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Sinistre a caccia di cinque stelle

Precipitazioni elettorali. Da Fratoianni a Acerbo, da Scotto a De Magistris, tutti aprono ai pentastellati

S’è aperta la caccia al grillino. Si badi: non la caccia al soggetto politico che ha tradito tutto quello che c’era da tradire dopo aver mietuto consensi all’inverosimile su temi come i no a privatizzazioni, Tav, Triv, Tap, Muos, F35, per il non allineamento e la democrazia diretta, desertificando lo spazio dell’opposizione di sinistra radicale dopo – va detto – che questa s’era consumata tutto il credito accumulato nei movimenti a cavallo del millennio partecipando alla devastante operazione Prodi bis. Quel soggetto politico ha offerto una prova mortificante sia nelle città in cui ha governato sia costruendo una stagione di governo nazionale prima con Salvini, poi con il Pd, poi con Draghi, Salvini, Pd e Berlusconi sulla pelle delle classi popolari, dei migranti, della libertà di conflitto e di movimento, rimangiandosi tutte le istanze fondative salvo quella di ridurre i già angusti spazi della rappresentanza. Missione compiuta.

S’è aperta la caccia al grillino non per chiedergli conto di tutte queste indecenze ma per averlo a fianco in una tornata elettorale surreale che il Quirinale ha imposto di raggiungere a tappe forzate per riconsegnare il Paese a chi lo ha impoverito ancora di più. E con la peggiore legge elettorale di sempre.

Il campo aperto di De Magistris

A tirare per la giacchetta ciò che resta delle cinque stelle di Grillo e Casaleggio è soprattutto la sinistra, dalla versione ornamentale di Fratoianni alla versione radicale di Acerbo passando per quella intermedia di De Magistris che proprio oggi, domenica 24 luglio, dice alle agenzie che ci sarebbe spazio, in questa campagna elettorale lampo «per un campo aperto, per una coalizione alternativa al consociativismo centrosinistra-centrodestra che possa unire pacifisti, ambientalisti, coloro che vogliono attuare la Costituzione, sinistra non rappresentata, pentastellati rimasti alle origini genuine del movimento, astenuti».

Ad aprire le danze, mentre Letta intonava il de profundis per l’alleanza giallo-rosa, era stato, 48 ore prima, il Prc con una risoluzione che prova a porre «alle formazioni che si dicono di sinistra e ambientaliste e si sono dichiarate all’opposizione del governo Draghi con quale credibilità ripropongano logiche di alleanza con un PD che si presenta come il più coerente sostenitore dell’agenda Draghi». Si capisce che ce l’ha con Sinistra Italiana ma nella proposizione successiva si afferma che «Lo stesso tema riguarda il Movimento 5 Stelle che si trova a un bivio dopo una legislatura che ha deluso le speranze di cambiamento e rottura che aveva rappresentato per milioni di persone».

E’ vero, la «precipitazione elettorale richiede uno slancio e uno sforzo straordinari» ma aprire la caccia al grillino, anzi a tutto il M5S magari con la discesa in campo di Di Battista, proietta un’ombra pesante sul processo Verso l’Unione Popolare avviato il 9 luglio proprio con Luigi De Magistris, leader in pectore, le parlamentari di ManifestA e Pap con l’ambizione di fare come in Francia, come Mélenchon, unire la sinistra e rimpolpare la rappresentanza parlamentare fin quasi a contendere il primato agli altri due blocchi. Magari si sopravvaluta la concretezza della Nupes francese ma non sarebbe una bestemmia. Anzi.

Dice però De Magistris che «Letta sbaglia a dire che la scelta è tra lui e Meloni. Sono facce di un potere che abbiamo già conosciuto e che ci ha portato in questo baratro sociale, economico, lavorativo ed ambientale. Oltre che in guerra. Sono i distruttori della sanità pubblica e dei diritti fondamentali del nostro Paese». Ma i cinque stelle non sono stati da meno governando con entrambe le destre, quella salviniana e quella draghista, e votando tutto. Ma proprio tutto. E De Magistris lo sa perché il 9 luglio, all’assemblea di lancio della Nupes all’italiana aveva infiammato gli animi dicendo che «Le più grandi schifezze le ha fatte centrosinistra, compreso il M5S». Così che Conte quando dice che «L’Italia è stata tradita quando in Aula il premier e il centrodestra, anziché cogliere l’occasione per approfondire l’agenda sociale presentata dal M5s, l’hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte» suona finto come una televendita di stoviglie scadenti. Se ora a Piacenza, e non solo lì, ci sono sindacalisti che rischiano anni di galera per aver organizzato picchetti è anche perché il Governo Conte ha votato i decreti Salvini che servono non solo a complicare la vita alle persone migranti ma a criminalizzare il conflitto sociale.

Voto utile, male minore, passione triste dell’ex popolo di sinistra

Il ritornello, ossessivo, petulante, stridulo, è che dall’altra parte c’è il peggio. Il voto utile, il male minore, la passione triste dell’ex popolo di sinistra. E c’è da scommettere che pioveranno appelli e firme strabilianti, come quella di Giovanna Marini che si unì, nel 2008 alla richiesta di altri intellettuali per un voto utile al neonato Pd per fermare Berlusconi. Poi tutti a canticchiare “I treni per Reggio Calabria”. Bisognerebbe tappezzare le città con la considerazione di Hannah Arendt: “Chi sceglie il male minore dimentica presto di aver scelto a favore di un male”. Ha già iniziato Flores D’Arcais chiedendo alla non-destra collegi uninominali unici per contrapporsi alle destre, senza nulla in cambio, se non battere l’uomo nero. Un film già visto, senza mai un bilancio su quanto il meno peggio sia esso stesso il peggio e apra la strada a soluzioni fascistoidi e non meno liberiste.

Eppure: «Serve responsabilità – tuona ancora Fratoianni, leader di SI – facciamo tutti i conti con quello che abbiamo difronte, a partire da Conte e Letta. Mettiamo insieme le forze per opporci all’urto della destra».

Uno scrittore è più raffinato di un politico ma resta il rischio che siano solo belle parole se non si chiarisce a chi sono indirizzate. Per esempio Gianrico Carofiglio: «È il momento di dare il via a una nuova era, nei fatti e nel racconto delle cose. Un tempo in cui c’è la destra che fa le cose della destra. E una sinistra che fa quelle della sinistra». Secondo l’ex magistrato, ex parlamentare Pd, oggi la sinistra si troverebbe «di fronte alla possibilità di liberarsi di anni di equivoci, di opacità nei messaggi. Siamo come l’Italia nel girone dei mondiali di calcio del 1982, quello contro Argentina e Brasile. Si parte svantaggiati. Ma abbiamo la possibilità di fare il nostro gioco senza furberie, senza smussare, senza annacquare il sistema di valori. La sinistra può e deve finalmente dichiarare con forza cos’è e qual è il senso del suo esistere politico». Sta parlando con la classe politica, quella del Pd, che ha gestito l’austerità, le operazioni speciali, pardon, le missioni di pace, le grandi devastanti opere, il Salva Italia, il Jobs act, il Fiscal compact, le privatizzazioni, la trappola del debito?

Qualcuno chiede a Bonelli se esiste l’ipotesi di un’alleanza dei soli Verdi-Si-M5s? Bonelli è quello del Sole che rideva, oggi in tandem con Fratoianni dopo che per anni ha detto che i verdi non sono né di destra, né di sinistra. Risposta: «Noi non ci avventuriamo in alleanze che non esistono semmai lavoriamo per portare il M5s nell’alleanza di centrosinistra». Al safari partecipa anche Articolo Uno, appendice di Leu in marcia verso il Pd, con Arturo Scotto che spiega: «Quello di far saltare il muro di incomunicabilità tra il centrosinistra e il Movimento» è «un progetto a cui abbiamo lavorato per anni – spiega – Un obiettivo che rivendico perché ha offerto una stagione di buon governo al paese con l’esperienza giallorossa. Il passaggio della fiducia a Draghi ha riportato le lancette indietro e allargato nuovamente le distanze: non aver valutato questo è stato un errore da parte di Conte, purtroppo. Tuttavia in politica dire ‘mai più’ è sempre un errore. Se non ci sono oggi le condizioni per un accordo politico pieno – come abbiamo fatto in tante realtà locali – ragionare su accordi tecnico elettorali non può essere escluso aprioristicamente».

Che ne sarà dell’Unione Popolare?

Certo, è il tempo di infiammare gli animi: «Se qualcuno pensa di fare campagna elettorale in nome dell’agenda Draghi ha sbagliato», riporta un’agenzia da un comizio di Nicola Fratoianni alla festa di Sinistra Italiana a Brugherio, in provincia di Monza, ma SI ha nel dna il governismo, la subalternità al Pd e non solo non ha i numeri per dettare a Letta qualsiasi cosa ma nella storia della sua formazione, da quando si chiamava Sel, non esiste un solo precedente in cui abbia spostato a sinistra il baricentro dell’agenda di governo del potente alleato nazareno.

«Da questo caos c’è una via d’uscita – si legge sul sito di PaP – ricostruire un punto di vista e una rappresentanza delle classi popolari dentro le istituzioni, far sì che il popolo prenda consapevolezza della propria forza e del non aver alternative all’organizzarsi autonomamente. Si può fare, se si mettono in gioco le tante e i tanti che in questi anni non hanno avuto spazio e diritto di parola, se si tengono insieme le realtà pulite e combattive che ogni giorno si prendono cura del paese e dei problemi reali delle persone. Che i non allineati, quelli che non si sono arresi o venduti, quelli che hanno in mente un futuro per l’Italia fatto di giustizia sociale e ambientale si mettano insieme per scalzare finalmente questa classe politica indecente… Non sarà semplice e non sarà scontato». Anche perché lo spazio – di per sé angusto – per una costruzione dal basso di una campagna politica di ricomposizione troverà nella ristrettezza dei tempi un alibi comodo per gruppi dirigenti che già hanno dato una pessima prova di inclusività quando hanno stoppato bruscamente la fase costituente di Potere al Popolo imprimendo una forza centrifuga che ha bloccato la possibilità che PaP fosse una esperienza di controtendenza dopo dieci anni di disgregazione di quello spazio a sinistra.

Ora siamo stretti tra una subcultura della sinistra ornamentale, civica-ecologista quanto si vuole ma pronta a digerire inceneritori, grandi opere, privatizzazioni e tagli al welfare; un blocco che pare più residuale intriso di campismo filo putiniano, se non proprio di rosso-brunismo e una sinistra in cerca d’autore che apre la fase della campagna elettorale con la caccia al grillino. Tutto ciò con legami sempre più tenui con il conflitto sociale. Come se l’utilità di un progetto politico per le resistenze sociali, ambientaliste, si limitasse alla possibilità di un’interrogazione o una dichiarazione alla bisogna.

In rete circolano voci, magari sono solo una versione politica del fantacalcio, per perimetrare questa sorta di coalizione dei non allineati: guidata da Conte, de Magistris, di Battista, sostenuta dal M5S, Alternativa, Rifondazione, ManifestA, Carc, reti sociali, sindacalismo di base. E tra gli sponsor di questo dialogo tra Conte e l’ex sindaco di Napoli ci potrebbero essere Travaglio e Santoro.

Sperimentazioni conflittuali e progetto politico

Tra gli interventi all’assemblea del 9 luglio uno in particolare ha evocato qualcosa di più di un cartello elettorale per vincere il sortilegio dell’esclusione dal parlamento. Era l’intervento di un compagno di Pisa, Ciccio Auletta, espressione di Una città in Comune, lista civica alternativa al Pd, ora impegnata nella lotta contro la devastazione di un parco naturale per fare posto a un’ennesima base militare a Coltano, una frazione pisana. Auletta, oltre a ribadire a l’incompatibilità «tra noi e i partiti della rendita, della speculazione, della devastazione ambientale, di grandi opere di guerra e di pace», ha suggerito «sperimentazioni conflittuali, battaglie partecipate» nei territori «per capire insieme un metodo che metta insieme storie e culture per progetto politico che abbia delle ambizioni, che sappia parlare a milioni di persone, essere maggioritario».

Un progetto unitario, spiega Sinistra Anticapitalista, «può concretizzarsi al meglio solo se ci sarà la capacità di coinvolgimento e di partecipazione dal basso di settori sociali e politici più ampi possibili che diano spessore e credibilità reale al progetto, cioè la costruzione delle assemblea democratiche locali, vero fulcro portante dell’operazione. I tempi ristrettissimi della presentazione delle liste devono ancor più stimolare tutte/i ad organizzarle in tempi rapidissimi. E’ in questo ambito anche che i contenuti programmatici elettorali (che devono essere sociali, economici, e democratici in un ottica di forte partecipazione e non di delega), la verifica quindi delle rivendicazioni da avanzare e delle modalità con cui farlo, che devono essere discussi e verificati, diventando patrimonio comune di tutte/i».

 

 

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