Il reportage va in scena per capire come si vive in un campo profughi. “Kakuma. Fishing in the desert”, di Laura Sicignano, in prima nazionale a Genova
Destinazione per nessun luogo. Letteralmente. Perchè in lingua swahili “Kakuma” significa precisamente “luogo che non esiste”. Se non fosse che è un posto che esiste eccome ed è uno dei più grandi campi profughi al mondo. Una precaria città di oltre 270 mila abitanti, sorta nel nulla del deserto una trentina d’anni fa. KAKUMA. Fishing in the desert è la nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova, scritta e diretta da Laura Sicignano che debutta in prima nazionale a Genova alla Sala Mercato fino al 29 gennaio. Una scrittura drammaturgica che diventa racconto del reale e che nasce mettendo i piedi sul terreno. E che si srotola come un reportage giornalistico che nasce mettendo i piedi sul terreno.
Nel giugno dello scorso anno Laura Sicignano si è infatti recata a Kakuma a bordo di un volo umanitario dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni unite per i riguiati nel mondo. Qui, al confine tra il Kenya e il Sud Sudan, all’epoca vivevano circa duecentoventimila esseri umani – che oggi sono già drammaticamente cresciuti di parecchie decine di migliaia – fuggiti dagli infiniti conflitti che dilaniano i paesi circostanti. Quell’esperienza e le testimonianze raccolte durante le settimane trascorse a Kakuma, dopo un primo studio presentato a settembre 2022 nell’ambito della Factory del Teatro Nazionale di Genova, diventano adesso spettacolo compiuto, poetico e politico al tempo stesso, rinnovando la tradizione del teatro-documento.
E non c’è bisogno di scomodare le riflessioni sui non luoghi dell’antropologo Marc Augé per immaginare come lo speciale statuto simbolico di non esistenza di un luogo come Kakuma si riverberi anche sui suoi ospiti. Sui rifugiati in primo luogo, la cui maggioranza ha un’età media di 18 anni e che ha davanti a sè la prospettiva di una permanenza media nel campo di 26 anni. Ma altrettanto, anche se diversamente, sugli operatori delle numerose ONG che vi lavorano: biografie di giovani occidentali deviate da carriere brillanti e binari esistenziali sicuri. Futuri medici, avvocati, manager che non hanno resistito alla chiamata di un’altra vita. Più appagante ma sulle cui difficoltà lo spettacolo non ha reticenze, raccontando il paradosso di una professione che si sceglie per empatia e che quell’empatia deve imparare a mutilare per non venire travolti dal carico emotivo del contatto quotidiano con quelle vite superflue. Delle quali solo l’1 per cento ha la possibilità di uscire da quella discarica umana per riciclare la propria esistenza nell’accoglienza in un Paese del primo mondo.
Le maglie della drammaturgia si allargano così fino a fare del palcoscenico il luogo della documentazione e della riflessione, tra musica elettronica – a cura di Uhuru Republic con FiloQ e Raffaele Rebaudengo, e danza, con le coreografie di Ilenia Romano. I video e le foto realizzati a Kakuma sono trattati da Luca Serra come elementi espressivi e poetici. Le scenografie, curate da Guido Fiorato, per scelta etica utilizzano solo materiale di recupero. L’attrice Irene Serini dà corpo e voce al racconto dell’autrice e degli operatori umanitari che lavorano nel campo, secondo un dispositivo drammaturgico a “scatole cinesi”. In scena insieme a lei la danzatrice Susannah Iheme (tra le interpreti di Inferno di Roberto Castello, vincitore del Premio Ubu 2022 come miglior spettacolo di danza) rappresenta il campo, un’entità̀ senza possibilità̀ di parola, al quale è permesso esprimersi solo attraverso il corpo.
«Provo a raccontare Kakuma e i suoi abitanti attraverso le voci di queste persone normali che hanno lasciato il paradiso in cui sono nati per dedicare la vita agli altri, alla ricerca di un senso» – spiega Laura Sicignano. «Fishing in the desert, pescare nel deserto – il sottotitolo dello spettacolo – è un’utopia, ma è anche la direzione verso cui si sono mosse innumerevoli persone che hanno cambiato la Storia. Anche nello scenario così complesso del mondo di oggi ognuno di noi può fare qualcosa, una piccola azione, per pescare nel deserto e dare un senso al proprio viaggio».
Se il giornalismo, nella sua versione mainstream, sembra essere avviato sulla strada del suicidio nella propaganda a reti unificate e nel chiacchiericccio da talk televisivo, è in fondo giusto che si procuri altre, inedite, vie di racconto. Dalla graphic novel al palcoscenico.
Info: www.teatronazionalegenova.it