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Napoli contro la malapolizia, migliaia in piazza per Davide

Si trasforma in corteo il presidio di solidarietà con la famiglia del diciassettenne ucciso da un carabiniere. Dubbi sulla versione ufficiale ma le indagini sono state affidate agli stessi carabinieri

di Checchino Antonini

napoli

di Checchino Antonini

«Deve marcire in carcere, non deve avere un’ombra di pace per tutta la vita», ripete, con la voce rotta dal pianto, Flora, la mamma di Davide Bifolco, il ragazzo di 17 anni ucciso la notte di venerdì da un carabiniere a Napoli. Ma intanto, i magistrati hanno assegnato le indagini proprio ai carabinieri. Il presidio di solidarietà del quartiere s’è trasformato rapidamente in un corteo che si va ingrossando. «Le parole più usate nei cori sono giustizia, verità e il nome di Davide. E a gridarle sono anche i bambini», spiega a Popoff Stella Arena, uno dei legali di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa.

La rabbia esplode alla vista delle telecamere, ciascuno nel quartiere ha una storia di relazioni difficili con lo Stato che si materializza, da queste parti, quasi sempre con le fattezze del personale in uniforme.

In corteo – nelle strade interne del Rione Traiano – c’è anche Tommaso, il fratello di Davide. Intorno almeno altre mille persone. «I delinquenti sono loro, dovrebbero tutelarci – dice il ragazzo – Quel carabiniere deve pagare».

Nelle strade interne del Rione Traiano, cori da stadio vengono scanditi dalle prime file del corteo; «Verità e giustizia», «Assassini», «Lo Stato non ci tutela» e «Davide vive».

Tommaso pensa a quello che domanderebbe al carabiniere che ha sparato a Davide: «Cosa hai provato quando l’hai ucciso? Ti sei addormentato la notte?». «Lasciatelo a noi per dieci minuti», aggiunge. E’ una rabbia difficile da non capire. Il corteo spontaneo, aperto da uno striscione con la scritta “Resti nel cuore di chi non dimentica. Verità e giustizia”, marcia sotto la pioggia battente.

“Lo Stato non ci difende ma ci uccide. Difendiamoci”, è scritto su un cartellone esposto. Su un muro campeggia la la scritta “Carabiniere infame” e sotto “Davide vive”. “Assassini” e “infami” le parole più gettonate per essere scritte su muri e cassonetti, nella notte, specie tra tra Soccavo ed il Rione Traiano. C’è una certa distanza, forse diffidenza, tra la gente del quartiere e gli attivisti venuti dal resto della città.

La madre di Federico Aldrovandi fa sapere che «Ogni volta è straziante. Possibile che non ci sia modo di fermare questa strage». «È sconvolgente che un ragazzino di 17 anni possa morire così. Non posso non pensare a Dino Budroni, che il 30 luglio del 2011 fu ucciso da un colpo di pistola esploso da un agente di polizia, dopo un lungo inseguimento sul raccordo anulare di Roma. L’agente è stato recentemente assolto – dice anche Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano – Purtroppo quando accadono fatti del genere si tende ad infangare la vittima, l’ho vissuto in prima persona con mio fratello, e mi auguro che questo non accada per Davide. Puntualmente poi viene detto che i colpi sparati sono accidentali. Recentemente assistiamo a magistrati che assolvono rappresentanti delle forze dell’ordine, come è accaduto per Dino. Esprimo la mia piena solidarietà, vicinanza e sostegno ai familiari di Davide che conto di incontrare al più presto. A Napoli l’unica verità è che è morto un ragazzino di 17 anni».

La versione ufficiale, stavolta, oltre al colpo accidentale dice che a bordo del motorino “sospetto”, fra i tre ragazzi ci fosse un latitante camorrista (si tratterebbe di Arturo Equabile, ricercato per evasione dagli arresti domiciliari). «Il latitante non c’è. Sono io che sono scappato – smentisce alle agenzie presenti in strada, un altro amico di Davide – Ci hanno rincorso da dietro, ci hanno tamponato e buttato in aria. Per paura sono scappato. Non ci siamo fermati perchè non avevamo la patente». Lunedì l’autopsia sul cadavere del diciassettenne e anche la perizia balistica. I magistrati che conducono l’inchiesta sono i procuratori aggiunti Nunzio Fragliasso e Luigi Frunzio e dal pm Manuela Persico. Sono stati loro ad assegnare le indagini ai colleghi di chi ha sparato: carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli. La Procura di Napoli sta approfendendo l’esame sulle dichiarazioni rese dal carabiniere di 32 anni, indagato per omicidio colposo, per la morte di Davide Bifolco. L’amico di quest’ultimo avrebbe affermato che il carabiniere ha sparato alle spalle del ragazzo. Il colpo sarebbe stato sparato a distanza ravvicinata e avrebbe raggiunto Davide al torace. Una circostanza che però potrà essere confermata solo dall’autopsia. Se risultasse acclarata, darebbe credito alla ricostruzione fornita dal militare indagato. Gli inquirenti sono alla ricerca di telecamere collocate lungo il tragitto dove si è svolto l’inseguimento fino alla sua tragica conclusione. Le telecamere del Comune di Napoli sono risultate tutte disattive; le ricerche sono quindi concentrate su telecamere private di negozi e condomini. Da parte sua la questura smentisce che siano state incendiate auto della polizia. Solo danni a quelle due che erano state parcheggiate dagli agenti intervenuti per sedare gli animi dopo l’omicidio. Anche due auto dei carabinieri sono state danneggiate senza tentativi di incendio.

«Oggi come era prevedibile sono tutti li in fila a dire la propria – dice Pietro Rinaldi, consigliere comunale – Saviano che tira in ballo la camorra e perché no (naturalmente), così come la stampa del nord non può che trovare appetibile l’occasione per sottolineare quanto barbara sia la nostra città e con il sud. Se a scriverlo poi sono meridionali meglio ancora. Tutti si cimentano nella ricostruzione dei fatti che poi sono così evidenti: quella pistola non spara per caso e se succedesse non sarebbe così precisa. Ma bisogna argomentare, raccontare, radiografare le vite di quei tre ragazzi, occorre giustificare, trovare argomenti; eppure l’Italia è piena degli abusi dell’autorità in divisa. Morti (quasi sempre giovani) accidentali per i quali lo stato non è capace di dichiararsi colpevole. Ma il punto è un altro. Il punto è che quella autorità in divisa non può essere posta sotto accusa, senza dover con essa mettere sotto accusa e condannare l’autorità statuale. Perché è quello il dovere delle divise e con essa delle carceri e delle leggi imposte dalla forza di chi difende il diritto della società “in alto” di ordinare e disciplinare la società “in basso”. È questa verità porta con se i danni collarerali di una guerra globale condotta contro l’umanità per difendere la società disciplinare che il capitale difende in ogni angolo del pianeta. Dall’Iraq a Ferguson. Ma fortunamente c’è una resistenza collettiva che non si piega alle mistificazioni, che sa mettere insieme lungo il filo della storia Aldrovandi e tutti gli assassinati dallo stato e che ancora sa reagire in un moto collettivo di rabbia e indignazione, per ritrovarsi nella volontà di cambiare lo stato di cose presenti».

(continua)

 

in diretta dal corteo di Napoli [foto di Stella Arena]

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