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La “Grande Bellezza” delle coste italiane cancellata dal cemento

Presentato il rapporto del Wwf “Cemento coast to coast”. Messi a confronto (anche attraverso foto satellitari) i 7.458 chilometri di costa italiana. Com’erano venticinque anni fa, come sono oggi.

Quella “Grande Bellezza” che confina col mare cancellata in venticinque anni in più parti dal cemento. Pur mantenendo angoli suggestivi e intatti, la visione di insieme fornita dall’ultimo dossier del Wwf “Cemento coast to coast: venticinque anni di natura cancellata dalle più pregiate coste italiane” restituisce, con schede sintetiche e foto da satellitari a confronto, l’immagine di un profilo fragile e bellissimo martoriato da tante ferite. Il dossier analizza con schede sintetiche l’evoluzione della situazione delle regioni costiere, mettendo a confronto i dati di oggi con quelli di venticinque anni fa, con il supporto di immagini tratte da Google Earth e il quadro d’insieme è una vera e propria trasformazione metropolitana delle coste italiane.

Il Wwf segnala 312 macro attività umane che hanno sottratto suolo naturale lungo le nostre ‘amate sponde’ per far spuntare dal 1988 a oggi villaggi, residence, centri commerciali, porti, autostrade, dighe e barriere che hanno alterato il profilo e il paesaggio del nostro paese facendo perdere biodiversità e patrimonio naturale. Un pezzo strutturale della nostra economia è stato così mangiato dal cemento, a scapito di un’offerta turistica balneare (soprattutto in aree di qualità) che coinvolge migliaia di aziende.

Dalla cava del 2003 della Baia di Sistiana in Friuli occupata, poi, da un mega villaggio turistico alla Darsena di Castellamare di Stabia in Campania, dall’urbanizzazione della foce del Sangro in Abruzzo al porto turistico ampliato e villaggio turistico sulla foce del Basento in Basilicata sono alcune delle storie illustrate in una simbolica galleria fotografica regione per regione. Le più colpite sono: Sicilia, Sardegna e soprattutto la costa adriatica, che rappresenta il diciassette per cento delle coste italiane, ma dove meno del trenta per cento della costa è libera da urbanizzazioni.

Persino le aree costiere cosiddette protette non sono state risparmiate. Dei circa ottomila chilometri di coste italiane quasi un decimo sono artificiali e alterate dalla presenza di infrastrutture pesanti come porti, strutture edilizie, commerciali ed industriali, che rispecchiano l’intensa urbanizzazione di questi territori in continuo aumento, e dove si concentra un terzo della popolazione. Finora le aree protette costiere si sono rivelate ottimi strumenti per contenere questa pressione e per valorizzare correttamente i territori, ma si tratta di ambiti limitati in un sistema disordinato e non gestito.

A peggiorare le cose, il fatto che di tanta meraviglia non esista un custode unico. Ad oggi nessuno sa chi realmente governi le nostre coste. La gestione è condivisa a livelli molto diversi (Stato, Regioni, enti locali) con una frammentazione di competenze che ha portato spesso a sovrapposizioni, inefficienze, illegalità e complicazioni gestionali e di controllo. Dalla legge sulla “protezione delle bellezze naturali” del 1939, all’articolo 9 della Costituzione, che tutela il paesaggio, passando per la Convenzione Ramsar sulle zone umide del 1971, senza dimenticare la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo e la Convenzione sulla diversità biologica di Rio del 1992, non mancano certo le leggi a tutela delle coste. Nonostante questo, non si sa chi le governi.

Nel corso degli anni il Wwf ha testimoniato l’aggressione progressiva alle coste italiane con vari Dossier. Dal censimento puntuale degli anni Novanta, con il progetto “Oloferne” sulle coste ancora libere dal cemento all’attenzione ai piani paesaggistici come quello della Sardegna, fin alla riconversione e a bonifica delle aree industriali, da Taranto a Porto Torres, da Marghera a Milazzo, da Bagnoli a Falconara, fino all’istituzione e gestione delle aree protette.

Ecomostro e Torre del Greco, in provincia di Napoli.
Ecomostro e Torre del Greco, in provincia di Napoli.

Il dossier “Cemento-coast to coast” fa’ il punto generale richiamando con forza tutti i soggetti coinvolti ad una responsabilità di tutela, mettendo a confronto dati e immagini che analizzano un’evoluzione in venticinque anni.

Secondo il dossier, dal Nord al Sud nessuna regione costiera è esclusa. Ma le ferite peggiori riguardano Sardegna e Sicilia, con rispettivamente novantacinque e novantuno casi di nuove aree costiere invase dal cemento.

In Sardegna, dopo un piano paesistico che prometteva di correre ai ripari dalla cementificazione selvaggia delle coste, nel 2009 sono stati annullati i vincoli, aprendo a nuove edificazioni all’interno dei trecento metri dal mare e ampliamenti di cubatura. Nel caso studio di Cardedu, ci sono due villaggi turistici e un’urbanizzazione a schiera costruiti in barba al vincolo paesaggistico.

In Sicilia le poche aree che si salvano sono quelle protette. L’elenco degli insediamenti spuntati in questi venticinque anni e segnalati nel Dossier è lungo. Come nel caso studio di Campofelice di Roccella dove sorge una vasta area edificata in area vincolata.

La costa adriatica è la più urbanizzata dell’intero bacino del Mediterraneo. In particolare, in Abruzzo, Molise e Puglia le coperture urbanizzate aumentano da otto a dieci volte, contro le cinque volte dell’Emilia o le tre volte del Veneto. Gli interventi di urbanizzazione effettuati sulla costa adriatica italiana negli ultimi cinquant’anni denunciano una evidente carenza di programmazione e delineano un quadro pessimistico in termini di inversione o controllo del fenomeno.

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