Il 7 ottobre a Roma contro il governo Meloni e le sue politiche per costruire lo sciopero generale [Franco Turigliatto]
Un governo di estrema destra è un governo di estrema destra e porta con sé tutte le scelte , ideologie e misfatti propri delle formazioni politiche che lo compongono. E’ quanto abbiamo sostenuto fin dalla sua costituzione, mentre le organizzazioni sindacali che per prime avrebbero dovuto combatterlo attraverso una grande azione di mobilitazione e di orientamento delle lavoratrici e dei lavoratori, hanno continuato ad attendere, largamente passive, per “vedere” che cosa avrebbe fatto. L’abbiamo già visto e lo vediamo ogni giorno sul terreno politico, economico e sociale.
Manganelli, galere e detenzioni illegali
E’ un classico governo dei padroni, duro e cattivo con i settori sociali più deboli, violento e implacabile con i migranti, veri capri espiatori su cui indirizzare tutte le tensioni e frustrazioni frutto delle difficili condizioni materiali di larghi settori di massa a cui non possono dare risposta, del tutto subalterno e servizievole nei confronti delle classi dominanti, del capitale, al di là della sua demagogia populista, come dimostra la vicenda della imposta sugli extra profitti delle banche, rapidamente svuotata davanti al muro di tutti i poteri forti.
Ma è un governo anche che come dimostra l’attacco senza freni alla giudice di Catania che ha osato rispettare le leggi, scarcerando alcuni migranti, che non può sopportare che si applicano la |Costituzione e le leggi europee, a scapito dei tanti decreti che questo esecutivo produce per rendere la vita un infermo a coloro che l’inferno l’hanno già vissuto nei paesi da cui sono fuggiti. E lo fa proprio nei giorni del decennale della terribile strage delle/i migranti al largo di Lampedusa (368 sparite/i tra le onde).
E ai giovani studenti di Torino che manifestano contro la visita della Meloni e le sue politiche, manganellate e botte da orbi. Un governo che di fronte a qualsiasi problema e tensione sociale, a partire dal disagio giovanile non ha altre risposte che la repressione e la galera (il loro vero marchio di fabbrica) e che non esita a “trasformare” – sono le parole del direttore de La Stampa “l’intera penisola in un gigantesco campo di concentramento”. E la gara tra Meloni e Salvini tra chi è il più cattivo è semplicemente rivoltante segnando la messa in discussione dello stato di diritto e un percorso verso lo stato di polizia.
Fatto è che i nodi vengono al pettine per il governo Meloni, o, per meglio dire, è il tempo autunnale della legge di bilancio che l’esecutivo deve comporre in un contesto economico internazionale che certo avrebbe voluto diverso, non segnato dalle attuali forti contraddizioni dell’economia mondiale, da un processo inflattivo per ora inarrestabile, da tassi di interesse schizzati verso l’alto (più di cento miliardi l’anno per i soli interessi del debito pubblico che viaggia ormai intorno ai 3 mila miliardi di euro) dal ritorno il primo gennaio della legge di stabilità europea dopo la sospensione negli anni della pandemia, da pesanti crisi industriali irrisolte. Difficile in queste condizioni riuscire a garantire gli interessi dei veri padroni del vapore, la grande borghesia, mantenere le mille forme di soccorso alla piccola e media borghesia sua base elettorale e prolungare di un altro anno il taglio del cuneo fiscale di fronte una inflazione che ha massacrato i salari delle lavoratrici e dei lavoratori.
La soluzione che la Nota di aggiornamento (Nadef) del governo propone per la finanziaria è quella di allargare i deficit dello stato di 23 miliardi nei prossimi, cioè provare a prendere tempo, sapendo che questo debito qualcuno prima o poi lo dovrà pagare, cioè le classi lavoratrici.
In realtà anche questo aumento del deficit non basta e quindi sono previsti nuovi consistenti tagli alla spesa pubblica, nuove privatizzazioni con la dismissione di quote societarie pubbliche; una operazione questa dai risultati sempre molto incerti, ma in ogni caso assai negativa per la proprietà e il bene collettivo che verrebbe ancor auna volta svenduto ai privati.
Lo smantellamento della sanità pubblica e l’autonomia differenziata
Al centro del mirino poi il servizio sanitario nazionale che non solo non avrebbe i 4 miliardi in più richiesti da tutti i presidenti delle regioni, ma anzi sarebbe ulteriormente decurtato: la spesa sanitaria che nel 2023 corrisponde a un insufficiente 6,7% del PIL (la media europea è 7,9%) nel 2026 dovrebbe scendere al 6,1%., una morte annunciata come ha sostenuto la segretaria della Funzione pubblica della CGIL
I rischi sono così gravi che lo stesso Presidente della Repubblica ha dovuto intervenire per precisare che “Il Servizio sanitario nazionale è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare”. Ma non saranno certo le dichiarazioni generiche di Mattarella a cambiare le dinamiche e le scelte non solo del governo, ma di tutte le forze borghesi sulla sanità.
Con la cosiddetta autonomia differenziata che il governo vuole portare a termine nel 2024, strumento di divisione del paese e delle classi lavoratrici, il percorso verso la privatizzazione della sanità, largamente in corso, in cui le risorse pubbliche vengono convogliate sempre più verso le aziende sanitarie private, giungerebbe a piena conclusione con un danno enorme per la salute della stragrande maggioranza della popolazione. Già oggi una/un cittadina/o su tre deve ricorrere al privato per accedere a un servizio sanitario; nel 2022 quattro milioni hanno semplicemente rinunciato alle cure.
I soldi ci sono, ma non li si vuole prendere dove stanno.
Per giustificare certe scelte economiche niente di più facile dire come fa il governo, che “i soldi non ci sono”. Niente di più falso: le risorse e i soldi ci sono ma sono finiti tutti nelle mani delle imprese e delle banche che hanno fatto anche in questi ultimi anni profitti infiniti. Questa realtà viene nascosta da tutti i media dei capitalisti perché è proprio di lì che si può e si deve attingere le risorse per non far crollare la sanità e per difendere le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione. Non è l’intento del governo attuale che con l’ulteriore controriforma fiscale vuole ridurre ancor più le imposte ai ricchi.
I “rumors” sui governi tecnici
Gli esponenti della grande borghesia e i loro media sono ovviamente preoccupati sulle dinamiche della situazione economica e sulle scelte del governo che vogliono orientare e controllare. Costoro non sono certo preoccupati delle condizioni delle classi popolari, quanto della tenuta del capitalismo italiano sotto la pressione del cosiddetto spread (anche se una parte di loro dalla crescita dei tassi ci guadagna) e spingono per l’allineamento pieno con le politiche di Bruxelles e vorrebbero anzi già che si mettesse mano a tagli alla spesa pubblica ancora più consistenti.
I rumors sulla loro insoddisfazione rispetto al governo si moltiplicano e i parvenu arrivati al potere grazie a una legge elettorale truffaldina e all’insipienza dell’attuale opposizione parlamentare sanno bene che la grande borghesia è sempre pronta ed è in grado di compiere operazioni e manipolazioni per avere i governi più consoni ai loro interessi. E’ l’operazione dei cosiddetti governi tecnici, che tecnici non sono per nulla, messa in atto non solo nel 2011 con la caduta di Berlusconi e l’arrivo di Monti, ma anche nel 2021 con la messa in crisi del secondo governo Conte (composto dal M5S e dal PD) e l’incoronazione di Draghi.
Per ora sono solo inquietudini, ma di certo risulta evidente il nervosismo degli esponenti di governo di fronte a una realtà economica difficile, che fa dire al ministro dell’economia Giorgetti “ la situazione è delicata”.
Situazione difficilissima per decine di milioni di persone
La situazione non è solo delicata, ma difficilissima per decine migliaia di famiglie, quelle a cui è stato decurtato anche il modestissimo reddito di cittadinanza, a milioni di lavoratrici/ori mal pagati o in nero, ma anche a milioni di loro, che un contratto nazionale più o meno decente ancora ce l’hanno, ma che oggi è drasticamente decurtato da una inflazione che nel 2022 era oltre il 10% e che oggi si conferma al 6-7% annuo.
La posta in gioco di questo autunno è di riuscire ad attivare questi milioni di lavoratrici/tori in mobilitazioni per difendere le loro condizioni di vita, di far abbandonare la demoralizzazione ritrovando la forza della lotta collettiva intorno ai comuni interessi di classe.
Non facile, ma non completamente impossibile, perché diversi movimenti sociali sono presenti nel paese, in difesa del posto di lavoro, per vertenze salariali, ambientali, per i diritti delle donne, per i diritti democratici e civili. Serve un processo di unificazione che a sua volta richiede la presenza di una lotta sindacale potente e decisa.
E’ quello che propongono i sindacati di base combattivi, ma le loro forze sono limitate e non poco divise, non scevre da settarismi che ne limitano l’azione e le possibilità. Sosterremo e parteciperemo alla giornata di sciopero del 20 ottobre che hanno indetto.
Convergenza, insorgenza e lo sciopero generale
Per quanto riguarda i tre grandi sindacati si deve prendere atto di una Cisl da anni sempre più subordinata e governativa e di una UIL del tutto ambigua caratterizzata solo da qualche generica sparata propagandistica.
Per quanto riguarda la CGIL (la più grande Confederazione come sempre sottolinea il segretario Landini con suoi 5 milioni e più di di iscritti), il comportamento del suo gruppo dirigente sembra mimare il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett nella famosa commedia “Aspettando Godot”, in cui i due protagonisti parlano delle cose più diverse per giorni affermando ogni tanto “Andiamo”, ma rimanendo del tutto immobili.
Landini parla da molti mesi in comizi e interviste di sciopero generale, ma questo sciopero scivola sempre in avanti, non viene mai indetto e tanto meno preparato anche se il tempo stringe e la finanziaria coi suoi evidenti contenuti antioperai è di oggi.
La CGIL ha organizzato una grande manifestazione nazionale a Roma il 7. E’ una iniziativa positiva, importante, con contenuti sociali e democratici, compreso il rigetto dell’autonomia differenziata (che andrebbe ancor più enfatizzato) condivisibili, ma anche ancora troppo generici, che si propone di far convergere tutti i movimenti sociali.
E’ importante che la manifestazione riesca, che sia grande, ma anche che al suo interno le componenti sociali più radicali riescano a far emergere i loro contenuti rivendicativi. Per usare le parole avanzate due anni fa dalla GKN, serve convergenza ed insorgenza.
Per intanto dobbiamo richiamare il fatto che non tutto è stato fatto al meglio, che la manifestazione molte volte è stata preparata in modo routinario dall’apparato, ma soprattutto vogliamo sottolineare che se da una parte è fondamentale la sua riuscita, questa deve essere utilizzata per costruire un percorso verso lo sciopero generale. Senza una vera e propria prova di forza costruita con successo e partecipazione di massa che fermi il paese è impossibile condizionare o bloccare l’azione del governo. Non basta una generica opinione pubblica critica verso l’operato del governo. Bisogna mettere delle zeppe nei meccanismi produttivi, indispensabili per colpire i padroni e i loro gestori.
Sinistra Anticapitalista alla manifestazione del 7
La nostra organizzazione sarà ben presente alla manifestazione di Roma difendendo alcuni contenuti essenziali per un programma di alternativa:
a partire dal rigetto dell’autonomia differenziata, da un ampio programma di rilancio della sanità e della scuola pubblica, da una vasta offensiva salariale per la difesa delle condizioni materiali delle classi lavoratrici e del diritto a un reddito per tutte/i: salario sociale, forti aumenti salariali e ritorno alla scala mobile sono i pilastri di questa battaglia;
contro la precarietà del lavoro, l’abolizione di tutte le leggi che l’hanno permessa e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga. di fronte alla strage infinita sui luoghi di lavoro decisiva è l’abolizione di ogni forma di deregulation del lavoro e di precarietà, di tutto il meccanismo degli appalti e dei subappalti e il riconoscimento che le morti sul lavoro non sono fatalità, ma dei veri e propri omicidi prodotti dal sistema e dai padroni;
le risorse per queste misure ci sono, bisogna tassare i profitti e le rendite finanziarie, e tagliare le spese militari.
Questo governo, va battuto e cacciato. Non possiamo permetterci 5 anni di un governo di forze fascisteggianti al governo.
I padroni vanno sconfitti e deve essere sconfitto il loro disegno di scaricare ancora una volta i costi della crisi economica capitalista e delle loro guerre economiche e militari sulle classi lavoratrici; è un primo passo per costruire una prospettiva di solidarietà e di giustizia sociale che vada oltre il capitale, i suoi profitti e le sue ingiustizie e sfruttamento. Saremo in piazza per denunciare l’insostenibilità di questo sistema violento ed infame, distruttore dell’ambiente e delle vite, per sostenere la necessità di una rimessa in discussione del sistema capitalista