Fino al 26 febbraio, a Milano, la mostra “Progettare la memoria. Lo studio BBPR: i monumenti, le deportazioni”
A Milano si può fare un giro fra i memoriali della deportazione nei campi nazisti di mezza Europa! Come? Basta andare alla Casa della Memoria e lasciarsi guidare dai pannelli introduttivi, dalle immagini, dai documenti che costituiscono la mostra “Progettare la Memoria. Lo studio BBPR: i monumenti, le deportazioni”.
Chi c’è dietro quella sigla: BBPR? Uno studio di architettura fondato a Milano nel 1932 da Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers (dall’iniziale dei loro cognomi, l’acronimo). I quattro architetti partecipano attivamente alla polemica sorta tra razionalisti e tradizionalisti ritenendo di poter sostenere lo scontro per la libertà di espressione e per il trionfo dell’architettura moderna all’interno del fascismo. Poi le leggi razziali del 1938 colpiscono Rogers, costretto a fuggire in Svizzera, mentre gli altri tre abbracciano i valori della Resistenza e sono fra i fondatori del Partito d’Azione milanese. Banfi, divenuto partigiano, muore nel campo di concentramento di Gusen nel 1945. Anche Belgiojoso è deportato in quel campo, ma riesce a sopravvivere e a far ritorno in Italia. I tre superstiti, dopo la guerra, riprendono a lavorare mantenendo invariato l’acronimo in onore dell’amico ucciso. La forte presa di coscienza antifascista e la compromissione nella Resistenza si manifestano nel lavoro dello Studio, che si dedica a progettare cinque memoriali dedicati alle vittime dei campi nazisti.
Visitiamoli.
Il nostro viaggio inizia a Milano, dove, nel 1946, è eretto il primo fra tutti momenti ai deportati in Italia. Si trova nel Cimitero Monumentale, nel punto in cui si dipartono i viali principali. È costituito da una gabbia, di grande leggerezza e trasparenza, costituita da tondini metallici di recupero verniciati di bianco che disegna un cubo sostenuto da una fondazione in pietra a croce greca. Nel cubo, una gamella, contenuta in una teca di vetro, avvolta dal filo spinato, riempita con la terra prelevata a Mauthausen, a simboleggiare la sepoltura collettiva delle vittime dello sterminio. Sui pannelli, una dedica: “Ai morti dei campi in Germania. Dai crematori dei Lager germanici una scia di luce ricorda i nostri martiri. Nell’estremo supplizio, li conforti la certezza che la tirannide passa, la libertà risorge. Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia.”
La seconda tappa del viaggio riporta, nel 1967, Belgiojoso a Gusen, dove, insieme a lui e a Banfi, furono deportati quasi la metà degli Italiani “dissidenti”, di cui due terzi non fecero ritorno a casa. Nel dopoguerra, quanto rimaneva delle strutture del campo fu interamente abbattuto e il terreno lottizzato come area residenziale. Restava solo il forno crematorio, nel cui camino erano passate circa 30.000 persone. Intorno ad esso, lo Studio BBPR progetta il Memoriale: il forno viene avvolto da un involucro in calcestruzzo, che lo insegue interamente, rendendolo il centro di un labirinto costituito da muri di opprimente altezza. Il visitatore è indirizzato verso un percorso obbligato che parte dall’area occupata dalle case dei residenti e culmina di fronte le bocche del crematorio, in una sequenza drammatica in cui si accorda “il movimento all’esperienza, lo spazio al tempo, la costruzione alla narrazione”, per dirla con le parole di Belgiojoso, che, nel progetto, ha fatto ricorso alla propria esperienza personale di deportato. Risalgono proprio al periodo di internamento in quel lager alcuni disegni che egli riuscì a tracciare e a riportare a casa alla fine della guerra. Anche essi sono adesso in esposizione alla Casa della Memoria. I suoi ricordi di deportato sono riportati anche in estratti dalle sue memorie, Notte, nebbia. Racconto di Gusen, pubblicate a Milano da Hoepli nel 2009.
Si torna poi in Italia, a Carpi, dove il sindaco aveva promosso un comitato per realizzare un Museo- Monumento per ricordare le deportazioni, la storia e il ruolo del campo di Fossoli – lì vicino -, luogo di transito verso i campi nazisti, in cui fu rinchiuso anche il Belgiojoso nella primavera del 1944. Vine così bandito un concorso internazionale e, fra i sette progetti prevenuti, nel febbraio 1964, è proclamato vincitore quello dello Studio BBPR, in collaborazione con Renato Guttuso. L’opera viene inaugurata nel 1973. Concepita secondo un percorso continuo fra spazi interni ed esterni, la narrazione attraversa le dolorose vicende delle deportazioni, in una interrelazione tra arti, storia e memoria e si conclude nello spazio aperto della Piazza dei Martiri. Nelle sale, una successione di teche espone documenti e reperti, mentre, alle pareti, disegni di Guttuso, Longoni, Picasso, Cagli, Lèger si accompagnano alle citazioni tratte dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza. A concludere la Sala dei Nomi, la prima al mondo alle cui pareti, volte e colonne sono scritti i nomi dei 14.314 deportati italiani morti nei lager nazisti.
Il percorso fra i memoriali non può non passare da Auschwitz. Qui, già nel 1973, uno straordinario gruppo di intellettuali, tra cui gli architetti della BBPR, Primo Levi (che scrive i testi), Luigi Nono (che compone la musica), Pupino Savona (che realizza le tele), Nelo Risi (tecnico delle luci) iniziano a progettare un “Museo sotto forma di spirale in materiale economico e leggero”. Una tela corre lungo la spirale con illustrazioni “riprodotte con un procedimento meccanico per la maggior parte costituite da riproduzioni ingrandite di disegni o di pitture”. Nel 1979 il progetto assumeva già la forma definitiva e il memoriale viene inaugurato l’anno dopo, nel Blocco 21. “Nel nostro progetto”, scrive Ludovico Belgiojoso, ci siamo sforzati di ricreare […] una atmosfera da incubo, l’incubo del deportato straziato fra la quasi certezza della morte e la tenue speranza della sopravvivenza, mediante un percorso che passa all’interno di una serie infinita di spire di una grande fascia elicoidale illustrata […] la spirale è stata pensata come un grande affresco che allude, attraverso delle immagini evocative della storia italiana, dall’inizio del fascismo fino alla deportazione nazista, al succedersi dei momenti drammatici di lotte, di sofferenze, di disperazione e di speranze, con la conclusione […] che si spalanca al momento della liberazione” . Purtroppo a partire dal 2007 una serie di attacchi ha investito l’opera, che, da lì a poco, la direzione del Museo di Auschwitz ha dichiarato non conforme alle nuove linee guida. Il governo italiano, allora presieduto da Silvio Berlusconi, nel 2009, si è schierato con i polacchi chiedendo la rimozione del Memoriale. Nel 2015, per salvarlo, si è deciso il suo trasferimento a Firenze, dove ha subito un restauro all’Opificio delle Pietre Dure. È stato rimontato nel 2018 e aperto al pubblico a Gavinana nell’edificio Ex3, in periferia, purtroppo accanto a un centro commerciale… Fine poco degna, ma meglio della “rottamazione”.
E, come nelle migliori tradizioni, alla fine si torna nel luogo di partenza, Milano, al Parco Nord, dove fra il 1994 e il 1998 Belgojoso e suo figlio Alberico realizzano un’opera scultorea come Monumento al Deportato. Nella sua enorme ed essenziale figura, rappresenta un deportato reso schiavo dalla ferocia nazista, schiacciato dal cumulo di pietre che deve trasportare ma che resiste con grande dignità, a simboleggiare la Resistenza antifascista. Il monumento è stato pensato per essere visibile dalla grande arteria di accesso a Milano e dall’area Breda. È dedicato, infatti, alle centinaia di operai che lavoravano nell’area industriale di Sesto San Giovanni, arrestati, deportati e in gran parte assassinati nei campi di concentramento nazisti, a seguito degli scioperi del marzo 1994 o per attività antifasciste.
E così finisce il nostro viaggio. Gli architetti dello studio BBPR, all’uscita, ci salutano con una frase che è il manifesto del loro lavoro collegiale “Qualsiasi progetto fatto in quattro è comunque migliore di quello che sarebbe stato prodotto singolarmente da ciascuno”.