Visita alla Casa dello studente di Genova occupata nel 43 dalla Gestapo e divenuta luogo di tortura per partigiani e resistenti.
Anche quest’anno grazie al Centro Documentazione Logos è possibile visitare il “Sotterraneo dei tormenti” dentro la Casa dello Studente in Corso Gastaldi a Genova.
Dal 16 aprile i volontari dell’associazione genovese hanno organizzato visite e incontri per adulti e ragazzi con un focus per gli studenti e le studentesse delle scuole medie superiori e inferiori.
Ultimi appuntamenti: mercoledì 24 aprile dalle 9,30 alle 10,30 e a seguire l’incontro su “Scioperi e conflitto sociale: la Resistenza nelle fabbriche” con Irene Guerrini e Marco Pluviano del Comitato scientifico ILSREC info e prenotazioni per mail: centrodocumentazionelogos@gmail.com oppure telefonando al 3891520260 e giovedì 25 aprile dalle 11,00 alle 18,00 quando sarà possibile visitare il Sotterraneo senza bisogno di prenotazione.
Fa un certo effetto entrare in quella che oggi è la mensa della Casa dello studente, superare una porticina e trovarsi nelle celle dove la Gestapo torturava partigiani e resistenti. Venivano portati qui, interrogati, torturati e poi mandati nel carcere di Marassi, al Forte San Giuliano o sul Turchino e alla Benedicta a morire.
Sono celle grandi un metro e mezzo per un metro, dove venivano ammassati anche dieci prigionieri alla volta, tenuti in piedi, a tempo indefinito dove potevano sentire le urla provenienti dal piano di sotto, luogo della tortura.
È l’ottobre del 1943 quando la Casa dello Studente viene occupata dalla Gestapo. Lo annota il direttore: “ci chiesero il primo e il secondo piano”. Accade così che quella che dal 1935 era il luogo che Mussolini e i fascisti avevano pensato per educare i ragazzi meno abbienti, diventa il commando della polizia politica tedesca da dove coordinava tutte le sue azione su Genova e l’entroterra.
Dalla quarta sezione del carcere di Marassi venivano portati alla Casa dello Studente e dopo una sosta nelle celle, trasferiti al piano di sotto. Un corridoio umido con le pareti bianche, lungo venti metri accoglieva i prigionieri che qui venivano torturati. Alzando lo sguardo si vedono ancora i fili elettrici che servivano per illuminare l’ambiente e allo stesso tempo per torturare gli uomini e le donne reclusi. “Ci applicavano elettrodi ai genitali e alle parti del corpo dove il dolore era più acuto”, si legge in una testimonianza. Oggi lungo le pareti sono riprodotte le lettere d’addio di tanti partigiani e resistenti di tutta Europa, per lo più giovani di vent’anni che scrivono ai loro cari. “Ragazzi da tutta Europa – ci spiega la guida – francesi, tedeschi, austriachi, jugoslavi, che nonostante sappiano che sono condannati a morte rivendicano la scelta della lotta”.
Così scriveva prima di morire a 24 anni Walter Fillak ai suoi genitori: “Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevole di aver fatto tutto il mio dovere di italiano e di comunista. Ho amato soprattutto i miei ideali, pienamente cosciente che avrei dovuto tutto dare, anche la vita. Ho combattuto per la liberazione del mio Paese e per affermare il diritto dei comunisti alla riconoscenza e al rispetto di tutti gli italiani.” Un altro prigioniero, Paul Camphin, francese di 21 anni scrive: “Io resto un comunista sino in fondo, non rimpiango nulla, solo di non aver fatto abbastanza, se dovessi ricominciare una seconda vita, la ricomincerei simile alla prima. Andrò verso il plotone cantando la Marsigliese o l’Internazionale”.
Finita la guerra, la Casa dello studente resta chiusa qualche anno e poi riaperta, ma si preferisce cancellare la memoria di quello che lì è accaduto. Sono gli anni in cui Togliatti firma l’amnistia, si vuole pacificare il Paese e cancellare velocemente le ferite dopo gli anni della guerra civile. Le celle vengono rintonacate e trasformate in magazzini, il sotterraneo dei tormenti viene chiuso e la casa della tortura ritorna la Casa dello studente. Ma chi da lì è passato ed è sopravvissuto non dimentica.
Sono gli anni della contestazione studentesca e la Casa dello studente diventa un punto di riferimento politico e qui alcuni figli di partigiani, nel 1972 durante un’occupazione, decidono con l’aiuto di alcuni cuochi di tirare giù i muri e di aprire quelle porte che erano state chiuse o murate. “Sono state scoperte a Genova le tragiche celle della Gestapo”, titolava il 20 novembre 1972 La Stampa.
Se oggi è possibile visitare questi luoghi è grazie all’attività di volontariato fatta dal Direttivo della Casa dello Studente, dall’Anpi e da alcuni compagni di Lotta Comunista, che vorrebbero fare di questo luogo un museo internazionale dedicato a Rudolf Seiffert, operaio della Wemer Werke Siemens operaio resistente, arrestato e decapitato dalla Gestapo del penitenziario di Brandeburgo a Berlino il 29 gennaio 1945.