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Un indulto per non morire di Fini-Giovanardi

Droghe, gli effetti cancerogeni della legge che riempie le galere e arricchisce le narcomafie nel quinto Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi.

di Checchino Antonini

Un indulto per non morire di Fini-Giovanardi

Il 38,6% dei detenuti va in carcere per droga, il 40% dei quali per consumo e spaccio di piccolo cabotaggio di sostanze “leggere”. 7 su sei detenuti sono stranieri e troppo spesso le forze dell’ordine scelgono di contestare la generica violazione dell’art.73 (pur in presenza di piccoli quantitativi di droga), poiché per tale ipotesi è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Intanto, il traffico di hashish e marijuana, grazie alla Fini-Giovanardi è la prima voce di entrata per le narcomafie.

Anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere, «la strage continua», hanno detto Stefano Anastasia e Franco Corleone, autori del «Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi» de La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone e Cnca, «una valutazione finale sui risultati dell’inasprimento introdotto nel 2006 dall’allora governo Berlusconi», che continua ad avere effetti sul sistema penale anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità. La strage continua con «la criminalizzazione dei consumatori (solo attenuata dal ritorno a pene più miti per la detenzione di droghe leggere)» e «la scandalosa detenzione di condannati a pene giudicate illegittime dalla Corte costituzionale e che meriterebbero, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, di vedersi rideterminata la pena dal giudice dell’esecuzione». Si sarebbe dovuto intervenire per decreto «o addirittura approvare un indulto ad hoc, e invece i singoli detenuti sono stati lasciati a se stessi, con il risultato che o gli uffici giudiziari saranno intasati dal ricalcolo delle pene o molte persone finiranno di scontare in carcere la loro pena ingiusta». Dopo la sentenze della Consulta e il ritorno alla Jervolino-Vassalli, è la richiesta che emerge dal dossier, «serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo» e «una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis», infine «il rilancio dei servizi per le dipendenze».

Il quinto Libro bianco sugli effetti della Fini Giovanardi prende atto, anche quest’anno, degli effetti nefasti e illegittimi della legge firmata non solo dal grottesco e crudele politico modenese (tornino alla mente i suoi attacchi alle famiglie Cucchi e Aldrovandi) ma anche dall’ex leader della destra cosiddetta per bene che si appresta a tornare in campo senza che nessuno connetta il suo nome a una delle barbarie peggiori dell’Italia contemporanea. Lo stesso tipo di amnesia che colpisce i commentatori sul legame tra Napolitano e la barbarie dei luoghi di contenzione per migranti. Le due leggi, peggiorate ulteriormente dalla Bossi-Fini, naturalmente sono estremamente correlate.

Appena presentato a Roma, in una sala del Senato, il V° Libro Bianco (promosso da La Società della Ragione Onlus, ForumDroghe, Antigone, CNCA e con l’adesione di CGIL, Comunità di San Benedetto al Porto, Gruppo Abele, Itaca, ITARDD, LILA, Magistratura Democratica, Unione Camere Penali Italiane) segnala che nel 2013, su un totale di 59.390 ingressi negli istituti penitenziari, il 30,56% era per violazione dell’articolo 73 del Dpr 309/90 (che punisce chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope) mentre quasi il 40% delle presenze in carcere sono dovute direttamente alla legge sulle droghe. Da 14.640 detenuti per spaccio si è passato a 23.346 dopo la legge che sembra cucita a misura di ‘ndrine.

Nonostante i ripetuti proclami gli affidamenti terapeutici dei tossicodipendenti restano al di sotto del dato precedente all’approvazione della legge, ed oggi avvengono perlopiù dopo un periodo di detenzione. Ma buona parte delle pene sono illegittime come stabilito dalla Corte costituzionale (con la sentenza della Corte Costituzionale del 12 febbraio 2014, si è tornati alla legge del 1990, con le modifiche introdotte nel 1993 dal referendum popolare e quelle del decreto Lorenzin). Ma, in assenza di un intervento legislativo i Tribunali, che rischiano il collasso, sono costretti a esaminare una alla volta le richiesta di ricalcolo da parte dei singoli detenuti. La cannabis continua ad essere una delle ossessione degli apparati repressivi: il 78,56% delle segnalazioni delle forze dell’ordine alle Prefetture per uso personale di sostanze stupefacenti nel 2012 – ultimo dato disaggregato disponibile – riguardano la cannabis: sono 28.095 segnalazioni su 35.762. Le 15.347 denunce per possesso di fumo, erba o piantine sono il 45,37%del totale, il 35,24% rispetto al 2005. Secondo i curatori del volume aumentano le sanzioni amministrative (sono raddoppiate dal 2006) e crollano i programmi terapeutici (da 6713 nel 2006 si passa a 214 nel 2013).

Nel testo vengono proposti inoltre approfondimenti sul ruolo dei servizi pubblici e privati, sul consumo giovanile, sul controllo dei lavoratori e sui controlli alla guida. Il documento contiene poi un’analisi sull’attendibilità dei dati del Dipartimento Antidroga in merito ai consumi di sostanze e sulla “variabilità” dei livelli di THC presente nelle piante di cannabis. In assenza di fonti ufficiali, viene proposta una puntuale ricostruzione della normativa penale vigente del testo unico sulle sostanze stupefacenti. Per i promotori, in uno scenario internazionale profondamente mutato sulle politiche sulle droghe (con Uruguay, Colorado e Washington in testa), e dopo la sentenza della Corte Costituzionale è necessario un radicale mutamento di rotta nel nostro Paese che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie da quelle penali. Si torna a chiedere una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo, una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale, il rilancio dei servizi per le dipendenze e delle politiche di “riduzione del danno”. Serve anche il superamento del fallimentare modello autocratico del Dipartimento Antidroga, con una cabina di regia che veda coinvolti istituzioni, privato sociale e consumatori e che convochi entro l’anno la Conferenza nazionale prevista dal testo unico e dimenticata da troppi anni.

Il V Libro Bianco, dopo la nota sentenza della Corte costituzionale offre una valutazione finale sui risultati dell’inasprimento repressivo introdotto nel 2006 dall’allora governo Berlusconi senza un vero dibattito in parlamento e tanto meno nella società. La Fini-Giovanardi fu un cookie inserito dal governo nel decreto urgente per le Olimpiadi invernali di Torino. Gli effetti “carcerogeni” della legge: il 30% entra in carcere per reati di droga, era il 28% prima della legge e avrebbe avuto un picco del 32,4% nel 2012. Il dato di quattro detenuti su dieci imprigionati per droga riassume in sé le cause del sovraffollamento. E il 23,7% è composto di tossicodipendenti. Il 45% delle 33.676 denunce è per cannabinoidi mentre scende il dato di quelle per cocaina, eroina e droghe sintetiche. Da qui un sistema giustizia ingorgato per via di una repressione che punta al ribasso ed è quantomeno “strabica”. A voler leggere, ad esempio, i dati sugli incidenti stradali, si evince che i morti collegati all’uso di sostanze sono stati 144, i feriti 9567 su un totale di 4mila vittime e 300mila feriti accaduti sulla strada. E’ il fallimento delle politiche di controllo adottate a discapito di seri programmi di crescita della consapevolezza. Anche la retorica sul controllo dei lavoratori a rischio si rivela solo un aumento dei costi per le aziende, calcolato – su una media di 50 euro a test di primo livello, intorno a i 5 milioni di euro bruciati sull’altare dell’ossessione proibizionista per trovare il classico ago nel pagliaio. Solo lo 0,23% degli 88mila lavoratori controllati nel 2012 è risultato positivo e oltre il 60% risultava consumatore sporadico di cannabis. Non è una battaglia per la sicurezza ma una guerra agli stili di vita. E un enorme regalo alle narcomafie.

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