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Francia, rompere lo stato di emergenza si deve

Raduni in più di 70 città e migliaia di persone al corteo parigino per chiedere la revoca dello stato di emergenza, bloccare la riforma costituzionale e denunciare la criminalizzazione dei movimenti sociali

di Giampaolo Martinotti

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Sabato 30 gennaio migliaia di manifestanti, guidati dai militanti del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), hanno marciato sotto la pioggia per le strade della capitale francese per dire basta allo stato di emergenza. Sfidando i divieti del presidente Hollande il cammino del corteo, da Place de la République a Palais-Royal, è stato accompagnato dallo slogan “stato d’emergenza, stato di polizia”.

L’invito a protestare contro le misure restrittive e antidemocratiche adottate dal governo è stato lanciato, oltre che dal NPA, da diversi collettivi che raggruppano al loro interno associazioni, organizzazioni di difesa dei diritti umani e sindacati (tra i quali la CGT e l’Unione dei Magistrati). Parallelamente si sono svolte più di 70 manifestazioni ‘sorelle’ in giro per tutta la Francia a sostegno del corteo parigino.

Solo tre giorni prima infatti il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello della Ligue des droits de l’Homme (LDH) che chiedeva la revoca immediata dello stato di emergenza, mentre nei prossimi giorni il parlamento esaminerà un nuovo disegno di legge per estenderlo fino a maggio. Secondo gli organizzatori “è necessario e possibile che lo Stato protegga le persone di fronte al terrorismo senza pregiudicarne i diritti e le libertà. Rifiutiamo il controllo generalizzato della società, una società che potenzialmente scivola dalla presunzione di innocenza alla presunzione di colpevolezza”.

La lotta al terrorismo dunque come strumento per autorizzare ogni tipo di deriva autoritaria, creando ulteriori divisioni e paure tra la popolazione. In questa dinamica a farne le spese sono proprio le classi popolari che in questi anni sono state più colpite dalla crisi del sistema capitalista e dalla violenza delle politiche d’austerità imposte dallo stesso governo che in questi mesi prova a ridefinire l’organizzazione della società francese all’interno di un processo reazionario. “Inserire il ritiro della cittadinanza francese per i condannati per reati di terrorismo che siano in possesso di doppia nazionalità sta minando il principio di eguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 2 della Costituzione, il pilastro della Repubblica”.

Sempre in nome della lotta al terrorismo si vorrebbe rendere permanente lo stato di emergenza così da poter essere in grado di criminalizzare e perseguire ogni movimento politico e sociale che si oppone alle disastrose politiche del governo che, dopo aver vietato il diritto di manifestare, radunarsi e in pratica di esprimersi, si appresta a mettere la mani sul codice del lavoro.

Gli organizzatori sono “molto preoccupati per la repressione e la stigmatizzazione di manifestanti e attivisti dei movimenti sociali, dei migranti, dei musulmani e degli abitanti dei quartieri popolari”,  e questa mobilitazione rientra a tutti gli effetti nel quadro di denuncia degli abusi ai quali i cittadini possono essere sottoposti dall’inizio dello stato di emergenza. Nei fatti la maggior parte dei tremila interventi di polizia condotti fino ad ora, tra arresti e investigazioni ‘preventive’, hanno interessato attivisti politici e persone di fede islamica che spesso non apparivano tra i possibili sospettati.

In questo contesto le iniziative per rompere il silenzio diventano sempre più fondamentali per inviare un forte messaggio al presidente Hollande: la parte più consapevole e combattiva della società francese non è disposta a sacrificare la propria libertà in nome della ‘sicurezza’ e i propri diritti in nome del ‘profitto’.

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