5.5 C
Rome
sabato, Novembre 23, 2024
5.5 C
Rome
sabato, Novembre 23, 2024
HomecultureMan Ray, arte surrealista per tempi surreali

Man Ray, arte surrealista per tempi surreali

Fino al 9 luglio Man Ray in mostra al Palazzo Ducale di Genova

Arte surrealista per tempi surreali. Quelli che il mondo vive da tre anni a questa parte, precipitato in una distopia di pandemie, lockdown e infine un conflitto armato sul suolo europeo che minaccia, un giorno si e l’altro pure, di finire in una guerra nucleare. Può aiutare allora una dose di surrealismo come rimedio omeopatico.

Arte come terapia, quindi. Quella che si può trovare fino al 9 luglio nella mostra Man Ray. Opere 1912-1975 nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova. E che rende omaggio al lavoro del maestro Emmanuel Radnitzky, con quel suo nome d’arte da super eroe Marvel, Man Ray, nato a Filadelfia nel 1890 e morto a Parigi nel 1976, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso. Ma anche pittore, scultore e regista d’avanguardia.

La mostra – curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola – raccoglie ben circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e  film: altrettanti pillole di surrealismo che possono servire per guarire dalla sindrome globale di ansia e di paura di un mondo sull’orlo di una crisi di nervi definitiva. Perché il mondo un luogo assurdo e pericoloso, in fondo, lo è sempre stato. Forse ce lo eravamo solo scordato e la vista inaspettata di un Ferro da stiro con chiodi, inutile e minaccioso, può servire a ricordarlo.

Il percorso, espositivo e terapeutico è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile per tutti coloro che desiderano conoscere il periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo. La volontà dell’artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche si traduce in una produzione Ironica, spiazzante e sensuale, non esente da sfumature fetish come nel busto femminile impacchettato di corde della Venus restaurée,  del 1936, concorrendo alla formazione di un immaginario erotico che poteva declinarsi  ancora come trasgressione, tanto tempo prima di essere inghiottito dal tritacarne delle pornografia su Internet. E che poteva poteva ancora esplicitamente porsi al servizio di una Rivoluzione, politica e dei costumi, piuttosto che alla commercializzazione della sessualità. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l’aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell’ignoto».

La mostra si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.

Un viaggio che comincia – nella prima sezione – con una serie di autoritratti dell’artista, nei quali già si ritrova quell’idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità. A questi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell’arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell’ambiente artistico.

La seconda sezione della mostra – “New York” – racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l’artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l’amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell’avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento.

 

È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell’arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l’idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile.

La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla “scoperta della luce”. Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall’intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell’evasione dell’artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l’anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d’oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone. Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell’epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell’artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d’Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque. Nella  “Ville Lumière”, Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell’arte e della cultura. È così che l’artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile.

La mostra prosegue con le sezioni “Corpo surrealista” e “Corpo, ritratto e nudo”. Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista  diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell’artista esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l’heure de l’observatoire – Les Amoureux, con le labbra di Kiki ingigantite che volano sopra il paesaggio, un’altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carriera, per giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità. Un punto cardine nella storia del movimento è l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all’interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins (1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell’avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all’Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute couture da modelle femminili, tra cui la compagna dell’epoca Ady Fidelin. In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l’erotismo e l’amore libero rappresentino  uno dei motori propulsori della sua creatività.

Erotique-voilee-Meret-Oppenheim-a-la-presse-chez-Louis-Marcoussis

Il 1940 segna l’anno del ritorno di Man Ray in America – prima a New York e successivamente a Los Angeles –, un ritorno causato dall’impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti. Nella sezione “Los Angeles/Paris” vengono indagati gli anni in cui l’artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).

La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell’arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l’arte, con infinita ironia e intelligenza.

MAN-RAY-donna-violino

La mostra evidenzia l’originalità, le innovazioni e i contributi dell’artista nell’evoluzione e nell’ideazione anche del cinema d’avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali – tra le altre – Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L’Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929).

Il progetto è firmato Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e Suazes, impresa culturale e creativa con la quale Fondazione è alla sua quinta collaborazione.

Orari

da martedì a domenica 10-19; lunedì chiuso (biglietteria chiusa dopo le 18)

aperta Pasqua e Lunedì dell’Angelo, lunedì 24 aprile e 1° maggio.

Info:  www.palazzoducale.genova.it

MAN-RAY-Glass-Tears-1976

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Lo squadrismo dei tifosi israeliani e il pogrom immaginario

Violenza ad Amsterdam: i fatti dietro le mistificazioni e le manipolazioni politiche e mediatiche [Gwenaelle Lenoir]

Ferrarotti è morto e forse la sociologia non si sente troppo bene

Vita e opere dell'uomo, morto il 13 novembre a 98 anni, che ha portato la sociologia in Italia sfidando (e battendo) i pregiudizi crociani

Un Acropoli che attraversa una città, recitando

A Genova va in scena, per la quindicesima edizione, il Festival di Teatro Akropolis Testimonianze ricerca azioni

Maya Issa: «Nessun compromesso sulla pelle dei palestinesi»

L'intervento della presidente del Movimento Studenti Palestinesi in Italia all'assemblea nazionale del 9 novembre [Maya Issa]

Come possiamo difenderci nella nuova era Trump

Bill Fletcher, organizzatore sindacale, sostiene che ora “il movimento sindacale deve diventare un movimento antifascista”. [Dave Zirin]