Arriva il sequel del prequel della saga dei mutanti che è anche reboot dell’epilogo della prima trilogia. Su Popoff la recensione.
«Il futuro è davvero già scritto?» Tentare di raccapezzarci qualcosa, nel frastagliato e colorato mondo dei Marvel, sta diventando sempre più complicato. Tra prequel, sequel, reboot, spin-off e ariprovace che sarai più fortunato, stare appresso alle trame e ai personaggi (vecchi e nuovi) è un tale rompicapo che, al confronto, risolvere il cubo di Rubik è una bazzecola da principianti/dilettanti.
La svolta segnata da Iron Man (di cui ho già parlato in Captain America) ha costretto i produttori a ripensare all’universo dei cinefumetti, e a puntare non solo su effetti speciali/prodezze/spericolatezze ma a prediligere sceneggiature sempre più originali/efficaci. Questo nuovo capitolo dedicato agli X-Men conferma il percorso intrapreso già da altre saghe che sembravano spacciate e che, così facendo, sono risorte dai roghi appiccati dai fan.
«Fai pensieri di pace». In questo X-Men, giorni di un futuro passato il vecchio cast (un po’ fuori forma) si fonde con il nuovo e riacquista vigore, smalto, vitalità. E grazie a qualche new entry (una su tutte, Evan Peter nei panni di Quicksilver -che pare ritroveremo nella prossima puntata degli Avengers) e a un nano malefico che arriva direttamente da Il trono di spade, il mix di personaggi risulta esplosivo e accattivante. James McAvoy, Michael Fassbender, Jennifer Lawrence e Nicholas Hoult fronteggiano degnamente Hugh Jackman, Ian McKellen, Patrick Stewart, Halle Berry e Shawn Ashmore, dimostrando loro che c’è ancora molto da dare e molta storia da raccontare.
«Tutti dobbiamo morire prima o poi». L’incontro tra futuro e passato garantisce, dunque, continuità tra la vecchia trilogia e la nuova “guardia”, mettendo tutto in discussione ma senza mai rinnegare davvero ciò che è stato. «Io ti ho mandato dal futuro? Ma vaffanculo!».
Tra chicche storiche improbabili (godetevi quella su JFK e Magneto, «come spieghi una pallottola deviata?») e colpi di trama (e di alleanze) ancora più incredibili, il film scorre sul filo degli artigli di Wolverine (ma sono d’osso?!? «È fico ma fa schifo») e sulla pelle azzurrettile di Mystica. Sullo sfondo, le vicende vintage di un’America anni Settanta che trovano la loro più forte presenza nei costumi, nelle atmosfere e nella musica utilizzata come elemento fondante e di raccordo.
«Quel dolore ti renderà più forte se ti permetti di accoglierlo, ti renderà potente e nasce dalla più umana delle emozioni, la speranza». Peccato che un altro tipo di speranza ci abbandoni presto. Quella di capirci qualcosa e di intuire da che parte si andrà a parare. Prima o poi, ce la farò.
Cos’è, poi, quella roba dopo i titoli di coda? Boh, qualcuno m’illumini. D’immenso o d’icsmen.
Nel complesso, comunque, quello di Bryan Singer è un esperimento pienamente riuscito, capace di divertire, intrattenere, a tratti anche sorprendere. Montaggio ed effetti speciali non deludono mai e trovano il loro apice nella sequenza della liberazione di Magneto (tutta da gustare) e faranno contenti gli appassionati del genere e i seguaci dei mutanti.
Si aprono, così, prospettive, fusioni, rimescolamenti e riapparizioni (oh, ma quella è Anna Paquin?) che ci porteranno, piano piano, lontano. In modo sano.
Perché è vero. Il futuro non è mai veramente scritto. Soprattutto quello dei Marveliani.
Soprattutto quello degli X-Men.