Da un’idea di Luca Borzani e Antonio Caminito, scritta e diretta da Ugo Roffi e Ludovica Schiaroli, la biografia di una città nel documentario Franco Sartori – la città possibile
Come eravamo. Come potevamo essere. Come non saremo più. Sono i tre tempi verbali, tutti indicativamente virati in forma privativa, che svolgono l’arco narrativo – come dicono quelli bravi – del documentario Franco Sartori – la città possibile.
Da un’idea di Luca Borzani e Antonio Caminito, scritta e diretta da Ugo Roffi e Ludovica Schiaroli, la biografia di una città, Genova, nel suo ultimo scorcio di Novecento che si intreccia, fino quasi a incarnarsi, in quella della figura del sindacalista Franco Sartori (1941-1996) Una storia di fantasmi, potrebbe esserne il sottotitolo. Quelli della classe operaia, della fabbrica, di un modello di sviluppo industriale, del sindacato, del grande partito di sinistra e delle sue articolazioni sul territorio, dell’intellettuale organico, del lavoro e della sua dignità. di un intero immaginario… Ma come finisce un mondo? Come tutto il resto, dopotutto: prima un po’ alla volta e infine tutto insieme in uno schianto. Magari nella mattina di una piovosa vigilia di Ferragosto. Quella del 2018, quando a crollare di schianto fu il ponte Morandi, che di quell’idea di mondo e di città era incarnazione orgogliosa. Ancorché nata già minata dalle fondamenta, proprio come la modernità industriale di cui era espressione simbolica.
Sullo schermo si srotolano così almeno due decenni, i vituperati anni Ottanta e Novanta, che non sono passati senza lasciare traccia sulla pelle – e sulla carne viva – di una città che ha dovuto faticosamente ripensarsi e reinventarsi a seguito di tutte quelle trasformazioni dell’economia mondiale note complessivamente come processo di globalizzazione.
ll documentario racconta infatti una città segnata delle crisi delle grandi fabbriche, del porto, dall’inquinamento, dall’assenza di politiche industriali ma dove, nello stesso tempo, emergono nuovi soggetti politici come il comitato Salute e Ambiente delle donne di Cornigliano, nell’eterno conflitto della modernità tra sviluppo e ambiente, ricchezza e salute. E racconta in parallelo un uomo come Sartori, che vedeva nel Ponente cittadino il laboratorio da cui ripartire per costruire una nuova stagione di futuro per la città.
Quanto si è realizzato della Genova immaginata da Sartori lo si scopre attraverso il racconto di sei testimoni d’eccezione che hanno vissuto quel periodo e hanno conosciuto e lavorato col sindacalista genovese: lo storico Luca Borzani, Antonio Caminito, sindacalista e segretario FIOM dal 1999 al 2019, Leila Maiocco, responsabile del Centro Civico di Cornigliano dal 1985 al 2000, punto di riferimento delle donne del Comitato Salute e Ambiente e compagna di Sartori, il senatore Andrea Ranieri, segretario CGIL Liguria dal 1989 al 1996, Uliano Lucas, fotoreporter conosciuto per i suoi reportage sul mondo del lavoro e delle migrazioni che ha fotografato la Genova degli anni 80 e 90 e Igor Magni, attuale segretario della Camera del lavoro di Genova.
La città possibile immaginata da Sartori sarebbe stata quella che non consuma il territorio, ma mette al centro lo sviluppo sostenibile, investe sui nuovi lavori, sui nuovi saperi, vede le contraddizioni non come ostacoli ma come risorse. Come il suo slancio nell’immaginare anche per la sua Genova una soluzione di riconversione sul modello di Sophia-Antipolis, parco tecnologico francese tra Nizza e Cannes specializzato in tecnologie avanzate che impiega complessivamente quasi 40 mila lavoratori. Una visione e un progetto di comunità troppo avanti per quegli anni, almeno da queste parti, che avrebbe richiesto risorse economiche, culturali e anche politiche che non ci furono. Ma che avrebbero potuto contrastare la forza di gravità del piano inclinato che, in quello scorcio di Secolo breve, governava in tutto l’Occidente lo slittamento dal paradigma del lavoro a quello del consumo. Con quest’ultimo che veniva a insediarsi, simbolicamente e fisicamente, proprio nei luoghi che avevano visto il primo come protagonista assoluto fino a poco fa. In quelle aree delle acciaierie di Cornigliano che, con la chiusura delle inquinanti lavorazioni a caldo, venivano restituite alla città nella liturgia dinamitarda dei nuvoloni di polvere sollevati dalle demolizioni controllate di ciminiere e altiforni che avevano disegnato lo skyline di una estesa area urbana.
Periferica geograficamente, quanto centrale in termini di identità di un intero territorio. Al posto di quei manufatti, dei quali fu risparmiata solo una gigantesca pressa che troneggia oggi al centro del parcheggio di un centro commerciale, silenziosa e inerte come il totem di un’antica religione dimenticata, sono sorte cattedrali del divertimento e del consumo, salutate come il nuovo che avanzava. Già insidiate oggi, come i multiplex e i mall americani cui si ispiravano, da un’obsolescenza programmata indotta dalle piattaforme di streaming e di acquisto digitali. E della quale la desertificazione forzata ai tempo del lockdown pandemico è stata, forse, un affannato sogno premonitore.
Una vicenda, personale e collettiva, che infine chiama in causa un interrogativo da niente, ma dai cui esiti ultimi molti si erano sentiti al riparo, almeno fino a oggi. Fin quando, cioè, l’automazione del lavoro aveva investito come un treno solo mansioni operaie o manuali. Cosa succede invece quando scopriamo che qualcuno, dall’altra parte del mondo, oppure qualcosa, nello smartphone che abbiamo in tasca, sa fare quello sappiamo fare noi più in fretta, più economicamente e magari anche meglio? Ovvero quando, con la Quarta rivoluzione industriale, ChatGpt e le sue sorelle, intelligenze diversamente umane, svolgeranno – anzi già svolgono, in un tempo che non fa in tempo a essere pronunciato al futuro che già diventa presente – compiti di scrittura, di analisi e di regia e altre mansioni intellettuali e creative? Cosa succederà, in altri termini, quando verrà sancita la condizione di un essere umano definitivamente superfluo alla pulsione di riproduzione del Capitale?
Amici, testimoni e coprotagonisti della storia di Franco si avviano separatamente e a passo rallentato, nella sequenza finale del doc, verso la linea d’ombra di un crepuscolo che già si allunga su una città, e un mondo, che non esistono più. Popolato ormai solo di fantasmi. Quelli, forse, di tutti noi.
Durata: 81 minuti
Realizzazione: novembre 2021 – ottobre 2022
Per quanto riguarda il materiale filmico, oltre alle interviste e alle immagini girate ex novo del Ponente genovese di oggi, sono stati utilizzati filmati e fotografie da molti archivi, tra questi quelli della Fondazione Ansaldo, della Camera del lavoro di Genova, dell’Archivio storico della CGIL Roma, del Centro Civico di Cornigliano, delle Teche Rai, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), del Technopole Sophia Antipolis, Cedex – France e poi dagli archivi privati di Pietro Perotti, Pier Milanese, Roberto Schiaroli e Uliano Lucas.
Proiettato 12 volte tra Genova e Roma (a Scena ex Film Studio a Trastevere e a Garbatella), è stato proiettato l’8 giugno anche al Cinema Massimo di Torino perché selezionato per la 26° edizione di Cinemambiente, il Festival più importante in Italia a tematiche ambientali.
Ugo Roffi, film maker e Ludovica Schiaroli, giornalista e tra i fondatori di Popoff, sono già autori del documentario “Il Canto del Gallo” sulla vita di Don Andrea Gallo edito da Chiarelettere nel 2012; “Giovanni Burlando’s Vision” short-docu pluripremiato (Festival di Portland e Toronto) sulla vita del decano della corse motociclistiche in salita nel 2015; nel 2018 hanno realizzato “DigaVox – testimonianze dalla Diga di Begato” sull’emergenza abitativa a Genova. Il filmato ha riaperto il dibattito sulle politiche abitative, a distanza di due anni dall’uscita del docufilm l’amministrazione è intervenuta per risanare il quartiere. Nel 2020 hanno realizzato “Giotto. Il Novecento proletario di Giordano Bruschi” che racconta un secolo di impegno sociale, civile, politico attraverso le parole del protagonista, il partigiano Giotto. Il documentario è stato selezionato al Bellaria Film Festival, al Job Film Days di Torino e al May Day Film Festival di Santa Cruz, California.
Tutti i documentari sono disponibili in italiano e in inglese su Distribuzioni dal Basso- OpenDDB, piattaforma per il cinema indipendente.