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L’Harry fuggiasco e le rogne delle catalogne

Puigdemont scappa, spiazza la piazza e lascia i cocci ma non è solo. Catalogne e rogne d’Europa

di Maurizio Zuccari

Mappa new Europa

Somiglia più a Tacchini in fuga, il cartone di Jimmy Hayward, che a una salda resistenza a Madrid l’epilogo (momentaneo) della vicenda catalana. Con Carles Puigdemont e sodali scampati in Belgio. Altro paese fallito, con le sue belle seccature da separati in casa. Proclama l’indipendenza e scappa, potrebbe dirsi parafrasando un altro celebre film. Mi esilio ma non mi piego, anzi non chiedo asilo ma mi rifugio. Chiunque abbia fatto affidamento su simili apprendisti stregoni che lasciano la piazza spiazzata e i cocci agli altri, s’acconci alla narrazione dell’Harry Potter catalano, ai suoi valzer di chiacchiere. I guasti della sua pervicace nullità politica ricadono sulle teste di tutti, indipendentisti e non, dell’intera società catalana. Anche se per ora la tragedia possibile si tramuta in farsa certa. Meglio così. Forse alle elezioni sancite da Madrid per il 21 dicembre potrà tornare in patria e dare il là a un nuovo referendum, stavolta realmente maggioritario, a una secessione che abbia con sé una parte non minoritaria del paese. Oppure l’Harry fuggiasco potrà sparire coi suoi per sempre e magari passare per martire ed eroe, anziché impiastro.

Ma tante sono le catalogne d’Europa, le sue rogne. A vederla è una pezza d’Arlecchino, una mappa dove stati e staterelli sono più dei colori disponibili. È in rete su Reddit, aggregatore di news che va forte nei paesi di lingua inglese, pressoché sconosciuto in Italia, e mostra la nuova Europa se tutti i movimenti separatisti del vecchio continente andassero a dama coi loro sogni. Un pateracchio multicolore che ci riporta indietro nei secoli, alle bandierine di un’Europa medievale. Più sobria, ma non meno inquietante – onirica, secondo i gusti – la mappa dell’Efa (European free alliance) o Ale (Allenza libera europea). Il raggruppamento dei partiti e movimenti europei che propugnano l’indipendenza in tutte le sue forme, dal federalismo alla secessione, associato nel Parlamento di Bruxelles ai Verdi e guidato da Jordi Solé (catalano, ca va sans dire), dal bel bandierone a frange viola. Qui le piccole patrie europee sono appena una quarantina, ritagliate all’interno dei confini esistenti. Ma le sorprese non mancano neanche in questo cuci & scuci minore.

mappa-Efa@i

Prendiamo l’Italia. Non è un coacervo di staterelli come nel Cinquecento, senza manco un papa a dargli le busse, come nella mappa di cui sopra, ma neanche qua lo spezzatino è male. Accanto alla Liga Veneta e ai sardisti doc ci sono valdostani, sloveni e tirolesi che chiedono all’Italia di farsi da parte, mentre friulani e siciliani sono presenti in veste d’osservatori. La Lega nord, invece, ha lasciato il raggruppamento. I milanesi, si sa, sono interessati agli schei ma non a governarsi da soli, dai tempi di Ludovico il Moro. Neppure negli altri paesi scherzano. In Spagna dopo la Catalogna sono in fila per l’indipendenza un po’ tutti, dai Baschi al blocco nazionalista galiziano, dal Partito socialista di Maiorca ai nazionalisti di Valencia, ai Canarioti. Con Madrid resterebbero un po’ di campi all’intorno, e olé. Non va meglio a Parigi, che deve vedersela con le mire dei Corsi, ovviamente, seguite da Occitani, Lusitani, Bretoni, Alsaziani e Savoiardi, e via spezzettando. Né va meglio Oltremanica: se il Partito nazionale scozzese aspetta il Brexit per rilanciarsi dopo il fallimento dell’ultimo referendum, gallesi e irlandesi sono lì, e dopo di loro i Figli della Cornovaglia e quelli di Yorkshire First.

Pure la coriacea Germania ha i suoi secessionisti. A partire dalla Baviera, il land più ricco d’Europa, dove il Bayernpartei spinge per il fai da te, seguito a ruota da Frisoni e Lusaziani. E se il conflitto nei Paesi Bassi, dilaniati tra Frisoni e Valloni, è endemico, le isole Aland vogliono separarsi dalla Finlandia, i Moraviani dalla Repubblica Ceca, Fiume dalla Croazia. All’Est dalle parole si è passati da tempo ai fatti. Dopo la guerra fratricida nella ex Jugoslavia, col suo strascico in Kosovo (non riconosciuto da molti stati europei) e Macedonia (polveriera in divenire), in Crimea e Transnistria la parola è da alle armi. Col paradosso, in quest’ultimo caso, di uno stato autoproclamatosi tale ma non riconosciuto da nessuno. Tutti vogliono andarsene da tutti, anche se non si capisce bene dove. «Identità sì, secessione no. Non voglio un’Europa a 98 stati, già è complicata così com’è», bofonchiava Jean Claude Juncker gettando acqua sul fuoco dell’indipendenza catalana. Guardando alla nuova mappa d’Europa, alla sua balcanizzazione, non è facile dare torto al presidente della Commissione Ue, per una volta.

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