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Piove sul bagnato. L’alluvione vista da un campo “nomadi”

Prato, anche decine di famiglie sinte tra le vittime della tempesta Cioran. Per loro nessun aiuto e la solita dose di razzismo

3 novembre: un giorno prima della storica alluvione del ’66, la Toscana settentrionale è di nuovo sott’acqua. Sette morti accertati e due dispersi. Prato una delle province più colpite.

E mentre sono attivi 544 vigili del fuoco e il Presidente della Regione, Maurizio Giani, avverte la popolazione di non uscire di casa, siamo andati a sentire qual è la situazione di chi la casa non ce l’ha, ma è costretto a vivere in un campo “nomadi”.

Al campo di Via Manzoni ci accoglie Ernesto Grandini, che vive là da 38 anni in piccola unità abitativa mobile. Ernesto è Presidente dell’Associazione Sinti Italiani di Prato e membro dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), nonché grande divulgatore di cultura sinta.

ll campo si trova ai margini della città di Prato, lungo uno stradone, via Manzoni, dove le macchine corrono e si tuffano poco dopo nel nodo di viadotti che allaccia la zona di capannoni industriali all’autostrada Firenze-Mare. È uno dei quattro campi rom della città ed esiste da quasi quaranta anni. Ci vivono 10 famiglie, circa 35 persone.  A Prato, infatti, i circa 260 romanì vivono anche a Mezzana dove stanno 30 famiglie, circa 90 persone, a Pollative 25 famiglie, circa 70 persone, a San Giorgio Colonica 25 famiglie, 65-70 persone.  Nel resto della provincia ce ne sono altri due: a Poggio a Caiano – Poggetto (25 famiglie per una quarantina di persone) e a Montemurlo (10 famiglie con circa 35 persone). E proprio a Montemurlo l’inondazione è stata devastante: 2 morti.

Come è la situazione nel tuo campo dopo l’alluvione?

Ci siamo presi tanta paura. Abbiamo avuto molti danni ma per fortuna siamo sani e salvi. È quasi un miracolo: un albero si è abbattuto su una roulotte, ma per fortuna in quel momento all’interno non c’era nessuno”.

E hai notizie da altri campi?

Sì, a Montemurlo l’acqua è arrivata dentro le roulotte, allagando il pavimento. Nel campo di Poggio a Caiano, invece, la situazione è grave per l’esondazione del torrente. Lì è arrivata la polizia, dicendo di evacuare. Ma non ha fornito né mezzi per trasferire le persone, né un luogo dove poter stare. Sono stati lasciati a se stessi e si sono dovuti sistemare in ripari di fortuna o chiedere aiuto a delle altre persone gagie (non appartenenti alle comunità romanès) alluvionate.

Nessuno, neppure il comune, vi ha dato aiuto?

Solo una persona, Marco Biagioni, che si è portato a casa due famiglie di Mezzana e le ha tenute con sé fino alle tre di notte quando l’acqua non è calata. Per il resto siamo stati abbandonati a noi stessi. Centinaia di famiglie in sei campi.

E nel vostro campo avete avuto aiuti?

Niente di niente. Nessuno è venuto neppure a chiederci se avevamo bisogno di qualcosa. E eravamo sotto mezzo metro d’acqua. Sapevamo solo che dovevamo scappare. Ma dove, se nessuno viene a prenderci o ci dà un posto per la notte? È questo che non va bene. Se le istituzioni hanno bisogno di noi, noi politicamente ci siamo, ma quando abbiamo noi bisogno delle istituzioni, nessuno c’è. Ci hanno lasciato nei campi anche con l’inondazione.

Al di là di questa emergenza, come vivete voi a Prato?

Molto forte a Prato è la presenza sinta, mentre scarsa è la presenza di rom, ci sono sette-otto famiglie per una trentina di persone in totale sparse fra Mezzana e altri luoghi, anche su terreni privati con roulotte.  Ma per la gente comune sinti o rom cambia poco: sono tutti “zingari” e in quanto tali, guardati generalmente con paura, ostilità, disprezzo.

E qual è la situazione abitativa?

La maggior parte dei rom qui vive in case. E poi ci sono anche una decina di famiglie sinte che vivono in case da cinque – dieci anni. Gli altri, sono costretti a vivere nei campi.

Quando dici “in case”, intendi che sono riusciti a comprarsi una casa o che hanno ricevuto un alloggio dal comune?

Erano famiglie nella graduatoria delle case popolari.

E nel tuo campo qual è la situazione?

Noi abbiamo lo sgombero da Via Manzoni, ma non ci hanno dato neppure l’ombra di una casa. Eppure siamo residenti anche noi. È un disastro, secondo me, la politica di Prato per le abitazioni. Abbiamo fatto in 1200 domanda per le case popolari, ma ci sono 50-60 appartamenti all’anno.

Tu vorresti vivere in una casa “vera”?

Certo! È una baggianata e un retaggio fascista dire che noi romanès siamo nomadi. Semmai possiamo dire che noi sinti facciamo tradizionalmente anche dei mestieri che ci portano a spostarsi, come i giostrai. Ma si tratta di spostamenti per lavoro, non per nomadismo. Certo che vorremmo vivere in un appartamento! La mia famiglia nel 2018 voleva comprare un casolare abbandonato al di là della strada, proprio davanti al nostro campo, e ristrutturarlo con le nostre mani e a nostre spese, per andarci a stare. Quel casolare è di proprietà del comune. Abbiamo chiesto un microcredito di 10.000 euro ma non ci è stato concesso. Così siamo ancora nel campo, quello stesso campo da cui ora ci vogliono sgombrare, perché nei pressi di dove abitiamo è imminente la costruzione di un raccordo autostradale e nella nostra piazzola è previsto un deposito di materiale edile per la costruzione dell’autostrada. Il mese scorso ci hanno tolto il permesso di sosta. Noi siamo qui da 38 anni.

Accennavi al retaggio fascista… In effetti quasi nessuno sa cosa è il Porrajmos, né tanto meno delle persecuzioni di sinti e rom nell’Italia fascista…

È così. E non c’è una riga neppure nei libri di scuola. Ma non parliamo del passato, anche se abbiamo subito cose molto gravi, ma del futuro. Per noi non c’è futuro. Abbiamo parlato con le istituzioni, ma vogliono che ce lo risolviamo noi il problema abitativo. Dicono che ci daranno un bonus da 6.000 euro per l’uscita dai campi, ma che l’appartamento lo dobbiamo prendere in affitto noi. E va bene. Ma il problema è che quando, al momento di firmare il contratto, diamo il nostro indirizzo di residenza e il locatore vede che corrisponde ad una strada che si trova in uno dei sei campi “nomadi”, si rifiuta di darla in affitto, perché non si fida degli “zingari”. Uno su mille ci dà in affitto una casa!”

Salutiamo Ernesto, dignitoso e battagliero, da buon figlio di partigiano (il padre ha combattuto con la Stella Rossa a Monte Sole – Marzabotto ed è sepolto al cimitero dei partigiani a Bologna) e riflettiamo.

Purtroppo non stupisce che la famiglia di Ernesto non trovi casa. Secondo Eurobarometro, European Value Survey, il 47% degli italiani si sente “a disagio all’idea di avere un rom come vicino di casa, e solo il 7% risponde positivamente alla domanda “sei disposto ad avere amici rom?”. In generale, gli italiani hanno un’opinione negativa su sinti e rom: “Sono le persone meno amate dagli italiani”. Secondo i dati del Ministero dell’Interno italiano, all’81% degli italiani sinti e rom piacciono poco o niente.

La disuguaglianza che tocca strutturalmente le comunità romanès è di tipo etnico-razziale. Ne sono infatti colpiti anche i membri con cittadinanza italiana, presenti nel territorio nazionale da secoli o da decenni. Non è quindi una disuguaglianza di nazionalità legata all’essere stranieri sul piano formale, giuridico; è prima di tutto una disuguaglianza sociale etnicamente connotata, legata all’appartenenza a popolazioni che storicamente hanno subito un processo di etnicizzazione razziale che sono stato rese un «popolo paria».

In Italia, sinti e rom sono solo lo 0,23% della popolazione (il più basso tasso in Europa) eppure se ne parla come di una pericolosa minaccia e si moltiplicano i pregiudizi antizigani. L’Italia e la Repubblica Ceca hanno la più alta percentuale in Europa di ostilità nei confronti di rom e sinti.

Il crescente antiziganismo nella nostra società negli ultimi anni ha portato a diversi richiami nei confronti dell’Italia da parte di organismi internazionali, come il Consiglio d’Europa e il Cerd (Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni razziali) stabilito dall’ONU.

I richiami riguardano in primis l’esistenza di campi “nomadi” (l’unico paese in Europa ad averli è l’Italia) definiti dell’UE “pratiche abitative che risultano in segregazione forzata”. A settembre 2023 in Italia restavano 109 insediamenti monoetnici all’aperto.  Adesso sappiamo che sei di essi sono alluvionati.

 

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