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Europee, Ilaria Salis ce l’ha fatta. Fine delle buone notizie

La sinistra c’è ma non si scolla dal Pd. L’onda nera c’è ma non ferma Ursula. Primi spunti sui risultati delle elezioni europee

Ilaria Salis è stata eletta e probabilmente si sottrarrà alla prigionia feroce del dittatore ungherese amico di Putin e Giorgia Meloni. Fine delle buone notizie.

Già dalle dichiarazioni dei primi minuti dopo gli exit poll, il duo Bonelli-Fratoianni ha messo a disposizione del Pd il buon risultato ottenuto, anche grazie alle candidature della detenuta antifascista e dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano. Come previsto, le foglie di fico incastonate anche nelle liste del Pd hanno svolto il loro compito storico di santificare il voto utile e la strana creatura di Santoro, unica lista ad aver raccolto le firme collegio per collegio, non ha nemmeno sfiorato il quorum per la combinazione tra propensione al voto utile, fuga di parte del possibile target verso Salis e Lucano, e la scarsa attrattività di una lista troppo eterogenea e in alcuni nomi proprio ambigua rispetto al concetto di pace che pure avrebbe dovuto essere il collante della coalizione. Tuttavia, sommando le “foglie di fico” pacifiste nel Pd (Tarquinio e Cecilia Strada) al dato seppur deludente del M5S (il peggior dato dal 2013) che ha inserito l’ashtag pace nel simbolo elettorale ai voti di AVS e PTD l’istanza antiguerra mostra una certa consistenza sebbene non si sia materializzata più nelle piazze nelle forme conosciute fino a qualche anno fa.

La coalizione Ursula tiene, così esclamano i commentatori, ma l’unico che si rafforza è il PPE, il partito popolare che ha da sempre alcune porte girevoli che immettono in aree nazionaliste, populiste e fascistoidi.

Clamorosa la situazione francese dove la molto annunciata affermazione di RN, a guida Le Pen-Bardella, ha persuaso Macron a sciogliere il parlamento e a tornare alle urne tra tre settimane per provare a spuntarla con la sperimentata tattica del voto utile repubblicano dentro una legge elettorale ancora più esclusiva di quella che in Italia, combinando astensioni e mancati quorum, tiene fuori dalla possibilità di rappresentanza il 65% degli elettori.

Primo partito, infatti, è quello del non voto che fotografa un mix di disillusione e frammentazione sociale che incide in modo permanente sul senso comune.

Tra gli sconfitti va annoverata la Lega di Salvini che nemmeno l’effetto Vannacci riesce a mantenere al di sopra del 10% in buona compagnia di Renzi, Bonino e Calenda battuti dai personalismi e buggerati da soglie di sbarramento che a suo tempo avevano caldeggiato.

L’onda nera, insomma, c’è stata ma non al punto da mettere in crisi, per ora, una governance europea che non sembra disposta a cambiare rotta né sulla guerra né sui grandi temi che stanno logorando il tessuto sociale dei paesi membri. Questo perché quella governance s’era già spostata a destra come hanno dimostrato il recente patto sull’immigrazione e la riedizione del patto di stabilità.

La guerra continua, a poveri, migranti, lavoratori e ambiente e competitors globali, sebbene i due maggiori sponsor della belligeranza, il socialdemocratico Scholz e il liberista Macron, siano stati duramente sanzionati dai rispettivi elettorati. La bocciatura dei due governi guida dell’Ue è forse l’incognita più significativa per il varo della nuova Commissione.

Certo, bisognerà osservare più da vicino i dati – paese per paese – specie quelli tedesco (dove i rossobruni scissionisti hanno prosciugato il bacino elettorale della Linke) e francese, per provare a intuire le dinamiche di un’onda nera che riguarda anche l’Italia dove la sinistra radicale ha armi spuntate da tempo o consegnate al Pd per campi così larghi da impedire qualsiasi agglutinamento sociale e politico capace di immaginare alternative anziché alternanze.

La ritirata non è finita e il dato elettorale ne è spia piuttosto che causa. A sinistra del Pd e di Avs non c’è alcun processo di ricomposizione prevedibile in tempi brevi e forse crescerà la forza attrattiva delle componenti campiste che, merito loro, sono riuscite ad avere un certo radicamento giovanile e sono troppo occupate a consolidare una microegemonia su quel che resta delle aree antagoniste da porsi il problema di allargare lo sguardo sulle urgenze della fase. Si aprirà il solito dibattito a sinistra – a partire da Rifondazione che ne è ancora il pezzo più consistente – con frasi fatte del tipo “torniamo sui territori” e con rese dei conti drastiche, oppure si aprirà finalmente una discussione reale, ancorata alle necessità della lotta di classe, su che tipo di sinistra servirebbe per uscire da un modello di sviluppo disastroso, ricostruire una coscienza di classe, restituire speranza e appartenenza e non per governare con il Pd?

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