Le regioni meridionali e insulari sono considerate, a livello europeo, le più a rischio indigenza. Ma l’allarme riguarda tutto il paese
Un fantasma si aggira per l’Italia, è quello della povertà, in particolare a sud. Sette anni di crisi stanno facendo infatti sempre più affondare le regioni meridionali e insulari, considerate a livello europeo le più a rischio indigenza. Dal Lazio alla Liguria, però, l’allarme riguarda anche aree fino a pochi anni fa ritenute benestanti.
A rilevarlo è una ricerca condotta dal Centro studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) che, elaborando gli studi più recenti di Eurostat relativi alla fine del 2013, riporta che sono 17,3 milioni gli italiani in condizioni di disagio economico e a rischio di esclusione sociale. Piu’ di Germania (16,2 mln), Regno Unito (15,6 mln), Spagna (12,6 mln) e Francia (11,2 mln), per limitarsi ai maggiori Paesi europei.
Non migliora la valutazione del rischio povertà in termini percentuali. Nel nostro Paese riguarda il 28,4% della popolazione, contro una media dell’Unione europea a 28 Stati pari al 24,5%, con Spagna al 27,3%, Regno Unito al 24,8%, Germania al 20,3% e Francia al 18,1%. All’interno dell’Unione Europea, peggio dell’Italia sta solo la Grecia, dove i poveri o quasi-poveri sono il 35,7% del Paese.
Dal 2008 in poi è cresciuto di 2,23 milioni (+14,7%) il numero degli italiani il cui tenore di vita è sceso sotto la soglia di povertà, vivono cioè in famiglie con un reddito inferiore al 60% di quello medio. In termini assoluti, tra i principali Stati dell’Ue, l’Italia è seguita da Regno Unito (+1,52 mln), Spagna (+1,51 mln) e Francia (+0,08 mln), mentre in termini relativi, da Spagna (+13,5%), Regno Unito (+10,8%) e Francia (+0,7%). Va meglio in Germania, dove il rischio povertà, negli anni della crisi, si è invece ridotto.
A impressionare maggiormente è l’ampiezza del disagio sociale raggiunta nel Mezzogiorno: in Sicilia riguarda ormai oltre il 55% della popolazione e supera il 40% dappertutto, tranne in Sardegna (31,7%) e in Abruzzo (26,2%).
Sono dati che pongono un terzo del Paese al livello delle regioni più povere di Bulgaria, Grecia, Ungheria. Rispetto però alle economie più avanzate della Ue – ai concorrenti diretti del nostro Paese e all’Eurozona (23% di popolazione a rischio povertà) – anche Lazio (26,6%), Liguria (24,5%), Marche e Umbria (23,3%) appaiono in situazione critica.
Viceversa, a fotografare l’immagine di un Paese sempre più spaccato territorialmente, sono i valori di Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, non dissimili dalla media dei Paesi nordici.
L’assenza di prospettive nelle regioni più povere ha determinato la forte ripresa dell’emigrazione interna. Nel solo 2013 sono stati 133mila i meridionali che si sono spostati nel resto del Paese. Spesso per attivare o proseguire iniziative imprenditoriali. Fare impresa al Sud, secondo la Cna, è infatti sempre più difficile e soprattutto meno redditizio. Nel Mezzogiorno il reddito medio delle famiglie dove l’entrata principale deriva da lavoro autonomo è di 27.546 euro, quasi 16mila euro in meno che al Nord, dove arriva a 43.272 euro.