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L’Italia dei veleni

Da Bussi a Vado Ligure, da Casal Monferrato a Taranto, Gela e Brindisi… la mappa delle discariche sparse in Italia

di Mirna Cortese

Italia terra dei veleni

Oggi a Pescara Wwf e Legambiente hanno organizzato un sit-in per chiedere giustizia e bonifica del territorio, dopo la sentenza nel processo per le discariche dei veleni di Bussi sul Tirino (Pescara) pronunciata dalla Corte d’Assise di Chieti per i 19 imputati, quasi tutti ex dirigenti Montedison, assolti dal reato di avvelenamento delle acque e con prescrizione dell’altro reato contestato, il disastro colposo.

Ma vale ricordare che quella Bussi è una delle tante discariche dei veleni sparse in tutta Italia, dalla centrale a carbone di Vado Ligure all’Eternit di Casale Monferrato, dall’Ilva di Taranto, al petrolchimico di Gela e Brindisi.

Sono milioni i cittadini, tra cui migliaia di bambini, esposti all’inquinamento ambientale. Le inchieste aperte sono diverse anche se molti di questi casi finiscono per non fare più notizia. Come per il polo di Vado Ligure dove l’impianto, di cui azionista è la Sorgenia, società energetica, fa capo alla famiglia De Benedetti. Una inchiesta enorme con 10 indagati e una parallela della direzione distrettuale antimafia di Genova, che indaga per il traffico illecito di rifiuti.

Sono inchieste lunghe e complesse e i procedimenti con tempi biblici, che spesso si concludono con l’assoluzione per prescrizione. Clamorosa anche la recente sentenza Eternit di Casale Monferrato, che cancella il risarcimento ai familiari delle 2191 vittime uccise dall’amianto nei polmoni prodotto dalla fabbrica, e prescrive il reato di disastro ambientale al magnate svizzero Stephan Schmidheiny.

Nell’Italia da bonificare non ci sono solo impianti inquinanti. Mentre a Roma si fanno i conti con l’inchiesta sulla discarica di Malagrotta, che mette sottosopra un sistema di potere radicato da anni con a capo l’imperatore dei rifiuti Manlio Cerrone, nel sud della penisola le organizzazioni criminali continuano a nascondere i rifiuti tossici industriali nella discariche abusive delle Terre dei Fuochi, frutti di accordi sottobanco tra mafia e rappresentanti delle istituzioni ed enti locali. Qui non si sporca solo la terra, ma anche la coscienza di chi usa la corruzione per lucrare sulla pelle degli altri. A pagare infatti, per ora, sono solo cittadini, appestati da malattie respiratorie e tumori.

Bussi, 40 anni di veleni

Per tornare a Bussi, c’è da ricordare che lo smaltimento illegale era iniziato già dagli anni ’60. A individuare la mega discarica di Bussi sul Tirino (Pescara) furono, nel marzo 2007, gli agenti della forestale di Pescara. In seguito ad alcune indagini, scoprirono all’interno di un’area di circa 40 mila metri quadri, situata nei pressi del polo chimico e a meno di 20 metri di distanza dalla sponda destra del fiume Pescara, migliaia di metri cubi di sostanze tossiche interrate.

Ad una profondità di circa cinque-sei metri rinvennero 185 mila metri cubi di inquinanti tra cui cloroformio, tetracloruro di carbonio, esacloroetano, tricloroetilene, triclorobenzeni, metalli pesanti. La discarica fu immediatamente posta sotto sequestro. Di lì a poche settimane furono scoperte in zona altre tre discariche, una poco più a monte del polo industriale. Dopo i primi rilievi e accertamenti furono emessi 33 avvisi di garanzia nei confronti degli allora vertici dell’Aca (Azienda Consortile Acquedottistica) di Pescara, dell’Ato (Ambito Territoriale Ottimale) e di ex amministratori della Montedison, che dagli anni 60′ al 2001 ha gestito il polo chimico, acquisito nel 2002 dalla Solvay.

Secondo gli inquirenti, per decenni e sino agli anni ’90, l’area sarebbe stata destinata “allo smaltimento illegale e sistematico’” di circa 240 mila tonnellate di sostanze tossiche. Una situazione che, col tempo, avrebbe determinato il disastro ambientale del suolo e del sottosuolo. Per quanto riguarda l’inchiesta, coordinata dalla Procura di Pescara, è stata chiusa nel febbraio 2009 con la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 27 persone. Il 29 ottobre 2009 è iniziata la fase preliminare del procedimento che si è conclusa il 18 aprile 2013 con 19 rinvii a giudizio per avvelenamento delle acque. Gli imputati erano tutti per lo più ex amministratori della Montedison. Ma come dolentemente sappiamo, il processo a loro carico davanti alla Corte d’Assise di Chieti si è concluso con una sentenza di assoluzione.

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