Il leader Cgil propone un referendum contro la più precarizzante delle leggi. Assordante silenzio del Pd
“Quando abbiamo ogni anno 120mila giovani che vanno all’estero penso che sia venuto il momento di mettere in discussione quelle logiche sbagliate che hanno prodotto leggi precarizzanti e un impoverimento del lavoro”, dice Maurizio Landini, segretario generale della Cgil intervistato il 27 agosto dal Quotidiano Nazionale, il dorso di Nazione, Resto del Carlino e Giorno. Più avanti ribadisce che il sindacato sta chiedendo da tempo “di cambiare le leggi precarizzanti fatte da tutti i governi. Se governo e Parlamento non intervengono siamo pronti nei prossimi mesi a prendere in considerazione un referendum per abrogare quelle leggi folli, compreso il Jobs Act”.
La notizia avrebbe un ché di sensazionale se Landini fosse uno di quei personaggi (e la Cgil fosse uno di quegli apparati) che alle parole fanno seguire i fatti ma è difficile non ricordare che lui stesso al varo del Jobs act aveva giurato, nella sua veste di leader Fiom, di smontarlo fabbrica per fabbrica. Beh, obiettivo mancato.
Era un giorno di dicembre del 2014, il 12 per essere precisi, e la Cgil aveva indetto uno sciopero contro il jobs act. Quattro ore i metalmeccanici, due ore le altre categorie. Landini parlava in una piazza De’ Ferrari, a Genova, dove arrivò un corteo abbastanza grande ma frettoloso, solo poche centinaia di persone rimasero ad ascoltarlo. Peccato che il jobs era stato approvato definitivamente il 3 dicembre, 9 giorni prima. Tuttavia quel giorno (Popoff c’era) ci furono cortei in 54 città a riprova di una discreta disponibilità a mobilitarsi da parte di lavoratori e lavoratrici ma poi non se ne fece nulla vista la semi-infermità fisica o mentale che aveva colpito parecchi settori politici, sociali e sindacali con l’avvento del governo Renzi.
«Nel 2014 i metalmeccanici scioperarono anche a novembre, addirittura la stessa data che era già indetta da sigle di base (credo fosse il 14) – dice a Popoff Eliana Como, portavoce di Le Radici del Sindacato, l’area d’opposizione in Cgil – manifestazioni regionali, mi ricordo Milano bella carica. Erano solo i metalmeccanici, Camusso aspetto le misere 2 ore del 12 dicembre (peraltro anche lei dopo la grandissima manifestazione di sabato in ottobre). Fu proprio una enorme marcia indietro quel “fabbrica x fabbrica”, perché in campo almeno noi metalmeccanici c’eravamo stati e la disponibilità alla piazza c’era eccome. (Fu la seconda marcia indietro, la prima nel 2012 su Art 18 contro Fornero. Sciopero enorme dei metalmeccanici a marzo, poi il nulla)».
Nove anni dopo le conseguenze del jobs act, non solo sulla qualità del lavoro e della busta paga ma sul senso comune delle classi lavoratrici, sono enormi: precarietà, fisco, salario minimo, lavoro povero, contratti pirata, reddito di cittadinanza, tagli a scuola, sanità e trasporti sono i titoli dei paragrafi del libro delle disuguaglianze crescenti in una società sempre più frammentata proprio per il combinato disposto delle controriforme.
La boutade di Landini arriva alla fine dell’estate, alla vigilia di una manovra che si preannuncia piena di brutte sorprese per chi lavora, o cerca di farlo, o cerca di sopravvivere. Landini, nell’intervista, fa sapere di sapere dove trovare risorse: «Penso al Pnrr, ai fondi comunitari 2021-2027, al Fondo di sviluppo e coesione: qui ci sono risorse decisive per affrontare quei nodi strutturali che possono dare un futuro al nostro Paese”. Le risorse, sottolinea, “vanno prese dove sono. Serve una vera lotta all’evasione fiscale: con 100 miliardi di evasione si deve dire basta ai condoni e ai concordati preventivi. È il momento di tassare la rendita finanziaria e le rendite immobiliari. È il momento non di fare spot elettorali, facendo finta di tassare gli extra-profitti delle banche, per farli diventare crediti di imposta”. E ancora: “Occorre fare un ragionamento serio su tutti i profitti e su tutti gli extra-profitti. La questione fiscale è la questione delle questioni, mentre la delega approvata non va nella direzione giusta”.
Nel mese di settembre – si legge sul sito di Corso Italia – «la Cgil darà il via ad una grande operazione di democrazia e ascolto delle persone. Una campagna con assemblee con voto in tutta Italia su tutte le emergenze del Paese». Fino alla manifestazione già annunciata per il 7 ottobre assieme ad oltre cento associazioni laiche e cattoliche, “La via maestra”, si intitola alludendo all’attuazione della Costituzione per fermare l’autonomia differenziata e per affermare la pace.
Ma siamo ben lontani dalla convergenza di cui ci sarebbe bisogno, ovvero dalla ricerca collettiva di parole d’ordine unificanti e di una piattaforma che metta insieme vertenze e movimenti che altrimenti devono marciare in solitudine nell’affannoso tentativo di bucare il velo di Maya delle prime pagine e dei prime time. Fanno fede le manifestazioni contro l’abrogazione del reddito di cittadinanza che si sono tenute tra Napoli e Palermo in alcune città del Sud proprio 24 ore dopo l’intervista di Landini (una manifestazione nazionale è prevista per il 20 settembre). In realtà, con l’eccezione di una goffa e retorica difesa d’ufficio del jobs act da parte del giornalino diretto da Renzi, non si registrano prese di posizioni né contrarie né entusiaste in quel mondo che qualche mese prima ha iniziato a fremere per l’ascesa di Elly Schlein alla guida del Pd. Solo Maurizio Acerbo, a nome del Prc, ha offerto un endorsement alla proposta del segretario Cgil. «Ben venga un’iniziativa referendaria della Cgil che potrebbe segnare una svolta dopo decenni di perdita di diritti. Noi di Rifondazione Comunista e Unione Popolare discutiamo da tempo sulla necessità di una campagna referendaria sociale». Ma l’altra metà di UP, Potere al Popolo molto legata a USB, non sembra proprio impaziente di seguire corso Italia.
«La reazione del Pd la dice lunga! Svicolano, fanno i vaghi, dichiarano l’ovvio ma non che sono d’accordo – riprende Eliana Como – d’altra parte, il Jobs act lo hanno votato loro. Forse aspettano che in una prossima intervista, il segretario della Cgil aggiusti il tiro e il referendum annunciato punti un po’ più in basso chissà… Ora, premesso che un referendum ha forza solo se accompagnato da una grande mobilitazione e che la precarietà è fatta di 30 anni di leggi e purtroppo non la superi cancellandone una. Ma un referendum contro il Jobs act e il sistema delle tutele crescenti sarebbe finalmente un segnale importante e forte contro la precarietà e contro la divisione dei lavoratori in classi di serie A e serie B. É proprio ora di cambiare passo».