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Essere indipendentisti e di sinistra in Veneto

Parla uno dei fondatori di Sanca: «Da queste parti quando parli di indipendenza pensano subito alla Lega ma noi  con la sua cultura xenofoba e affarista non abbiamo nulla a che vedere»

da Venezia, Enrico Baldin

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Ha deciso di chiamarsi Sanca la nuova formazione indipendentista veneta di sinistra. Sanca in lingua veneta significa “sinistra”, e il neonato movimento ha appena un anno di vita. Sanca nel suo primo anno di vita ha preso posizione sulla questione del Mose, sulle colate di cemento riversate nel nordest, sull’intreccio tra politica ed affari. «Da queste parti quando parli di indipendenza pensano subito alla Lega o comunque alla sua cultura. Noi invece con la cultura xenofoba e affarista non abbiamo nulla a che vedere» ci dice Matteo Visonà Dalla Pozza, uno di quelli che ha contribuito a fondare Sanca. Lo incontriamo in un caffè di Venezia mentre il sole che si riflette sul Canal Grande accende il consueto traffico mattutino di vaporetti e gondole tra i quali chiacchiere e urla in veneziano sono naturale accompagnamento.

Una ricerca Istat di pochi anni fa segnalava che in Veneto il 70% degli abitanti usa abitualmente la lingua veneta nella vita quotidiana, mentre il 15% la usa anche come approccio con gli estranei. E così è anche per la chiacchierata odierna. «La nostra lingua veniva insegnata anche nelle scuole veneziane fino agli anni ’20 quando il fascismo decise di combattere lingue e identità territoriali che componevano l’Italia».

Dalla Pozza è di Murano – una delle isolette della “città sull’acqua” – e ha una certa dimestichezza nel parlare di movimenti indipendentisti europei. Del resto la formazione che ha contribuito a fondare detiene buoni rapporti coi catalani di Esquerra Republicana e con gli scozzesi dello Scottish National Party. Negli ultimi mesi i telegiornali hanno dovuto parlare delle lotte indipendentiste in Catalogna e Scozia che hanno avuto condizioni di partenza diverse e percorsi diversi con, fino ad ora, gli stessi esiti, che non hanno sorriso a chi aspirava all’indipendenza. «Il percorso che vogliamo è un esercizio di democrazia. Vogliamo siano i veneti a decidere che cosa debba essere il Veneto, se indipendente o autonomo o nulla di tutto ciò. E su questo riteniamo debba essere aperto un dibattito, vorremmo che in Veneto se ne parlasse». Sanca sulla questione ha le idee chiare e adduce a motivazioni legate alla lingua, alla storia, a questioni etno-antropologiche.

Fino ad ora però del percorso democratico auspicato da Sanca ci sono poche tracce. A marzo alcune organizzazioni indipendentiste (Sanca non fu tra queste) indirono un referendum via web a cui – secondo gli organizzatori – parteciparono in una settimana due milioni e mezzo di veneti (ben oltre la metà degli aventi diritto) che indicarono in maniera quasi bulgara la loro preferenza per l’indipendenza. I dati però vennero smentiti dalle società che certificano i flussi del web che conteggiarono in circa 130mila le visite al sito plebiscito.eu, il 10% delle quali provenienti da indirizzi internet di Santiago del Cile. Su questa operazione Dalla Pozza si dice scettico, anche se ha sottolineato il fatto che il fantomatico referendum sull’indipendenza abbia dato occasione di parlarne su vasta scala.

Giudizio più o meno simile sull’operazione delle forze dell’ordine avvenuta ad aprile in Veneto che portò all’arresto di ventiquattro “Serenissimi” con le accuse di terrorismo ed eversione e il contemporaneo sequestro del “tanko”- una ruspa blindata artigianalmente in un capannone nel padovano – che doveva servire a occupare piazza San Marco a Venezia. Una sorta di revival dell’occupazione del campanile di San Marco del ’97, che secondo gli inquirenti prevedeva il supporto di una azione armata. «Quel fatto è una montatura che non ha fatto altro che pubblicità alla causa indipendentista» ci dice Dalla Pozza che seguì la vicenda con stupore. «Come si può pensare che con una specie di carro armato artigianale si possano rovesciare le istituzioni italiane? E’chiaro si trattasse di un’azione simbolica dettata dalla nostalgia di quanto avvenne nel maggio del 1997. Ma nulla a che vedere con terrorismo ed eversione».

Sulle prossime elezioni regionali venete il vasto arcipelago indipendentista, che negli anni si è frazionato ricomposto scisso e parzialmente riunito, andrà in ordine sparso: da un lato una parte di indipendentisti cercherà l’accordo elettorale con Zaia, mentre il pezzo guidato da Gianluca Busato correrà con una sua lista fuori dalle coalizioni. Quando abbiamo chiesto a Sanca – che detiene buoni rapporti col PRC – se sia disponibile a partecipare ad una eventuale coalizione guidata dalla Moretti la risposta è stata negativa «La Moretti risponde all’organo centrale del suo partito, non certo al territorio per cui si candida».

Nel frattempo la Commissione affari costituzionali della Camera ha bocciato un emendamento della Lega che autorizzava le regioni a statuto ordinario ad avviare procedure di consultazione degli elettori per il riconoscimento di condizione di “specialità”. Notizia che non può esser buona per gli indipendentisti, cui ogni iniziativa consultiva di qualsiasi tipo viene bloccata sul nascere. Non paiono stupirsene quelli di Sanca, coscienti che il percorso è lungo ed impervio. E Dalla Pozza pur non arrendevole appare laconico nel constatarlo «Lo sappiamo, la strada è tutta in salita, e probabilmente non arriverò mai a vedere il Veneto indipendente».

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