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Gaza/La guerra è un vero affare per le industrie di armi israeliane

Il mese di guerra a Gaza ha significato una perdita di oltre due miliardi di euro per le già madre casse palestinesi. Anche Israele ha dovuto subire un contraccolpo economico. Poi ci sono le industrie di armi, per loro è un vero boom.

 

di Aldo Madia (tratto da Remocontro)

Muhammad Mustafà, ministro dell’Economia palestinese, calcola in due miliardi e duecentocinquanta milioni di euro i danni per i bombardamenti subiti fino ad ora dalla Striscia di Gaza. Piccole imprese a conduzione familiare, fabbriche e aziende private, palazzi e abitazioni, scuole, moschee, ospedali, terreni agricoli: distrutti o gravemente danneggiati. Le infrastrutture civili dalle reti elettrica e idrica alle fognature, dalle linee telefoniche alla rete di distribuzione del carburante sono devastate. La disoccupazione già al quaranta per cento, che sale al quarantaquattro.

 

Dall’altra parte, Israele è il primo in termini di numero di armi vendute sul mercato interno e la sua industria militare contribuisce al tre e mezzo per cento del prodotto interno lordo.
Nel corso di Fiere prontamente preparate dopo ogni attacco a Gaza, compagnie private e pubbliche presentano l’armamento utilizzato e testato nel corso della campagna e quindi portatore di un valore aggiunto che ne aumenta i profitti.

 

Alla fine di luglio, l’industria aerospaziale di Tel Aviv ha lanciato un appello agli investitori privati per la produzione di nuove bombe.

 

Ma per Israele non è solo guadagno. Non mancano i costi civili con significativa erosione del Welfare: tagli alle spese nei settori di istruzione, sanità e trasporti; chiusure di fabbriche e aziende agricole; sensibile calo dell’industria turistica; perdita del mercato di Gaza sia fra i compratori che per la manodopera a basso costo.
A livello macroeconomico, l’Istituto israeliano di statistica segnala un forte calo delle esportazioni verso l’Europa a causa della campagna “Boycott, Disinvestment and Sanctions” (Bds) di boicottaggio delle merci provenienti dalle colonie e distribuite come prodotte in Israele.

 

Il tentativo israeliano di diversificare l’export spostandone il baricentro dall’Europa all’Asia ha registrato un calo del sette per cento nell’area europea e del dieci in quella asiatica rispetto ai livelli dell’inizio 2014.

 

La realtà è che un Paese in guerra allontana gli investitori esteri, come ha platealmente dimostrato il vuoto registrato nell’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, dopo essere stato sfiorato dai razzi esplosi dalla Striscia di Gaza.
Gli alti costi della guerra sono calcolati in miliardi di euro e si sommano ai quasi quattrocento milioni di euro stimati in perdita rispetto agli introiti dal turismo del 2013, in termini di riduzione di addetti al settore e di visitatori.

 

In questo contesto, si inseriscono le esercitazioni militari previste dal 21 settembre 2014 in Sardegna a Capo Frasca, dove piloti israeliani voleranno con caccia F-15 ed F-16 ora in azione a Gaza, insieme ad altri aerei d’attacco come Tornado, Amx e Mirage, italiani e di altri Paesi alleati.
È previsto che, come nelle precedenti esercitazioni, gli aerei oltre al sorvolo sgancino bombe da sei chili ai cinquecento fino ad arrivare a una tonnellata.

 

La partecipazione di Israele a queste esercitazioni risale al Memorandum del 2005 che stabilisce la cooperazione militare fra Roma e Tel Aviv rinnovabile nel 2015.
Non pochi movimenti e associazioni pacifisti chiedono la revoca del programma.

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