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Napoli. De Magistris, autolesionista, abbraccia Vendola

Il sindaco di Napoli allude a un nuovo soggetto “oltre Napoli” ma Sel non intende rinunciare al rapporto col Pd. Un accordo politico che complica il rapporto tra De Magistris e i movimenti sociali

da Napoli, Antonello Zecca

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Nei resoconti dell’assemblea campana di Sinistra, Ecologia e Libertà Nichi Vendola ha suggellato con un abbraccio a De Magistris il nuovo patto politico con il sindaco di Napoli.

Per ammissione dello stesso sindaco, si tratterebbe nientepopodimeno della nascita di un soggetto politico “oltre Napoli e le regionali”., quindi con respiro nazionale. Con qualche entusiasmo in meno Vendola ha tuttavia confermato la convergenza, corroborata anche dal precedente ingresso nella maggioranza che sostiene il sindaco di Napoli del suo partito (SEL è anche in trattativa per la guida di un assessorato).

È interessante notare che dalle dichiarazioni di Vendola emerge la volontà di non chiudere al PD, quanto piuttosto di chiedere una ricalibratura delle scelte del partito di Renzi, a cominciare dalla sospensione delle primarie di coalizione, passando per la richiesta di convergenza “con altre forze democratiche per analizzare lo sfascio della Regione e evidenziare la questione morale”, finendo con la ricostituzione di un centrosinistra anche insieme al PD rinunciando all’abbraccio con i “diversamente berlusconiani”.

D’altra parte, si dà un colpo al cerchio e anche alla botte, lanciando strali retorici contro lo Sblocca-Italia, tendendo la mano a un De Magistris a corto di ossigeno.

Già da queste poche righe, emerge chiaramente l’orientamento complessivo del principale dirigente di SEL, che non intende affatto rinunciare all’alleanza con il PD, peraltro già largamente sperimentata in diverse regioni italiane, e i cui sforzi sono tutti protesi a ristabilire un rapporto più continuativo con il Partito Democratico, cerando al tempo stesso di riportare il sindaco di Napoli nell’alveo democratico e di neutralizzarne possibili virate a sinistra. Significativa è a tal proposito l’affermazione di Vendola secondo cui “Quelli che provengono dalla sinistra radicale debbono liberarsi dall’ipoteca culturale del populismo”, chiaro messaggio che allude alla necessità per un partito/coalizione “di governo” di limitare le spinte alla radicalità, attestandosi su un pragmatismo governista, che ovviamente non può prescindere dalla ricerca di un rapporto con il PD.

Ora, che questo orientamento provenga da Vendola non deve stupire, ma che venga anche da De Magistris rivela non solo ambiguità e limiti di cultura politica, ma anche un autolesionismo degno di miglior causa.

Già da tempo De Magistris si dibatte in grosse difficoltà politiche, stretto dall’attacco forsennato del governo nazionale e dei potentati economici e politici locali da un lato, e dai tentativi di “normalizzazione” provenienti dall’interno stesso della giunta comunale dall’altro; in tali circostanze il sindaco cerca un rapporto meno episodico con i movimenti sociali e politici. La giunta comunale di Napoli ha già espresso la volontà di collaborare attivamente con i diversi movimenti cittadini impegnati nella lotta allo Sblocca Italia, al Jobs Act, alla privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni, al razzismo e alla discriminazione. Ha già cominciato un lavoro di reciproco ascolto e collaborazione per affrontare i nodi più difficili di un territorio, ormai esteso alla Città Metropolitana. Le contraddizioni esplosive sul territorio e la disponibilità alla mobilitazione di larga parte della cittadinanza, già dimostrata nel corso dei mesi scorsi, lasciano intravedere potenzialità ancora in larga parte inespresse per un ulteriore sviluppo del conflitto sociale e di classe. E gli stessi movimenti, pur nella loro piena autonomia e indipendenza, hanno colto la possibilità di giocare da protagonisti sul proscenio locale, incuneandosi nelle contraddizioni aperte, anche involontariamente, dalla collocazione tutto sommato anomala della giunta partenopea rispetto al panorama generale in Italia; hanno provato a creare le migliori condizioni per il prosieguo di una lotta aspra,  dura e durevole, e per qualche vittoria, per quanto parziale.

Va da sé che l’annuncio di un accordo politico con il partito di Vendola complica questo percorso, per due motivi fondamentali.

Per una questione di metodo, intanto: è difficile reclamare una modalità di interlocuzione paritaria, orizzontale e cogestita con i movimenti, se dall’altro lato si propongono invece modalità da vecchia politica, incentrate su accordi verticisti e politicisti,  privi di un percorso comune e di coinvolgimento di base, che tanto hanno contribuito a far percepire a livello di massa anche la “sinistra alternativa” come parte di quel ceto politico contro cui si è manifestato il rigetto in occasione delle ultime elezioni regionali in Calabria e, soprattutto, in Emilia Romagna.

E per una questione di merito: se il PD è, come è, l’architrave del progetto di restaurazione capitalistica in Italia, in esecuzione delle politiche di austerità, deflazione salariale e distruzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici decise dalla Troika, non è possibile imbarcarsi in una impresa politica con chi, per esplicita ammissione, ricerca e promuove alleanze politiche con questo partito. Nei confronti del PD non si tratta di posizioni pregiudiziali, bensì di semplici dati di fatto, corroborati da decine e decine di prese di posizione, deliberazioni legislative, atti concreti, e ancor più da rapporti con soggetti della grande imprenditoria, dall’intreccio inestricabile con interessi materiali che hanno nomi e cognomi, dal clientelismo diffuso, dalle migliaia di funzionari inseriti a tempo pieno nella macchina della burocrazia politica e del notabilato amministrativo, che ne costituiscono una vera struttura di potere, in via di adattamento sempre più funzionale a gestire questa fase del capitalismo in Italia.

Quand’anche la proposta di Vendola (e De Magistris, ora) fosse fatta in assoluta buona fede, ci sarebbe da dubitare delle capacità di giudizio e ci si dovrebbe interrogare sull’ingenuità dei proponenti.

Se in politica, pur non avendo sfere di cristallo, è necessaria una minima capacità predittiva, non è difficile capire che un esperimento del genere sarebbe condannato all’ennesima e fallimentare riproposizione di un (piccolo) “centrosinistra”, totalmente subalterno al PD, vieppiù in un momento storico in cui gli spazi per un riformismo a favore delle classi lavoratrici e di mediazione sociale e ambientale sembrano essersi definitivamente esauriti a causa della necessità del Capitale di non fare prigionieri, nel tentativo di risolvere una crisi ormai strutturale i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutte/i, soprattutto sui territori.

La strada da percorrere è un’altra, diversa e incompatibile con quelle finora delineate, e passa, anche a livello locale e anche nei passaggi elettorali, per la costruzione di una sinistra radicalmente alternativa al PD, al suo sistema di potere e alle sue politiche, all’austerità della Troika  e ai diktat di Bruxelles. Una sinistra che, su queste discriminanti, sia ampia, plurale e partecipata, che sappia trasformare l’elaborazione antiliberista e anticapitalista in un linguaggio coinvolgente e mobilitante sui bisogni oggi nuovamente negati, che sappia interloquire con, e riconquistare, interi settori di classe lavoratrice in movimento, seppur privi di riferimenti politici. Ma soprattutto una sinistra che rinasca dalle, e con le lotte e che costruisca il suo programma politico a partire dal conflitto sociale e di classe per come si declina nell’attualità.

Da questo punto di vista l’assemblea regionale del Controsemestre popolare svoltasi a Napoli lo scorso 13 Dicembre, costituisce una strada densa di potenzialità, per volontà unitaria espressa da tutti i partecipanti e per la disponibilità concreta al lavoro comune, che pone anche le basi per il prosieguo dell’interlocuzione con la giunta comunale di Napoli, da una posizione però di massima autonomia e indipendenza da progetti e da riferimento che non siano i propri.

In definitiva, ogni tentativo di ricomposizione, che si riduca a sommatoria di vertici decotti o mero assemblaggio di sigle provenienti dalla storia precedente della sinistra alternativa, è destinato al fallimento.

Oggi, la responsabilità che portano sulle spalle le piccole forze politiche, i movimenti sociali, i singoli attivisti e le singole attiviste eccedono di gran lunga l’efficacia che riescono al momento a mettere in campo. Nondimeno, è un cimento necessario e imprescindibile, per il quale tutte e tutti dovremmo cercare di essere all’altezza nei tempi che verranno.

 

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