affetto.

Ciao Falco, per l’ultima volta: «Qui Monte Athos». Lo sa lui perché.

 

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