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Morte di Berlusconi, non c’è nulla per cui brindare

L’euforia per la scomparsa di Berlusconi è fuoriluogo al pari della sua santificazione. Ricordiamone la pesante eredità sul piano economico e sociale [Marco Parodi e Checchino Antonini*]

E’ morto il re… viva il re! Il senso di questo lutto nazionale per la morte di Berlusconi è racchiuso da secoli nella formula di rito della monarchia inglese. Mica però perché l’unico re buono è il re morto, come potremmo ironizzare, ma perché i funerali di stato sono il rito con il quale le classi dominanti ristabilizzano le gerarchie sociali per perpetuare le forme dello sfruttamento coinvolgendo settori vasti anche tra gli sfruttati nel ruolo di spettatori-consumatori. La vicenda terrena di quest’uomo termina con un evento mediatico che frutterà profitti alle sue aziende perfino con la vendita degli spazi pubblicitari del cordoglio a reti unificate. E le Borse registrano l’euforia dell’occasione con un +7% per le azioni della finanziaria di famiglia.

D’altra parte con le sue televisioni proprio B. ha enfatizzato quel ruolo già prima di entrare in politica, “scendere in campo” ossia mutuando le forme del tifo calcistico per un nuovo populismo mediatico. Non siamo i primi a dirlo. Tuttavia l’enfasi sulla singolarità del Cavaliere, sulle sue vicende personali, giudiziarie, matrimoniali, sessuali, sullo squallore della sua levatura morale rischia di sfumare l’elemento chiave di questa vicenda: il berlusconismo non è un fenomeno di costume o, al limite di malcostume, è una delle varianti del capitalismo nell’epoca del neoliberismo. Una variante fatta di deregulation, insofferenza per i corpi intermedi, razzismo, sessismo, proibizionismo e repressione feroce. Palazzinaro, editore, in quanto tale membro della P2, non solo ha “dé-diabolisé”, sdoganato, l’estrema destra ma ha dato un impulso notevole al dispiegamento del piano di “rinascita di Licio Gelli” peraltro in assoluta sintonia con la linea di JP Morgan contro le costituzioni nate dalle resistenze al fascismo nel Sud Europa che “mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”. Dunque non parrebbe esserci nessuna devianza rispetto agli orientamenti delle borghesie italiana e internazionale. Tant’è che a Berlusconi si sono ispirati altri esperimenti di populismo turboliberista, Trump in prima linea. In questo senso si può dire che è stato un “format”.

E a chi punta l’indice sull’aver anteposto i propri interessi a quelli nazionali, va ricordato che non esiste imprenditore che non lo fa perché il capitalismo è questo, una concorrenza feroce tra imprese per l’accaparramento di risorse naturali che condividono solo l’idea di comprimere i diritti sociali e civili delle classi da cui estraggono i loro profitti. L’indegnità di Berlusconi è la medesima di ogni padrone. E la convivenza con le mafie da parte di politica e imprenditoria non l’ha certo inventata lui, casomai l’ha interpretata, lo stesso si deve dire delle leggi ad personam, dell’evasione e delle  delle frodi fiscali, degli attacchi alla magistratura. Nulla di nuovo sotto il cielo del capitalismo se non nelle forme corrispondenti all’attacco frontale del neoliberismo a ciò che restava del compromesso sociale del dopoguerra.

Nei prossimi tempi il balletto non finirà, scopriremo o riscopriremo altre vicende turpi del Berlusconi uomo, marito, padre e padrino ma anche qui nulla di diverso dalla maggioranza dei maschi, bianchi, ricchi.

A noi viene in mente, per motivi generazionali e per le radici politiche del nostro impegno, che lui fu il mandante morale e politico dell’omicidio di Carlo Giuliani, il 20 luglio del 2001. Era il capo di un governo che ordinò a tutte le sue polizie di mettere in atto la «più grande violazione dei diritti umani in Occidente dopo la seconda guerra mondiale». Nel chiacchiericcio a reti unificate solo la nostra compagna Eliana Como lo ha ricordato con nettezza tenendo testa, per altro, a una Elsa Fornero che pretendeva di essere la faccia buona del capitalismo contro lo spendaccione e crapulone Cavaliere.

Berlusconi ha incarnato una versione del programma politico della borghesia plasmando anche la cosiddetta opposizione. Le vicende giudiziarie sono solo un corollario di una eredità pesante sul piano economico e sociale che il centrosinistra non ha mai nemmeno provato a scalfire. Anzi, nel gioco dell’alternanza, ciascuno si è insinuato nelle brecce aperte dall’altro dentro una visione antipopolare e antioperaia.

La Legge Biagi, ad esempio, è la peggiore di tutte sulla precarietà ma è arrivata sulla scia del Pacchetto Treu di Prodi.  Lo “Scalone Maroni” è il peggior aumento dell’età pensionabile, dopo Dini e subito prima della Fornero. La “riforma” Moratti dell’università ha praticamente cancellato la figura del ricercatore a tempo indeterminato. Quella di Gelmini ha tagliato quasi 10 mld alla scuola, il peggiore salasso di sempre. La legge Bossi-Fini, che peggiora ulteriormente la già orrenda Turco Napolitano, è la più infame norma contro le persone migranti perché raddoppia i tempi di permanenza nei “lager” per migranti e lega il permesso di soggiorno al lavoro alimentando un conflitto “orizzontale” tra i penultimi e gli ultimi nel mercato del lavoro. Il decreto sicurezza ha inventato il reato di immigrazione clandestina e ha escogitato le presunte aree strategiche di interesse nazionale consentendo la militarizzazione della Val Susa e la blindatura dei cantieri per le cosiddette grandi opere. Con il ministro Brunetta ha dichiarato guerra ai lavoratori e alle lavoratrici della funzione pubblica e non risultano significativi passi indietro dei governi successivi, si pensi all’ossessione di Ichino per la licenziabilità nel pubblico impiego e quella di Cottarelli per i tagli alla spesa pubblica.

Non si può comprendere a pieno l’egemonia di Berlusconi se non se ne sottolinea la capacità di creare un blocco sociale con il legante materiale del sostegno al sommerso e all’evasione e frode fiscale in tutti i modi senza sanzioni e controlli, con l’eliminazione delle tasse di successione e dell’ Ici su case ad alta rendita catastale, con la riduzione dell’Irpef sui redditi alti e la riforma dell’Ires con riduzione di tre punti dell’Irpeg e la detassazione massiva degli utili reinvestiti. No, non s’è fatto solo gli affari suoi, ha fatto fare buoni affari a quelli come lui, alla classe dominante, la razza padrona. Ovvero non ha vinto solo perché ha affascinato gli elettori come i clienti delle sue televendite ma perché è stato scelto per rendere un servizio fondamentale alla sua classe d’appartenenza contribuendo alla sconfitta storica del movimento operaio.

L’attacco frontale allo Statuto dei lavoratori, con la legge Sacconi, è uno dei punti che più lo accomuna a chi avrebbe dovuto costruire l’opposizione. Quell’attacco sarà portato a compimento da Renzi e tutto il Pd, anche quello che da un po’ si straccia le vesti, con la connivenza del sindacato. Così come la propensione alla guerra: trascinò l’Italia in una guerra a fianco di Blair e Bush contro la popolazione civile dell’Afghanistan, prima, e dell’Iraq, più tardi, partecipando con i suoi spioni anche alla fabbricazione delle fake news sulle armi di distruzione di massa (il Niger Gate) che servirono come casus belli. Fu amico, socio, complice e sodale dei carnefici di mezzo mondo, da Putin (anche dopo i massacri in Cecenia e gli omicidi degli oppositori) a Gheddafi, da Mubarak a Sarkozy, passando per lo stretto amico Erdogan, oltre ai due campioni occidentali citati sopra.

Non risultano ripensamenti, sulla guerra, da parte dei governi che si sono intrecciati con i suoi. Va detto che nel cosiddetto ventennio berlusconiano lui è stato a Palazzo Chigi complessivamente per 2245 giorni su 7300. Il resto della storia l’hanno scritta Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Monti, Letta e Renzi, di cui i governi Dini, Monti e Letta con il suo determinante sostegno.

Sul piano dei diritti civili è in buona compagnia anche nell’attacco all’autodeterminazione delle donne, con la legge 40 contro la fecondazione assistita e la ricerca, con il Family Day. Ha inondato di soldi le scuole private e ha consentito che le diocesi nominassero insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado. Per questo la Chiesa Cattolica lo ha beneficiato di un’omelia quantomeno benevola con buona pace di ogni dettame dottrinale: «E’ stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento», ha detto l’Arcivescovo di Milano di fronte ai 2mila invitati al rito.

Infine, con la legge liberticida Fini-Giovanardi, ha riempito le galere di consumatori di sostanze ridando uno slancio senza precedenti alle narcomafie che possono prosperare solo dove il proibizionismo tiene alti i prezzi. Si aggiunga poi il presunto garantismo, tanto sbandierato, ma che serviva piuttosto a celare la dialettica carognesca di uno sfacciato impunitismo per i potenti da un lato e del peggiore giustizialismo per i più deboli dall’altro. Il classico adagio del servo encomio e del codardo oltraggio, tipicamente italiota di quella sempiterna vecchia piccola borghesia, sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa, e sempre pronta a leccar le ossa al più ricco a ai suoi cani.

Berlusconi è stato l’alfiere della post-democrazia, del liberismo populista senza anticorpi sociali.

Per questo i funerali di Stato e il lutto nazionale sono il rito che serve a non disperdere nemmeno una briciola dei suoi servigi alla razza padrona.

Quello che non è riuscito a fare lo proveranno a fare i suoi successori, quella destra fascistoide che grazie a lui è stata sdoganata ma che ha una maggioranza assoluta solo grazie a una legge elettorale truffaldina scritta dal Pd.

Lascia un partito con 90 milioni di euro di debiti che si sgretolerà finendo perlopiù nelle grinfie di Giorgia Meloni e un po’ nelle fauci di Renzi, “Fratelli’Italia Viva”.

Non sprechiamo una lacrima però nemmeno alziamo calici di fronte alla morte per leucemia di un’ottantaseienne, per quanto lestofante sia stato.

Non c’è proprio nulla da brindare, almeno finché il cammino degli oppressi non riprenderà la sua marcia. Un po’ dipende anche da noi.

(*) questo articolo è apparso su anticapitalista.org

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