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Ong italiane denunciano il silenzio assordante sulla Palestina

La popolazione palestinese sta vivendo di nuovo un momento drammatico, e il tutto sta avvenendo “Nel silenzio assordante di media, governi e istituzioni”.

 

Israeli army searching for 3 kidnapped settlers in Hebron

Continua in Cisgiordania la violenta operazione israeliana Brother’s Keeper, messa in atto dall’esercito di Tel Aviv con la motivazione ufficiale di ritrovare i tre giovani coloni israeliani scomparsi circa due settimane fa. Dall’inizio dell’operazione, secondo quanto riportato dall’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), sono oltre 400 i raid israeliani contro abitazioni, istituzioni della società civile palestinese, scuole e università; 5 i palestinesi uccisi e 471 gli arrestati, tra cui anche 11 parlamentari. Ed è superfluo affermare che non c’è nessun nesso tra la scomparsa dei tre ragazzi ebrei e una simile repressione che da decenni Israele perpetua sulla popolazione palestinese dei territori occupati.

La popolazione palestinese sta vivendo di nuovo un momento drammatico, e il tutto sta avvenendo “Nel silenzio assordante di media, governi e istituzioni” come denuncia anche in un comunicato la Piattaforma delle Ong italiane che operano nel Mediterraneo e in Medio Oriente, di cui pubblichiamo il contenuto.

«Dopo la scomparsa avvenuta il 12 giugno scorso di tre coloni (Eyal Ifrach, Naftali Frenkel e Gilad Shaer), provenienti dal Blocco di colonie di Gush Etzion nell’area di Hebron (illegali secondo il diritto internazionale [1]), non si hanno ancora notizie certe sull’accaduto.

Israele ha immediatamente accusato Hamas e avviato una massiccia operazione militare denominata “Brother’s keeper” in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Sin dal primo giorno, l’esercito israeliano ha operato indiscriminatamente attraverso perquisizioni, irruzioni, devastazioni, arresti in tutta la Cisgiordania e bombardando la Striscia di Gaza la cui popolazione, a seguito della chiusura ai Palestinesi del valico di Erez, non ha alcuna possibilità di movimento fin dal 15 giugno.

Ad oggi, 5 Palestinesi [2] sono stati uccisi in Cisgiordania durante le incursioni, oltre 150 persone sono state ferite e 471 arrestate [3]. Nel corso dell’operazione militare, sono state perquisite e devastate oltre 2000 tra proprietà palestinesi (terreni, case, uffici) e istituzioni locali, tra cui le redazioni di alcuni organi di stampa.

I militari israeliani non si sono fermati nemmeno di fronte alle strutture sanitarie ed universitarie: tra gli altri, il Centro medico dell’Al-Sadaqa Medical Society di Betlemme, l’Università di Birzeit, l’Arab American University di Jenin, l’Al Quds University di Abu Dis ed il Centro Culturale di IBDAA del Campo profughi Dheisheh di Betlemme hanno subito confische di materiali ed ingenti danneggiamenti.

Nella Striscia di Gaza sono stati effettuati 35 attacchi aerei e lanciati 50 missili, che hanno provocato 28 feriti e 6 morti, danneggiando tra l’altro 5 scuole. Numerosi checkpoint temporanei sono (ri)apparsi in tutta la West Bank ed allo stesso tempo si è assistito ad una escalation della violenza da parte dei coloni all’indirizzo della popolazione civile palestinese (ultimo esempio gli spari dei coloni israeliani dell’insediamento di Psagot contro il corteo funebre per Muhammad Tarifi, uno dei palestinesi uccisi dai militari, nel sobborgo di Jabal al- Tawil, Ramallah, che hanno causato almeno un ferito).

Forti restrizioni alla mobilità sono attualmente applicate alla popolazione maschile del Distretto di Hebron di età compresa tra i 20 ed i 50 anni. Degli oltre 471 arrestati di questi giorni, stando a quanto dichiarato dal quotidiano israeliano Hareetz, 1/4 è già in detenzione amministrativa (imprigionati a tempo indeterminato senza nemmeno conoscere il capo di accusa). Tali nuovi denetuti si andranno ad aggiungere agli oltre 200 prigionieri già in detenzione amministrativa. Il tribunale israeliano ha autorizzato lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence per gli affari interni, ad utilizzare negli interrogatori dei palestinesi arrestati i metodi della “ticking bomb” cioè “misure straordinarie o di moderate pressioni fisiche”, pratica condannata dal PCATI (Comitato pubblico israeliano contro la tortura) e dalla Quarta Convenzione di Ginevra [4].

Come Piattaforma delle ONG Italiane in Mediterraneo e Medio Oriente, mentre ci auguriamo che la vicenda dei tre giovani scomparsi si risolva al più presto positivamente, condanniamo ogni atto di violenza. Condanniamo l’operazione militare israeliana in corso per l’uso eccessivo e sproporzionato di violenza nei confronti di tutta la popolazione civile palestinese. Facciamo appello alle Agenzie di stampa e ai Media Internazionali, affinché si impegnino a fornire una informazione chiara, trasparente completa e e veritiera sui fatti e sulla situazione di illegalità nella quale agisce l’esercito israeliano all’interno dei territori palestinesi; [5]

Facciamo appello alle Istituzioni Politiche e Diplomatiche italiane, affinché si adoperino per garantire un giusto controllo, il monitoraggio degli eventi, per porre fine alla “Punizione Collettiva” verso la popolazione palestinese e affinché condannino pubblicamente tutte le azioni intraprese in violazione del diritto internazionale.

Facciamo appello alla Società Civile affinché si mobiliti in solidarietà con la popolazione palestinese.

 

[1] art. 49.6 della Quarta Convenzione di Ginevra: «La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato».

[2] Ahmad Sabarin (20, campo profughi di Jalazone), Mohammed Dodeen 13, di Dura), Mustafa Aslan (22, campo profughi di Qalandiya), Mahmoud Atallah Tarifi (30, Ramallah), Ahmad Fahmawi (27, campo profughi di el Ein).

[3] Tra gi arrestati risultano 5 Ex ministri palestinesi, 10 Membri del Consiglio Legislativo Palestinese (MPLC), tra cui anche il Dr. Aziz Dweik, diversi Professori universitari e 5 giornalisti.

[4] La IV Convenzione di Ginevra art 33 proibisce la tortura.

[5] L. n. 69/1963 e Carta dei Doveri del giornalista; Il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibilità e per controllare l’origine di quanto viene diffuso all’opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti.

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