L’Atlantico cattura il calore attenuando il “global warming”, ma quando il ciclo oceanico cambierà ci sarà di nuovo un’impennata della temperatura sul pianeta.
di Marina Zenobio
Le profondità dell’Oceano Atlantico sono un immenso magazzino di calore, un fenomeno che spiega perché la temperatura atmosferica si sta mantenendo relativamente stabile dal 1998. Quell’anno fu il più caldo della storia, culminando con l’aumento di un grado rispetto al 1850, l’epoca della Rivoluzione industriale, quando l’umanità iniziò ad emettere nell’atmosfera massicce dosi di gas a effetto serra. Negli ultimi 15 anni però l’aumento della temperatura è rallentato, eppure si è continuato a produrre calore. Dove finisce?
Da tempo gli scienziati sono alla ricerca di questo calore “scomparso”, perché le emissioni di CO2 nell’atmosfera non hanno smesso comunque di battere record di anno in anno. Due di questi, uno statunitense l’altro cinese, pensano di aver risolto l’enigma del calore “scomparso”: lo hanno trovato a 300 metri di profondità dell’Oceano Atlantico. “Il riscaldamento globale – ha dichiarato Ka-Kit Tung, docente presso l’Università di Washington – non si è fermato, le profondità oceaniche continuano a surriscaldarsi”. Secondo i suoi dati, il calore che dovrebbe essere presente nell’atmosfera polverizzando i record della temperatura, ha viaggiato in forma massiva dalla superficie delle acque fino alle profondità dell’Oceano Atlantico e Antartico. Dietro questo fenomeno ci sarebbe il cosiddetto “nastro trasportatore oceanico”, una corrente che trasporta acqua salata, più pesante, dai Tropici fino all’Atlantico del Nord, dove si inabissa insieme al calore immagazzinato. Questa circolazione avrebbe subito una accelerazione negli ultimi anni, iniziando a rallentare nel 2006.
“Quando il ciclo oceanico si modificherà, ci sarà un altro periodo di rapido riscaldamento globale, come accaduto negli ultimi tre decenni del ventesimo secolo”, predice Ka-Kit Tung. La sua opinione è in linea con quella del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC, nell’acronimo inglese), l’organismo composto da circa duemila scienziati che vigilano sul riscaldamento globale del pianeta.
Lo scorso giugno, l’ecologista statunitense e vice-presidente di uno dei gruppi di lavoro dell’Ipcc, Christopher Field, dichiarava: “Il tasso di aumento della temperatura atmosferica è stata un poco più lento negli ultimi 15 anni, se paragonati alle decadi 1980 e 1990, quando l’incremento è stato veramente rapido. Ma il riscaldamento è continuato. Ciò che abbiamo visto negli ultimi anni è che il riscaldamento si è concentrato di più negli oceani che non nell’atmosfera”.
Finora la comunità scientifica sospettava che l’Oceano Pacifico stesse funzionando come magazzino del calore “scomparso”, però Ka-Kit Tung e il suo collega Xianyao Chen, dell’Università Oceanica cinese, scartano questa possibilità.
Entrambi i ricercatori hanno analizzato milioni di rilevazione di temperatura e salinità degli oceani raccolte in tutto il mondo tramite boe e imbarcazioni fin dal 1970. Nel loro studio, pubblicato sulla rivista Science, dichiarano che durante lo “hiatus” (intervallo), come definiscono gli esperti il fenomeno per non confondersi con la parola “pause” (pausa), l’Atlantico ha immagazzinato più calore degli altri oceani messi insieme, e questo calore è stato localizzato a partire dai 300 metri di profondità.
Scontro tra scienziati
Ovviamente non tutti i ricercatori condividono le conclusioni di Tung e Chen. Il climatologo neozelandese Kevin Trenberth, del Centro nazionale di ricerche atmosferiche di Boluder, (Colorado, Usa), ha pubblicato uno studio che indica il Pacifico come vero “ladro” di calore atmosferico.
Lo studio di Trenberth, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, sostiene che i cicli naturali dell’oceano Pacifico spiegherebbe dove è andata a finire più della metà del calore di cui si sono perse le tracce sulla terra dal 1998. Secondo le sue conclusioni, il fenomeno conosciuto come “Oscillazione decennale del Pacifico”, che cambia ogni 20 o 30 anni, sta provocando un affioramento di acqua fredda i questo oceano, innescando un calo delle temperature.
Per Ka-Kit Tung “il dottore Trenberth da tempo ha un punto di vista Pacifico-centrica, ma non ha offerto nessuna prova, al di là di simulazioni informatiche che dicono che il calore si immagazzina principalmente nel Pacifico”.
Al di là dello scontro tra scienziati, gli ultimi studi evidenziano che il cambiamento climatico non si è fermato, bensì si è nascosto, e molto bene, nelle profondità marine. Tanto Tung quanto Trenberth su una cosa sono d’accordo: “il riscaldamento globale continua”.