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#12D, ben venga lo sciopero. Ma è solo l’inizio

La partita non è finita ma serve una mobilitazione generale di lunga durata per bloccare il jobs act e la legge di stabilità. La posta in gioco dello sciopero di oggi

di Chcecchino Antonini

apicellasciopero

No, la partita non è finita. Lo sciopero di oggi è una buona occasione per provare a unire le lotte. Contro il jobs act, la legge di stabilità, il peggior governo della storia d’Italia (del Pd). Anche se la Cgil non ha brillato in tempestività nella convocazione è un passaggio necessario. La buona notizia è la marcia indietro del ministro Lupi che ha revocato la precettazione per i ferrovieri. «Questo significa che le regole previste dalla Commissione di Garanzia, che non sono legge, possono essere superate», commenta a caldo Fabrizio Tomaselli, dell’Esecutivo nazionale USB. Non era mai successo. Si spera che il trattamento non sia riservato solo a Cgil e Uil, le principali sigle (furono loro, con la Cisl, a volere la legge “antisciopero” nei primi ’90) a indire lo sciopero generale nazionale di oggi, 12 dicembre. «La precettazione dei lavoratori del comparto ferroviario è un atto politico gravissimo da parte del governo che vuole sabotare lo sciopero e negare un diritto costituzionale», dice anche Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione.

Nella storia d’Italia occorre tornare al 1926 per trovare un precedente del genere e Lupi non pare il tipo da non avere modelli a cui ispirarsi. Basti pensare che è lui l’estensore del piano casa, quello che tenta di mettere fuori legge il diritto all’abitare.

Accanto alle manifestazioni confederali ci sarà anche oggi una marea di manifestazioni studentescge e chi rivendica «un uso precario dello sciopero», come faranno a Napoli gli studenti e i precari delle reti dello sciopero sociale.

«Condividiamo la ragione per fermare il paese contro le politiche di austerity, ma faremo cortei ed iniziative autonome rispetto alla manifestazione del sindacato confederale, perchè consideriamo la piattaforma della Cgil insufficiente e inadeguata a rappresentare gli interessi e i diritti di milioni di precari in questo paese. Perciò rivendichiamo un uso precario dello sciopero, in continuità col percorso del 14 novembre».

Renzi è riuscito a far approvare ai due rami del Parlamento la legge della vergogna (Jobs Act) che cancella definitivamente l’articolo 18, dà ai padroni la piena libertà di licenziamento, autorizza il demansionamento e lo spionaggio dei dipendenti per aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e garantire i profitti e le rendite finanziarie. Ma, se questo Parlamento ha mostrato la sua totale sottomissione (con la “sinistra Pd” che s’è sciolta come neve al sole) alle richieste della Confindustria «incapace di rappresentare il paese ed avverso ai bisogni e agli interessi della grande maggioranza dei cittadini» (dice Franco Turigliatto di Sinistra Anticapitalista) quella legge è ancora una scatola vuota, è una legge delega, un meccanismo autoritario con il quale il Governo viene incaricato dal Parlamento di redigere ed emettere la norma.

«Non avevamo molti dubbi sul politicismo e sulla qualità e coerenza politica di questi personaggi (la “sinistra” Pd, ndr), ma il loro ripiegamento totale dovrebbe far riflettere coloro che pensano si possa costruire qualcosa di serio a sinistra con questi soggetti», avverte ancora Turigliatto. Tra questi, come ha scritto anche Cremaschi su Popoff, brillano ulteriormente per ipocrisia, i parlamentari già dirigenti della CGIL (hanno partecipato all’organizzazione delle mobilitazioni di 12 anni fa per la difesa dell’articolo 18), che non hanno ritenuto politicamente immorale votare questa legge.

Ma la partita non è finita col voto parlamentare perché nel paese è cresciuta la mobilitazione e l’opposizione di massa al governo e alle sue politiche antisociali (Jobs Act, ma anche la legge di stabilità, la riduzione delle tasse per le imprese, e nuovi tagli agli enti locali e alle amministrazioni pubbliche). Chi scenderà in piazza oggi, nelle molte forme possibili e ancora sotto bandiere diverse, pensa che sia possibile ancora battere governo e Confindustria con buona pace della piattaforma inconsistente delle due grandi centrali confederali. Ben venga lo sciopero generale anche se la subalternità della Cgil ha molto a che fare con la complessità e la gravità della situazione. Peccato che pezzi importanti del sindacalismo di classe abbiano deciso di disertare la giornata di lotta.

Peccato che ci siano forze politiche di sinistra che fanno finta di non vedere i limiti e le manovre degli apparati burocratici che delegano in toto alla direzione della CGIL o al massimo della Fiom le strategie della mobilitazione e della lotta, senza nessuna preoccupazione di costruire in quella giornata la presenza di una proposta di classe più radicale e soprattutto di continuità della mobilitazione. Oggi sarà una grande giornata di lotta ma dovrà essere pensata come l’inizio.

 

«Non lasciamo che il 12 sia solo una giornata dimostrativa della forza numerica che ancora hanno alcune sigle sindacali – continua Turigliatto – chiudendo irresponsabilmente questa breve stagione di lotta, ma che sia invece l’inizio di una vera e propria prova di forza sociale che polarizzi aeree sempre più ampie, che ricostruisca un blocco sociale alternativo intorno alla classe lavoratrice. Quest’ultima deve ridiventare un soggetto politico a tutto campo. E’ l’unico modo per battere un governo padronale che vuole una società piegata e gelatinosa, divisa e inattiva, ma anche per battere le ombre e le presenze sempre più minacciose della Lega di Salvini e delle estreme destre, che in questa decomposizione della società sperano di costruire le loro fortune reazionarie e antidemocratiche».

«È la prima volta che la Cgil fa uno sciopero generale contro un governo guidato dal partito di riferimento di gran parte del suo gruppo dirigente – osserva Giorgio Cremaschi – E il governo reagisce trattando la più grande organizzazione sindacale come un cobas qualsiasi, precettando i ferrovieri. Sono fatti che ci mostrano come il nostro paese stia entrando in una dimensione politico sociale inedita, che non può essere vista con le lenti del passato». «Il PD oggi è diventato il partito di sistema, un sistema che vede grandi imprese e banche oramai completamente collocate nella gerarchia del capitalismo finanziario multinazionale, mentre il potere costituente della Troika definisce i vincoli delle decisioni politiche e economiche». «La differenza tra Grecia e Italia è che qui, come aveva chiesto un anno fa la Banca Morgan, si è deciso di far precedere le riforme economiche da quelle politiche, cioè dalla cancellazione dei principali vincoli economico sociali previsti dalla nostra Costituzione. Renzi è tecnicamente un eversore della nostra democrazia costituzionale fondata sui diritti sociali, e lo è nel nome dell’adeguamento del paese ai vincoli dell’austerità e della globalizzazione. Vincoli che diventano sempre più stringenti man mano che la crisi si aggrava, per cui è anche facile prevedere che i decreti attuativi del jobact saranno preventivamente sottoposti all’imprimatur di Juncker». «Di fronte a tutto questo lo sciopero della Cgil appare tanto giusto quanto inadeguato e in ritardo – conclude Cremaschi – non solo per il ritardo rispetto ai tempi di approvazione della legge attuale o per la recente passività verso la riforma Fornero delle pensioni,   o verso la prima lesione all’articolo 18 operata da Monti. Il ritardo vero dello sciopero sta nella incapacità del gruppo dirigente della Cgil di rompere con tutte le politiche di questi decenni. Sta nella incapacità o non volontà di comunicare al mondo del lavoro sfruttato, precario, disoccupato che Matteo Renzi non è un compagno che sbaglia, ma il primo avversario di oggi. O si capisce che è giunto per il sindacato, per la Cgil, il momento di cambiare strada, oppure lo sciopero generale sarà una parentesi di lotta e speranza tra due rese».

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