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Toussaint: l’esempio greco ci insegna qualcosa?

Intervista a Eric Toussaint, a Ljubljana per una tavola rotonda dei sindacati, “Il debito pubblico: Chi deve a chi?”

di Mimi Podkrižnik, Delo*

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Crede nel progetto europeo? Ci crede ancora?

Senza dubbio no. Il progetto europeo si è trasformato in una camicia di forza per i popoli. Non c’è margine di manovra che permetta a un governo democraticamente eletto di operare politiche al servizio dell’interesse generale e di rispettare allo stesso tempo le regole europee. Infatti, i vari trattati e l’architettura istituzionale nella quale s’inseriscono il Parlamento europeo, la Commissione europea, i governi nazionali e la Banca Centrale europea costituiscono un quadro estremamente gerarchico e rigido che lascia sempre meno spazio all’esercizio dell’autonomia, in altre parole la democrazia e la voce dei cittadini. Ne abbiamo appena visto l’esempio con la Grecia. Nel gennaio del 2015, il popolo ha dato il potere ad un governo sulla base di un programma di rottura con politiche che erano completamente fallite. Questo popolo ha riconfermato il rifiuto delle politiche di austerità con il referendum del 5 luglio 2015. Ora, ciò ha soltanto inasprito l’ostinazione delle varie istituzioni europee nell’impedire che si concretizzi questa volontà popolare. È anche stato detto chiaramente. Abbiamo sentito Jean-Claude Juncker dichiarare che non c’era posto per il referendum. Secondo i dirigenti europei, per pronunciarsi sulle politiche europee, la via è già tracciata dalla Commissione e l’eurogruppo, e non c’è mezzo di uscirne o di cambiarla.

Perché? Siamo davvero in un circolo vizioso?

La costruzione stessa dell’Europa – cioè l’adesione ai trattati e a una concezione molto autocratica del funzionamento delle istituzioni – mira a restringere il più possibile il funzionamento democratico. Inoltre, le grandi imprese private esercitano un lobbying estremamente potente sulla Commissione e sul Parlamento per spingerli a prendere misure che favoriscano i loro interessi particolari. A capo della BCE troviamo Mario Draghi che è stato uno degli strateghi della Goldman Sachs per l’intera Europa. È emblematico di una situazione che vede le grandi imprese private europee mettere ai posti di potere delle persone uscite dal loro giro, o disporre dell’appoggio totale di capi di Stato e di alti funzionari per fare adottare misure che favoriscano i loro interessi. Un tale sistema somiglia fortemente ad un sistema oligarchico dove pochi impongono le loro decisioni e definiscono la politica al servizio di una ristretta minoranza.

Pure la sinistra è caduta nel tranello; si vede ciò che succede in Francia con la sinistra tradizionale, i socialisti di François Hollande, oppure in Grecia con la sinistra radicale, la nuova sinistra di Alexis Tsipras.

Distinguo la sinistra tradizionale dalla sinistra radicale, perché è chiaro che non si può più parlare di sinistra per François Hollande oppure Tony Blair o Jeroen Dijsselbloem. Quest’ultimo appartiene al partito socialista olandese, eppure è stato uno dei più attivi a porre ostacoli sul cammino del governo greco uscito dalle elezioni del 25 gennaio 2015. Si può collocare questo tipo di partito socialista tra le forze conservatrici. Chiamiamoli liberisti o social-liberisti. In questi partiti esiste sempre una sinistra che cerca ad esprimersi: il Labour Party ha eletto Jeremy Corbyn contro il parere di Tony Blair e di Gordon Brown. Ma quale sarà il margine di manovra di Jeremy Corbyn? Aspettiamo di vedere quanto succederà con il Labour Party. Comunque Corbyn ha indicato chiaramente che se diventasse Primo Ministro tornerebbe su quanto è stato fatto da Margaret Thatcher e daTony Blair. Parla di rinazionalizzare le ferrovie e quindi va oltre quanto Tsipras aveva annunciato nel gennaio 2015. François Hollande, i socialisti olandesi, i socialisti tedeschi, tutti questi partiti socialisti hanno votato tutti i trattati europei assieme all’altro grande gruppo parlamentare di destra: il Partito popolare. E’ chiara la conclusione: questi socialisti sono gli architetti di tutto quanto dobbiamo attualmente affrontare. Un movimento come quello di Alexis Tsipras oppure Podemos in Spagna ed altre iniziative che possono essere simili non hanno partecipato alla costruzione di questa architettura.

Non ancora…

Non stanno nei luoghi di potere dell’Unione Europea. Perché in Grecia sono caduti nella logica che sappiamo? Perché si illudevano che le strutture del potere europeo gli avrebbero dato un margine di manovra. Pensavano realmente che la sconfitta delle politiche applicate alla Grecia fosse ovvia, poiché riconosciuta da così tanti economisti molto seri …

… da premi Nobel…

Sì, pensavano che in cambio del loro senso di responsabilità, i dirigenti europei e i dirigenti degli altri governi nazionali avrebbero detto: va bene, vi lasciamo portare avanti la vostra esperienza, ridurre radicalmente le misure di austerità e provare a rilanciare un po’ l’attività economica greca. E hanno sbagliato. Il loro calcolo era completamente sbagliato. Per i dirigenti europei era fondamentale dimostrare a tutti i popoli europei che non ci sono possibilità di uscire dai binari dell’austerità, che non è possibile frenare le privatizzazioni. Per tutti questi dirigenti europei, che siano Matteo Renzi o François Hollande, Wolfgang Schäuble o Jeroen Dijsselbloem, era essenziale vietare la riuscita dell’esperimento di Syriza in Grecia. Fra i più accaniti a fare fallire Tsipras c’erano ovviamente i primi ministri Mariano Rajoy in Spagna e Coelho in Portogallo. Perché si dicevano: se Tsipras riesce, prima o poi Podemos giungerà al potere in Spagna. E lo stesso vale per il Portogallo. Nessun governo degli altri 28 paesi dell’U.E. ha dato una vera opportunità al governo greco; né le istituzioni europee né un solo governo. Ora è chiaro che Tsipras si diceva: mi sosterranno i governi di Matteo Renzi e di François Hollande che vogliono anche loro ottenere un po’ più di margine sul deficit. Ma ciò non è successo.

Guardando i sondaggi dell’opinione pubblica, il colpo inferto a Syriza ha colpito Podemos, la cui quota di popolarità è caduta dal 20% al 14%

Lo scopo dei dirigenti europei è dire al popolo spagnolo: ”non votate Podemos” e a Podemos “abbandonate la vostra volontà di cambiare realmente le cose. Vedete che Tsipras accetta di arrendersi. Anche voi se avrete una possibilità di diventare membri di un governo, dovrete accettare le regole.”

Lei distingue in Europa i paesi del centro da quelli della periferia. La Slovenia appartiene alla periferia, ovviamente, come Grecia e Portogallo. Quando se ne parla, si può notare un discorso del tutto diverso. Si dà del buon allievo al Portogallo per il suo programma e il suo salvataggio effettuato dalla troika, mentre si rimprovera molto la Grecia.

Così come si parla di buon allievo per l’Irlanda. Ma la situazione reale è estremamente cattiva in Portogallo, in Irlanda, come in Spagna. C’è una parvenza di riuscita dal punto di vista dei criteri dei dirigenti europei, perché questi tre paesi riescono a rimborsare il loro debito senza chiederne la riduzione. Ma tutto ciò è strettamente legato ai tassi di interessi che sono provvisoriamente molto bassi. Tutti i paesi europei, inclusa la Slovenia, rifinanziano il loro debito pubblico a un costo molto basso per adesso, ma non è assolutamente garantito che continui. In Portogallo o in Spagna, il tasso di crescita è molto debole oppure ristagna, il tasso di disoccupazione è estremamente alto; anche la situazione delle banche spagnole è pessima; bisognerà continuare a ricapitalizzarle. L’anno scorso è fallita una delle maggiori banche portoghesi, Banco Espírito Santo. Infatti, i grandi media e il governo europeo rilasciano attestati di benemerenza ad alcuni governi perché bisogna dire: ”ecco, i Greci sono cattivi allievi e le cose vanno male per loro. Gli altri, coloro che applicano bene le riforme se la cavano”. Ma tutto ciò è mistificazione. Il bilancio reale è del tutto diverso.

Stiamo entrando nella psicologia …

In Slovenia vi trovate in una situazione un po’ surreale. Se non sbaglio, la maggioranza del popolo sloveno, il governo sloveno e i grandi media considerano che siete così vicini al centro dove sono le grandi potenze, in particolare Austria e Germania, che ve la caverete sempre. Che siete forse in periferia, ma con un piede nel centro. Ed alcuni pensano anzi che siete addirittura nel centro. Ora, vedremo se durerà. Il vostro debito pubblico sta scoppiando per colpa del salvataggio delle banche e la situazione non migliorerà a breve termine. La Slovenia stessa non è al riparo da difficoltà nei prossimi due o tre anni. E soprattutto la differenza tra Slovenia da una parte, Austria e Germania dall’altra, sta nel fatto che non siete al centro del potere europeo. Sono Berlino, Parigi, Londra, e in misura minore Bruxelles e Amsterdam, ad influenzare la politica dei dirigenti europei, non Ljubljana.

Che sguardo getta sul ruolo dei media? Si scrive diversamente sul Portogallo e sulla Grecia. C’è molta manipolazione ed anche emozioni. Ci si perde nello stile e ci si dimentica il fondo. Per esempio per Yani Varoufakis ci si preoccupa del suo dito, o magari dei suoi vestiti.

E’ chiaro che si è stigmatizzata la Grecia e il popolo greco. Commentatori che dovrebbero essere più seri hanno detto che la Grecia non raccoglieva le tasse da secoli e che si trattava di un’eredità dell’Impero ottomano. E’ chiaro che esiste l’evasione fiscale in Grecia…

… e la corruzione. Siamo nei Balcani, in fondo.

Dappertutto in Europa c’è corruzione. Dappertutto. Nella FIFA, in tutti gli organismi. Ma ci si vuole fare credere che sia limitata ad alcuni paesi. Per nascondere l’enorme corruzione, si mette l’accento su di un piccolo paese che si stigmatizza. L’opinione pubblica slovena non sa che un ministro della difesa greca, che fra l’altro proviene dal Pasok [Akis Tsohatzopoulos] è stato condannato nel 2013 a 20 anni di carcere senza condizionale per corruzione. E’ in carcere con cinque membri della sua famiglia. Ma nessuno ne parla. Ora quanti ministri europei stanno in carcere? Penso che alcuni ministri o ex-ministri sloveni sarebbero al loro posto in carcere, ma non ci sono, non sono condannati. In Grecia, ci sono processi per corruzione e condanne: c’è un processo in corso contro 69 greci implicati in una grossa faccenda di corruzione con l’impresa multinazionale Siemens e ci saranno delle condanne nei prossimi mesi.

Sì, la Grecia ha grossi problemi con la corruzione e con la riscossione delle tasse, ma il problema è largamente diffuso nell’intera Europa. Nell’intera Europa, le grandi imprese e la percentuale più ricca della popolazione europea sono riusciti ad ottenere regalie fiscali. Gli Stati tentano di rimediare a quell’ammanco di ricavati fiscali ricorrendo all’indebitamento pubblico. A ciò si aggiunge l’evasione fiscale; ad esempio la faccenda della banca HSBC, oppure l’affare Luxleaks che implica direttamente Juncker. Non dimentichiamo che Draghi fu direttamente implicato nello scandalo della contraffazione dei conti pubblici greci nel 2001 e 2002… Abbiamo un grosso problema in Europa come negli Stati Uniti: abbiamo grandi imprese, in particolare grandissime banche che si rendono sistematicamente colpevoli di frode o di corruzione. E l’U.E. prende soltanto delle misure estremamente deboli contro di loro.

Nessuno si sente responsabile né colpevole.

Le istituzioni europee, la Commissione europea, i governi dei principali Stati potrebbero prendere misure severe per impedire la massiccia evasione fiscale che nuoce soprattutto alle economie più deboli. I ricchi dei paesi della periferia europea investono i loro soldi nei paesi più sicuri, Lussemburgo, Germania, Austria, Belgio, la City di Londra. I responsabili europei hanno perfettamente i mezzi per prendere delle misure ma non vogliono farlo.

E’ possibile che un giorno qualcuno finisca in tribunale?

Non sono ottimista, soprattutto a breve termine. Non credo che questi individui finiranno in tribunale, né che verranno condannati, mentre le loro azioni meriterebbero che la giustizia se ne occupi attivamente. Ciò che può succedere di positivo è che si traggano le lezioni da quanto è successo con la Grecia e che le nuove forze democratiche progressiste capiscano che devono mostrarsi ferme, più di quanto lo fu Tsipras, e quindi siano disposte, in quanto governi democraticamente eletti, a disubbidire agli ordini della Commissione Europea e della BCE, se come si è visto nel caso della Grecia prendono delle misure ingiuste per le economie dei loro paesi.

L’ondata di indignazioni dura già da un certo tempo. Stéphane Hessel ha chiamato ad indignarsi qualche anno fa. E’ nato il movimento degli Indignati in Spagna e la formazione di Podemos, ma ancora niente di positivo. Ci si sente un po’ in un vicolo cieco.

Queste formazioni sono spinte da una parte della popolazione che vuole risposte radicali. Per questo ha vinto Jeremy Corbyn che non aveva nessuna influenza istituzionale nel Labour, ed anche per questo negli Stati Uniti Bernie Sanders, che ha pochissimi mezzi, incontra un grande sostegno della base nel partito democratico anche se viene percepito come un socialista radicale. Vent’anni fa, coloro che avevano il vento in poppa erano Tony Blair e Gordon Brown, Clinton o Barack Obama… Adesso sono Sanders, Corbyn, Podemos. Perché? Perché corrisponde alla volontà di una parte della popolazione che ha essa stessa tratto le conclusioni che c’è bisogno di politici che trattino il male alla radice. In alcuni casi, le nuove formazioni politiche come Syriza o Podemos sono a volte troppe moderate. Anche se dicono che ci vorrebbero soluzioni radicali, e perciò raccolgono il sostegno popolare, hanno paura di metterle in pratica. Abbiamo bisogno di un governo progressista che non abbia paura di disubbidire. L’interesse delle parole di Stéphane Hessel era nel dire alla gente: quando coloro che detengono il potere applicano delle politiche fondamentalmente ingiuste, c’è un dovere di ribellione, di rivolta, di disubbidienza Ed è importante che sia detto da uno che ha resistito al nazismo perché appunto sono quelle persone che hanno resistito in Francia opponendosi al regime di Vichy e alla polizia francese, e non soltanto ai nazisti. Bisogna avere del coraggio per lottare contro la polizia del proprio paese e contro il proprio governo che collaborava. Oggi, non siamo certo nella stessa situazione; la Germania di Angela Merkel e di Wolfgang Schäuble non è la Germania nazista. È una forma diversa, ma innegabilmente nel contesto attuale non c’è spazio sufficiente per esercitare i diritti democratici e quindi bisogna essere pronti a disubbidire e a ribellarsi. Spero che le forze politiche lo capiranno, oppure andremo di delusione in delusione. E si rischia che arrivi l’estrema destra con …

… Marine Le Pen in Francia…

o Viktor Orbán in Ungheria. C’è un grande rischio che l’estrema destra riesca a trovare delle figure carismatiche e che con una disubbidienza violenta rivolta contro gli immigrati, possa apparire come un’alternativa credibile per i popoli. Esiste un pericolo in Europa. Non immediato, non succederà fra uno o due anni, ma comunque il pericolo esiste.

Che sguardo getta sul ruolo dei sindacati? Si vede bene che nel settore privato parecchie fabbriche hanno chiuso i battenti. Sta scomparendo la classe operaia?

E’ un po’ esagerato ma è chiaro che c’è un indebolimento strutturale dei grandi settori di salariati. I concentramenti di lavoratori salariati si riducono di sicuro in alcuni paesi oppure in intere regioni europee. Il movimento sindacale ha perso forza in una serie di paesi.

Il sindacalismo si perde, almeno in Slovenia, in una certa nostalgia, ma anche, bisogna dirlo, nella demagogia. Il mondo è in piena mutazione, bisogna che anche i sindacati seguano la dinamica.

Conto molto sulla capacità del movimento sindacale di ridefinire una dottrina coerente nel nuovo contesto. Uno dei grandi problemi in Europa è la Confederazione europea dei sindacati, con, se non sbaglio, sui 60 milioni di membri. Ma questa Confederazione ha appoggiato tutti i trattati, tranne l’ultimo che ha criticato: il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la gouvernance, TSCG o patto budgetario europeo. Si è opposta ma molto fiaccamente, senza mobilitazione. Nonostante la riduzione delle grandi concentrazioni industriali, abbiamo ancora la Confederazione europea dei sindacati che unisce quasi tutti i sindacati, una forza potenziale del tutto notevole, ma è solo potenziale. In pratica ha lasciato fare di tutto, credendo che l’Unione europea le permetterebbe, in qualità di direzione sindacale, di vivere tranquillamente in un cosiddetto dialogo sociale. In realtà, i dirigenti europei avevano per unico obiettivo di precarizzare dappertutto il lavoro e rimettere in discussione i contratti collettivi. La confederazione europea dei sindacati capisce molto tardi quanto sta succedendo ed è incapace di reagire, perché c’è una mancanza di democrazia in questa enorme superstruttura, ma anche e soprattutto un rifiuto della sua direzione e di alcuni grandi sindacati che ne sono membri, di affrontare i sostenitori di queste politiche di rottamazione sociale.

Qual è il ruolo delle industrie di armamenti, considerata sia la crisi del debito pubblico che la crisi dei migranti?

Le industrie di armamenti hanno senza dubbio una parte importantissima: nel caso greco, i fornitori di armi alla Grecia sono principalmente imprese tedesche, francesi e statunitensi. Sono responsabili della corruzione. Le ho appena detto della condanna del ministro greco; ovviamente si è lasciato corrompere da Rheinmetall in Germania, Thales in Francia e Lockheed Martin negli Stati Uniti. Ci sono affari molto precisi e notissimi dove si è saputo di tangenti dall’importo considerevole per corrompere dirigenti politici. Si trattava di centinaia di milioni di euro. Si nota la preoccupazione di una serie di paesi europei di sviluppare la loro industria di armamenti, particolarmente la Polonia, che ha appena realizzato una grande fiera internazionale degli armamenti. Il flusso importante di rifugiati che fuggono dalla Siria è il risultato della politica dell’Europa e degli Stati Uniti in Medio Oriente. Penso all’intervento militare nel 2003 che ha destabilizzato la regione senza portare la democrazia, all’intervento in Libia, e infine alla politica condotta contro la Siria. Tutto ciò ha contribuito al rafforzamento di Al-Qaeda in Libia e nella zona vicina al Sudan e al Mali, e ha favorito la nascita di Daesh. Abbiamo fornitori di armi che riforniscono le varie parti in lotta e in tal modo alimentano le guerre. Come in altri momenti della storia, c’è effettivamente un legame tra la strategia seguita dai fornitori di armi e il tipo di politiche condotte per risolvere i problemi in altre regioni del mondo. Tali politiche non vogliono l’interesse dei popoli; uno dei loro effetti più nocivi è buttare sulla strada centinaia di migliaia di persone, in particolare bambini e anziani, costretti a chiedere asilo agli Stati che accetterebbero di ospitarli.

Di recente, la casa editrice slovena CF ha messo nel libro sul debito pubblico ”Chi deve a chi?” la foto di soldati tedeschi che alzavano la bandiera nazista sull’Acropoli di Atene nel 1941. Che cosa ne pensa?

Era un messaggio molto forte che ha voluto mandare la casa editrice. E’ interessante perché fa riflettere; non si deve dimenticare la storia europea. Non molto tempo fa, le truppe di Mussolini, seguite dai nazisti, hanno occupato la Grecia. La Grecia è stata uno dei paesi europei più martirizzati, colpiti e distrutti durante la Seconda Guerra mondiale, assieme all’Unione Sovietica, alla Polonia e in parte anche alla Jugoslavia. La Grecia ha sempre il diritto di richiedere risarcimenti di guerra alla Germania. Lo sostengo in questa prospettiva. La foto deve fare riflettere. Non è una caricatura, non è stata messa sotto un elmetto la faccia di Wolfgang Schäuble o di Angela Merkel. La foto non significa che Angela Merkel agisce come i nazisti, ma deve essere considerata come una rievocazione della nostra storia.

Penso che bisognerebbe cambiare retorica nei media e non parlare più di Quarto Reich per esempio. Troppi ricordi impediscono di raggiungere i nostri scopi; è meglio avere un discorso più sereno.

E’ chiarissimo che non siamo in una situazione di dominazione totale, sicuramente non in una dominazione militare della Germania sul resto dell’Europa. Anzi, molti governi nazionali sono felicissimi che Angela Merkel e Wolfgang Schäuble appaiano come i cattivi e i più duri. Fa comodo a Matteo Renzi o a François Hollande poter dire ”Sono loro ad impedirci di fare delle concessioni.”

Oggi, in Europa, il problema non è solo la Germania, è l’architettura europea. Per cambiare tutto quanto, diventa ovvio che se vogliamo davvero un’Europa democratica bisognerà abrogare un’intera serie di trattati europei. Bisogna iniziare al più presto un processo costituente a livello europeo, un processo democratico che si traduca nell’elezione di un’assemblea costituente europea dei vari popoli europei. In ogni paese dell’Unione europea, si lancerebbero reali processi nazionali per elaborare collettivamente e democraticamente un nuovo progetto per l’Europa. Ci si potrebbe ispirare all’esperienza della Francia nel XVIII secolo, quando le popolazioni di tutte le regioni del paese avevano redatto dei «cahiers de doléances» [quaderni di rimostranze] che esprimevano i loro sentimenti e le loro speranze. E’ più che tempo di fare un bilancio della costruzione europea degli ultimi sessanta anni e di dirci: ”Adesso riprendiamo questa costruzione rendendola realmente democratica con la partecipazione dei popoli”. Credo che un’intera serie di trattati europei non lo permette. Quindi ci sarà bisogno di un grande coinvolgimento in Europa, un grande movimento europeo che permetta di sfociare in un cambiamento simile. Quando succederà? Inizierà in alcuni paesi che disubbidiranno, altri usciranno dalla zona euro, l’Europa entrerà in crisi. Ma può prendere dieci o venti anni. Il processo sarà lento e lungo. L’uscita dall’Ancien Régime dell’assolutismo regale è stato il frutto di una lunga lotta.

Sarà possibile farlo pacificamente, considerate la storia e la crisi?

Credo che la forza delle strutture autoritarie europee si appoggi sulla sottomissione e la docilità dei popoli e dei loro rappresentanti politici. La loro forza nasce dalla nostra obbedienza rassegnata. Dal momento che l’indignazione diventerà massiccia e si trasformerà in mobilitazione, l’Europa sarà costretta à cambiare e ciò non implica l’uso della violenza. Deve essere possibile farlo con fermezza e determinazione ma senza violenza.

E’ corretto parlare dell’1% di ricchi contro il 99% di poveri?

Sì, è esatto. Ovviamente è molto schematico, ma corrisponde alla realtà. Ho studiato questa problematica, e i lavori di Thomas Piketty l’hanno messa in luce molto bene. L’1% dei più ricchi negli Stati Uniti detiene il 50% del patrimonio nazionale. Se ci si aggiunge il 9%, non si ottiene molto di più … Parlare dell’1% permette di dire che si può mirare a misure su un settore minoritario della società senza aver bisogno di toccare la classe media. Siamo giunti a un livello di concentrazione della ricchezza tale che la formula dell’1% è molto più giusta di 30 anni fa. Trenta anni fa, bisognava parlare del 10%.

Ma facendo il paragone con il periodo anteriore o quello successivo alla Prima Guerra mondiale? Era la stessa cosa?

Per il livello di concentramento della ricchezza, Siamo tornati alla situazione di cent’anni fa. È quanto dimostra Piketty.

*il quotidiano Delo è il maggior quotidiano sloveno.

Traduzione dallo sloveno al francese effettuata da Mimi Podkrižnik. La versione francese è stata riveduta da Patrick Saurin, Damien Millet e Eric Toussaint.

Traduzione dal francese di Anne Marie Mouni.

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