Malgrado l’oscuramento mediatico Unione Popolare con de Magistris sarà presente nei collegi di tutta Italia
«Ce l’abbiamo fatta», annuncia Maurizio Acerbo: oggi e domani saranno presentate le liste dell’Unione Popolare con de Magistris nei collegi di tutta Italia. E ringrazia, il segretario Prc, «l’immensa generosità di compagne e compagni che hanno rinunciato alle ferie per organizzare più di mille banchetti». Dunque, UP sarà presente in tutta Italia alle politiche del 25 settembre con candidate e candidate che si sono raccolti attorno a un programma drasticamente antiliberista, contro la guerra, per i diritti sociali, civili e dell’ambiente, alternativo sia al Pd sia a quella che in certi ambienti viene ormai definita la “sinistra ornamentale”, che si accontenta di sopravvivere all’ombra del Pd di Letta e Cottarelli o, sul versante delle amministrazioni, di Gualtieri, Zingaretti e Bonaccini fornendo loro striminzite foglie di fico “civiche” ed “ecologiste” che non riescono a mitigare la ferocia delle politiche liberiste di cui i dem si vantano di essere i fedeli interpreti.
Il dato politico è notevole: in pochi giorni intorno al ferragosto è stato praticamente doppiato il limite delle firme necessarie per poter partecipare alle elezioni nel quasi totale silenzio della stampa, anche quella “democratica” più attratta dai gossip sulle candidature delle coalizioni maggiori. Infatti in molti collegi sono state raccolte più del doppio delle firme necessarie a riprova di un certo radicamento delle organizzazioni che danno vita alla coalizione, Prc e Pap.
Unione Popolare, al netto delle prevedibili osservazioni critiche, rappresenta il vero polo alternativo al partito unico della guerra, delle privatizzazioni e della precarizzazione del lavoro, l’alternativa alle politiche neoliberiste e guerrafondaie. Anche i dati del 2 per mille ai partiti (Rifondazione, ad esempio, è la terza o quarta sigla per donatori e quote) sottolineano l’esistenza di quello che spesso è stato chiamato popolo della sinistra radicale e che è stato sfrattato dalla rappresentanza parlamentare non solo per le scadenti performance ai tempi del secondo infausto governo Prodi ma anche per un sistema elettorale pensato proprio per espellere l’ipotesi di scelte alternative dallo spettro della rappresentanza politica. Il liberismo può vincere solo desertificando i luoghi della democrazia reale (il mix è tra repressione del dissenso e alchimie elettorali) mentre stritola le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza della popolazione.
Anche Luigi De Magistris, dal suo profilo social, sottolinea il primo risultato, circa 60.000 firme in dieci giorni, per una coalizione nata da un mese e a cui l’accelerazione impressa dalla crisi di governo e dallo scioglimento delle camere ha sottratto il tempo per assemblee di base che avrebbero potuto saldare meglio le radici dell’aggregazione politica nelle resistenze sociali. Con i toni non certo sobri che lo hanno reso popolare, l’ex sindaco di Napoli, enfatizza: «nata da un mese, esiste e batte il colpo della rivoluzione che avanza». Su una cosa ha ragione: «I cittadini che con la penna hanno scritto una pagina di dignità democratica. Lo Stato, con i suoi rappresentanti, il paese lo deve sapere, non hanno consentito nemmeno la firma digitale impedendo a chi era in vacanza di firmare perché doveva farsi solo nel comune di residenza. Ci avete ostacolato ed il popolo ha rimosso il vostro ostacolo. Ora pronti a correre la più bella maratona democratica elettorale, nei nostri cento passi in trenta giorni dobbiamo riprenderci la democrazia. Tenteranno di oscurarci e cancellarci in questo mese ma noi ci ribelleremo e non consentiremo la violenza del potere contro il fresco profumo di libertà che avanza».
Nelle prossime ore saranno rese note le liste complete, per ora ci limitiamo a segnalare alcuni nomi che saranno protagonisti di una campagna elettorale difficilissima perché l’oscuramento è certo. Mentre Bruno Vespa, maestro di cerimonie dei potenti da alcuni decenni, ha blindato a Letta e Meloni le possibilità di confronto tv, il pluralista Mentana raddoppia ma anche nella sua mente progressista il confronto è tra i 4 gestori del liberismo, Conte, Calenda, Letta e Meloni. Fine del pluralismo e della complessità. In un contesto del genere, De Magistris sarà candidato come capolista nella circoscrizione Lazio1, al plurinominale 1 per la Camera dei deputati. Poi al Plurinominale per il Senato Lazio 1 capolista Pinuccia Montanari, ex assessora all’Ambiente della Giunta Raggi, e al senato Lazio 2 Paolo Berdini. Mentre Paolo Ferrero, ex ministro, sarà Lazio 1 plurinominale 2. A Roma e nel Lazio segnaliamo anche l’ex europarlamentare Eleonora Forenza, la giovane militante Sara Zuffardi, perseguitata per il suo impegno a fianco dei migranti con accuse tipo favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ed Enrico Calamai, diplomatico italiano, detto “lo Schindler di Buenos Aires”, per esser riuscito a mettere in salvo più di trecento perseguitati dal regime militare argentino.
In giro per l’Italia spiccano i nomi, oltre a quelli dei dirigenti dei due partiti, di Fabrizio Callaioli, consigliere Prc a Piombino e in prima fila contro il devastante progetto di rigassificatore; Domenico Finiguerra, uscito a sinistra dal Sole che ride, sindaco a Cassinetta di Lugagnano, nel milanese, dove è riuscito a decretare lo stop al consumo di suolo; Fulvio Vassallo Paleologo di Asgi, l’associazione di studi giuridici sull’immigrazione; lo storico Angelo D’Orsi e l’economista Pier Giorgio Ardeni. Di ManifestA, il gruppo parlamentare di ex 5stelle su cui hanno operato la convergenza Pap e Prc, si presenteranno solo Simona Suriano e Yana Ehm.
A Genova c’è Antonella Marras, espressione dei comitati di quartiere contrari alle grandi opere e già candidata sindaco per una lista Prc-Pci e Sinistra Anticapitalista. Ora il Pci sta provando a correre da solo dopo il rifiuto, da parte di UP di inserire una falce e martello nel simbolo, e Sinistra Anticapitalista, piccola ma combattiva organizzazione con una lunga storia, ha deciso di collaborare con Unione Popolare ma senza presentare propri candidati. In una recente intervista su La Stampa, è stato lo stesso Franco Turigliatto ad annunciare: «lavoriamo con PaP e Prc e sosteniamo l’Unione Popolare di De Magistris: quelli di cui non parla nessuno mentre voi vi divertite con le performance di Calenda». Franco Turigliatto, 75 anni, senatore di Rifondazione nel 2006, e oggi dirigente nazionale di Sinistra Anticapitalista, ha spiegato in quell’occasione le differenze tra il contesto politico in cui si formò la coalizione che portò alla sconfitta sul campo di Berlusconi nel 2006 e quello odierno in cui si prepara l’avvento a Palazzo Chigi della destra estrema a trazione neofascista e iperliberista. Di recente Calenda Carlo ha citato Turigliatto come esempio di «accozzaglie» del passato. «Era un’alleanza eterogenea ma almeno era partita con un programma riformista e un po’ più consistente», ha risposto al giornalista del quotidiano torinese della Famiglia Agnelli. «Quella di oggi è solo un’appiccicatura di formazioni politiche, con i loro capetti in cerca di affermazione. Perlopiù gruppuscoli di centro al servizio del Capitale», continua Turigliatto specificando che Fratoianni e Bonelli, le pietre dello scandalo di Calenda, sono espressione di una «sinistra ornamentale, che fa dei bei distinguo, prova a proporre qualcosa di più sociale, ma alla fine resta succube del Pd. Niente a che vedere con la forza e il radicamento che aveva all’epoca Rifondazione».
«Servirebbe una grande forza di sinistra, con un programma radicale e alternativo», spiega Turigliatto dopo l’espulsione ha dato vita a Sinistra Critica, l’organizzazione che poi avrebbe dato vita a Sinistra Anticapitalista, un soggetto politico ecosocialista, femminista, rivoluzionario, nel solco della Quarta Internazionale. Da anni si batte per una ricomposizione politica che scaturisca dalle lotte sindacali, dalle mobilitazioni sociali, dal confronto tra le culture antiliberiste e le correnti rivoluzionarie dell’estrema sinistra. Raramente la sua vicenda politica ha spazio sulla stampa mainstream e, quando avviene, è perché viene ricordato come il senatore che causò la crisi di governo nel 2007. Non fa eccezione il titolista del quotidiano della “famiglia” Gedi. Non che gli sarebbe dispiaciuto, il governo Prodi anzi, i due governi Prodi, hanno peggiorato più di altri le condizioni di vita delle classi sublaterne e hanno contribuito al logoramento del senso comune di questo paese, ma quella crisi fu tutta interna alle dinamiche del torbido mondo del centro, affaristi, imprenditori, lobbisti, ceto politico, Dini e Mastella, allora, Calenda oggi, tanto per fare qualche esempio.
Vale la pena di ricordare il pedigree e l’inconsistenza di Calenda Carlo, espressione della Roma-bene, amico di Montezemolo, follower dell’Agenda Monti, uomo di Confindustria nei governi di Renzi e Gentiloni e pessimo ministro dello Sviluppo economico. A febbraio 2018 ha lasciato 162 tavoli di crisi aziendale aperti al Mise, con 180mila lavoratori abbandonati a sé stessi come possono testimoniare i dipendenti di Almaviva, Fincantieri, Alitalia, Ilva, IIA, Mercatone Uno, Blutec, K-Flex.
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