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Case popolari, bloccata l’asta selvaggia che voleva Lupi

L’Unione inquilini: «Niente più vendita di interi stabili e, in caso di vendita, passaggio da casa a casa. Una vittoria delle mobilitazioni degli assegnatari»

di Isabella Borghese

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Sembrava a rischio l’istituzione stessa delle case popolari e comunali, a causa del decreto attuativo dell’articolo 3 del Piano Casa Lupi (legge 80), sancito il 16 ottobre in Conferenza Unificata tra Stato, Regioni, Comuni, secondo il quale le stesse sarebbero state vendute all’asta.

Com’è possibile che uno stato possa decidere di favorire un progetto folle come questo in un paese in cui sono 700mila le famiglie in graduatoria e dove dunque c’è bisogno di un numero pari di case popolari?

Bene. Proprio per questo da quel giorno assegnatari, sindacati, in prima linea l’Unione Inquilini, e i movimenti per il diritto all’abitare si sono impegnati in una battaglia attraverso presidi, manifestazioni e tavoli al Ministero delle Infrastrutture per un secco: “No! Alla vendita all’asta delle case popolari”.

E la vittoria di questa lotta è arrivata. “La Conferenza Unificata, Stato Regioni Comuni – ha dichiarato Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini – ha sancito l’intesa sul nuovo testo del decreto sui criteri di dismissione del patrimonio pubblico. Ricordiamo – spiega De Cesaris – che sul testo del decreto l’Unione Inquilini aveva condotto una vasta campagna nazionale per il ritiro, in quanto prevedeva la vendita all’asta di fatto di tutto il patrimonio di case popolari a prezzi di mercato con la sola possibilità per l’assegnatario di esercitare la prelazione sul prezzo di aggiudicazione dell’asta”.

Una vittoria dunque per gli assegnatari e per l’istituzione delle case popolari, senza dubbio, ma anche una successo del sindacato dell’Unione Inquilini, che già il 26 novembre aveva ottenuto “una parte importante” con un incontro presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avvenuto con il dottor Novara, capo della segreteria, il dottor Seta, capo segreteria tecnica del Ministro Lupi, appositamente delegati. Erano i rappresentanti del Ministro, in quell’occasione, ad annunciare che le questioni sollevate dal sindacato erano condivisibili e che erano già in corso approfondimenti per apportare modifiche del testo del decreto.

Da una parte oggi il vecchio decreto, dall’altro quello nuovo. Veniamo ai cambiamenti sostanziali:

intanto è mutata del tutto la procedura di vendita del prezzo della casa. L’assegnatario, infatti, ora preventivamente deve avere l’offerta di acquisto e il prezzo deve essere fissato, con un richiamo esplicito alla 560 del 1993, al valore catastale diminuito fino al 20%.

Entro il limite di decadenza, inoltre, sempre l’assegnatario, se non compra deve avere un alloggio alternativo adeguato nel comune di residenza. Quindi un passaggio da casa a casa.

Per gli anziani, i malati terminali e i portatori di handicap, nel caso di non acquisto, c’è il diritto a permanere nell’alloggio in cui risiedono. E’ stata eliminata la voce “vendita in blocco degli stabili interi”.

“Rimane, per noi, una critica di fondo – spiega Walter De Cesaris – in Italia non c’è bisogno di disfarsi del patrimonio pubblico, ma di incrementarlo. Mentre dal punto di vista delle tutele per chi già sta nell’ERP – aggiunge il Segretario – nel nuovo decreto il governo si è dovuto rimangiare le misure che mettevano a rischio gli assegnatari, non si può condividere che vi sia la possibilità che pezzi di ERP, per legge destinati a determinate categorie sociali, vadano in mano a chi non ha i requisiti per stare nelle case popolari”.

Insomma, nell’attesa che venga pubblicato in Gazzetta, oggi è possibile immaginare un respiro di sollievo per gli assegnatari scesi in piazza persino sotto Natale, che gridavano la loro paura di finire in strada, la volontà di incatenarsi dentro le loro case, o addirittura di compiere gesti folli. Tutte persone per le quali il decreto precedente voleva introdurre il meccanismo della vendita all’asta pubblica.

Gli assegnatari che non avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione sarebbero stati spostati in un altro alloggio, ma solo nel caso in cui si parlasse di vendita all’asta di palazzi in blocco e non di vendita frazionata dei singoli alloggi. Veniamo agli immobili popolari degradati. Sono circa 40 mila gli alloggi oggi vuoti e non assegnati che andrebbero recuperati e destinati alla loro funzione di dare risposta ai bisogni sociali e non venduti all’asta in blocco, come un boccone buono per la speculazione immobiliare. L’articolo 4 della legge 80 prevede la predisposizione di piani di recupero. Guarda caso, il governo aveva subito elaborato il decreto attuativo dell’art. 3, nuovi criteri per l’alienazione del patrimonio, ma non per l’art. 4, piani di recupero. Di nuovi fondi, nel decreto attuale, invece, si parla anche per questi alloggi.

La battaglia andrà avanti perché vengano aumentate abitazioni sociali, e perché non siano dismesse quelle ancora esistenti. “Su questo – si è espresso De Cesaris – ci attiveremo nei confronti delle Regioni aprendo una vertenza a tutto campo ma per ora esprimiamo la nostra soddisfazione per la vittoria ottenuta”.

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2 COMMENTI

  1. Mia madre 80anni chiede un cambio e in regola vive a s Palomba dove non ce nessunesercente isolata prende il bus per.comprare il pane e una vergogna chiede aiuto

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