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Il Landini che non ti aspetti: riabilita Marchionne, licenzia la minoranza

Licenziato da Landini per lesa maestà il portavoce della minoranza Cgil, Sergio Bellavita. E’ guerra tra la dirigenza Cgil e Fiom e chi osa criticarla. Il caso delle 16 Rsa incompatibili del gruppo Fca

di Checchino Antonini

sergio bellavita
sergio bellavita

30 giorni: è l’intervallo di tempo trascorso tra la riabilitazione di Sergio Marchionne e il benservito a Sergio Bellavita. Il primo è il manager Fca, ferocissimo contro i diritti sindacali e accanito sostenitore di condizioni di lavoro indecenti. Il secondo è il portavoce dell’area di minoranza della Cgil, Il sindacato è un’altra cosa. Artefice della riabilitazione e del benservito è Landini, lider maximo della Fiom, icona della sinistra radicale.

«Stamane mi è stato comunicato il licenziamento dalla Fiom nazionale dopo 15 anni di impegno sindacale – si legge sul profilo fb di Sergio Bellavita – Landini e la sua segreteria hanno deciso all’unanimità di darmi venti giorni di tempo per rientrare in fabbrica. Non vengo cacciato perché colto a rubare, non per aver fatto un accordo vergognoso. Non è in discussione la qualità del lavoro che faccio (di quello che mi hanno consentito di fare avendomi tolto quasi ogni incarico). Ho persino messaggini in cui Landini si complimenta per la gestione di alcune vertenze…

Vengo cacciato solo perché rappresento l’opposizione interna alla Cgil. Il dissenso che la Fiom e la Cgil hanno deciso di ridurre al silenzio, di espellere. Non possono più permettersi di misurarsi con la loro irrilevanza, con la loro crisi drammatica di risultati concreti. Nel 2012 cacciato dalla segreteria e oggi dalla Fiom. Scriverò qualcosa di più meditato, tuttavia in pochi giorni Landini ha riabilitato Sergio Marchionne e licenziato Sergio Bellavita. Uno è diventato buono e l’altro è sempre stato cattivo. Anche questa è parte della pochezza di un segretario dispotico e arrogante che ha raccolto solo sconfitte e che lascerà solo macerie».

Parole durissime che fanno seguito a un gesto altrettanto drastico. Si imprime così una svolta a una dialettica interna drammatica, segnata dalla spada di Damocle che la segreteria Fiom, e della Cgil intera, ha appeso sulla testa di sedici Rsa degli stabilimenti Fca di Termoli, Melfi e Atessa. I 16 hanno il torto di aver promosso degli scioperi coordinandosi con altri lavoratori conflittuali contro la metrica del lavoro, la famigerata Ergo Uas e contro i sabati di straordinario comandati. Gli scioperi hanno sortito un certo effetto. Fca ha dovuto assumere 110 operai per coprire quel turno. Ma la Fiom nazionale è andata per le spicce (senza possibilità di difesa degli interessati) dichiarando le Rsu «incompatibili» con qualsiasi incarico e consegnati alle rappresaglie del management Fca. Intanto, l’8 marzo scorso, dalla bocca di Landini uscivano le seguenti parole: «Nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti». Parole usate poche ore fa dal legale storico della Fiat, De Luca Tamaio, in un processo contro cinque operai di Pomigliano licenziati dopo aver protestato per il suicidio di una operaia da anni in cassaintegrazione discriminatoria.

Tutto ciò mentre cresce la solidarietà attorno ai sedici operai. Centinaia di firme sono giunte a sindacatounaltracosa@gmail.com con oggetto “appello contro i provvedimenti” e venerdì 8, alle 18, al centro sociale Intifada di Roma si terrà un’iniziativa dell’area sindacale su guerra e austerità ma, a questo punto, si trasformerà in un momento cruciale per il dibattito sul destino della Fiom.

«Un atto di autoritarismo vergognoso – dice anche Giorgio Cremaschi, predecessore di Bellavita alla guida dell’area – segno della totale degenerazione del gruppo dirigente della Fiom guidata da Maurizio Landini. Un atto che segue il procedimento di espulsione degli operai che lottano in Fiat. C’è un rapporto diretto tra la scelta di Ladini di fare la pace con Marchionne, gli imprenditori e Fim, Fiom e Uilm e, dall’altra parte, quella di aprire la guerra all’interno della Fiom contro il dissenso. E’ una classica storia del trasformismo della sinistra. Si guadagna consenso presentandosi come amici del popolo e poi si usa quel consenso per diventare amici dei potenti».

Assordante, finora, il silenzio a sinistra: «Tutti hanno paura di parlare male della statua che portano in processione», ha detto a Popoff, Stefania Fantauzzi, una delle sedici Rsa, operaia di linea a Termoli. Tra le poche eccezioni la solidarietà a Bellavita da parte di Sinistra Anticapitalista che chiede «a tutte le forze sociali, sindacali e politiche che hanno come riferimento la classe lavoratrice di agire affinché il gruppo dirigente della Fiom ritorni sui suoi passi, ricostituisca il diritto ai delegati sindacali di praticare le mobilitazioni e la lotta e il pieno diritto di rappresentanza nella vita politica interna, riconoscendo il ruolo e l’impegno di Sergio Bellavita […] Non possiamo che essere preoccupati di fronte alle scelte dell’attuale direzione della FIOM, ma non solo noi come organizzazione, lo devono essere tutti coloro che hanno a cuore le sorti del movimento dei lavoratori e il futuro stesso di una federazione sindacale che da sempre rappresenta nell’immaginario del nostro paese il sindacato di classe per eccellenza […] E’ fin troppo chiaro che in discussione in queste due vicende, tra loro profondamente collegate c’è sia il diritto di praticare le lotte e lo sciopero da parte dei rappresentanti sindacale di base in stretto rapporto con i lavoratori, sia il diritto al pluralismo e alla rappresentanza in seno all’organizzazione. Una solo voce, un solo capo, per un apparato e degli organismi dirigenti che devono essere monolitici per mascherare le terribili difficoltà in cui si trova questo sindacato di fronte al Marchionne Sergio e alla Federmeccanica. Perché alla repressione interna del dissenso corrisponde un impasse totale delle scelte della direzione della Fiom, incapace di trovare la strada, dopo la sconfitta della Fiat e del Jobs Act con una discussione democratica».

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